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Non si vendono più i tappeti persiani

06 Giugno 2016.

Dan Kitwood/Getty Image

Uno dei prodotti più rinomati ed esportati dell’Iran è in crisi, ma non c’entrano solo le sanzioni internazionali.


Lo scorso fine settimana il governo iraniano ha organizzato un
tour per i giornalisti stranieri nella zona di Shiraz, una città nel
sud-ovest dell’Iran frequentata anche dai turisti occidentali. Il tour è
stato messo in piedi dal Centro nazionale dei tappeti dell’Iran (INCC,
la sigla in inglese), un’organizzazione creata nel 2003 e legata al
ministero iraniano dell’Industria e del Commercio. 

Nei piani dell’INCC,
l’iniziativa avrebbe dovuto celebrare i tappeti persiani, tra i più noti
e rinomati al mondo, ma le cose sono andate diversamente: è venuto
fuori che il settore della produzione dei tappeti è in grossa
difficoltà, nonostante la recente rimozione di alcune sanzioni internazionali,
e che le popolazioni nomadi coinvolte nella produzione dei tappeti sono
sempre meno e hanno cominciato a cercare lavoro da altre parti.



Per secoli l’Iran ha prodotto tappeti molto ricercati, fabbricati per
lo più lungo le vie usate dai nomadi attorno a Shiraz. Il processo
tradizionale inizia dalle pecore delle tribù nomadi Qashqai e Bakhtiari,
che fanno una lana che si adatta perfettamente alla produzione dei
tappeti persiani. La lana viene poi lavorata a mano – soprattutto dalle
donne – che la incrociano usando solo le dita. Quando il filo è pronto,
viene tinto con ingredienti naturali – come le bucce di melograno, molto
diffuse in Iran – che vengono fatti bollire a fuoco lento per giorni.
Poi il filo viene fatto seccare al vento, prima che si passi alla fase
successiva: la tessitura. I tessitori passano mesi a lavorare su un
telaio posto orizzontalmente, facendo migliaia di nodi (più nodi per
centimetro quadrato significa più qualità). Quando il tappeto è pronto
viene tagliato, lavato e messo ad asciugare.

Fino a pochi decenni fa i tappeti persiani si vendevano anche in
Occidente, ed erano uno dei beni più importanti delle esportazioni
iraniane. Da diverso tempo, però, la produzione è cambiata: molti dei
tappeti che oggi si vendono nei bazar iraniani (grandi mercati che sono
ovunque e vendono qualsiasi cosa) non vengono più prodotti sulle vie dei
nomadi, perché il processo si è dimostrato insostenibile da un punto di
vista economico: richiede molto tempo e costi troppo alti rispetto alla
scarsità della domanda. Alcuni imprenditori iraniani hanno cercato
nuove soluzioni: per esempio hanno aperto delle fabbriche per ridurre i
costi di produzione, mantenendo però diverse fasi del processo non
meccanizzate, come quella delle tintura.

Come ha scritto il corrispondente del New York Times
a Teheran, Thomas Erdbrink, i cambiamenti nel processo di produzione
dei tappeti persiani non sono stati sufficienti per raddrizzare il
settore. Il problema non è legato solo alle sanzioni internazionali
imposte all’Iran per lo sviluppo di un programma nucleare a scopi
militari: dopo lo storico accordo sul nucleare trovato dal governo
iraniano e da diversi paesi occidentali, le sanzioni sono state in parte
rimosse ma la vendita e le esportazioni di tappeti persiani non sono
cresciute significativamente. Nei rapporti con i turisti stranieri, uno
dei problemi più grandi per i commercianti rimane la transazione
finanziaria, che molto spesso può essere fatta ancora solo tramite
contanti (gli stranieri non possono prelevare al bancomat in Iran, per
le sanzioni, e non possono nemmeno pagare con la carta di credito, a
parte alcune eccezioni: e un tappeto persiano costa come minimo diverse
centinaia di euro).

Negli ultimi anni anche il mercato interno ha cominciato a
penalizzare i tappeti persiani: si sono diffusi tappeti molto più
economici – e di qualità molto più bassa – prodotti in Cina e in India.
Erdbrink ha scritto che il Centro nazionale dei tappeti dell’Iran ha
portato i giornalisti stranieri a visitare un campo di nomadi fuori
Shiraz, che avrebbe dovuto raccontare la produzione dei tappeti oggi. «È
venuto fuori che parecchi “nomadi” erano lì per recuperare da una
dipendenza di droga sviluppata in altre parti del paese e che stavano
intrattenendo i turisti come parte di un programma per rimanere puliti»,
ha scritto Erdbrink.




 

FONTE: Il post