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La riconfigurazione del potere neoliberale: Tra poco vivremo tempi alquanto difficili in Centroamerica e America Latina – Un‘intervista con Sergio Segura


Di Milena Rampoldi, ProMosaik

Abbiamo intervistato Sergio Segura, 28 anni, comunicatore sociale ed
investigatore popolare. Lavora come giornalista presso l’agenzia di
comunicazione Agencia de Comunicación de los Pueblos Colombia Informa e per il
portale di cronaca marcha.org.ar. Collabora con  Resumen Latinoamericano e lavora come
corrispondente del portale LaPluma.net.

MR: Da dove viene e che formazione professionale e politica ha?
SS: Sono nato in Colombia e sono comunicatore sociale ed investigatore
popolare. Condivido idee libertarie e di sinistra; intorno a questo nucleo si è
sviluppata la mia vita academica, professionale e politica. Attualmente sono
professore e giornalista per diversi portali in America Latina e in Europa.
Come analizzeresti la situazione attuale della Colombia?  
La Colombia si trova in una situazione particolare, anche se assomiglia ai
frangenti degli altri paesi dell’America Latina. Si vivono le conseguenze degli
oltre 50 anni di guerra interna, un conflitto sociale, politico e armato che ha
fatto più di 300.000 persone, migliaia di desaparecidos e milioni di sfollati.
Attualmente le due fazioni guerrigliere che nel 1964 hanno iniziato a
combattersi stanno dialogando con il governo di Juan Manuel Santos per porre
fine agli scontri armati. La società è divisa tra ottimismo e pessimismo. Credo
che la soluzione politica al conflitto armato sia necessaria per realizzare pace
e giustizia sociale in futuro.
La pace e la sua efficienza comunque non sono possibili nelle condizioni in
cui si trova il paese: precariato lavorativo, diritti sociali, civili e
politici privi di garanzia, esproprio di terre, estrazione di ricchezze
naturali per le multinazionali e paramilitarismo attivo. In Colombia non si
rispettano i diritti umani e neppure la libertà d’espressione. Il paese vive
continui attacchi, minacce e assassini, in particolare contro attivisti e
membri dei movimenti sociali che si rifiutano di accettare un modello di
esproprio e di privatizzazione che va oltre ogni logica.
Come si manifesta la persecuzione politica in Colombia e in che modo ha
influenzato il tuo lavoro come giornalista?
Chi si oppone alle posizioni ufficiali in Colombia viene marginalizzato e
stigmatizzato dall’ordine sociale e dalla politica governativa. Ho vissuto
personalmente la corruzione del sistema giudiziario e sono stato pubblicamente
denunciato al governo per delitti infondati. Le detenzioni arbitrarie e la
persecuzione politica rappresentano la strategia di uno stato per far ammutire
le voci dissidenti che denunciano le ingiustizie nel paese e l’indignazione
della quale soffre la maggioranza dei settori sociali.

Attualmente il movimento Congreso de los Pueblos, Marcha Patriótica, la
dinamica indigena, afro, giovanile, degli studenti e dei contadini mostra le
tracce di una storia marcata dal sangue e dalla repressione. La Colombia oggi sostiene
l’ineguaglianza che caratterizza sia la vita in campagna che quella urbana. La
terra del paese, il settore minerario e l’industria nazionale vengono venduti
al settore privato sia nazionale che transnazionale. Si sta vivendo una
mobilizzazione storica in tutto il territorio che dal Governo nazionale
pretende di attenersi agli accordi presi nelle lunghe giornate di
mobilizzazione degli anni precedenti riguardante le terre, le garanzie di
partecipazione politica, la relazione tra il mondo della campagna e quello
urbano e il rispetto dei diritti umani. Dopo una settimana di Paro Nacional il
bilancio sono 3 morti, più di 150 feriti e anche persone scomparse. Come sempre
il governo ha risposto con la repressione politica, i trucchi diplomatici e la
manipolazione mediatica. Questa risposta violenta impedisce la presunta volontà
di pace che dovrebbe significare una vita dignitosa e volontà politica.
Inoltre noi che per vocazione diciamo alla società quello che non viene
comunicato dai grandi media di comunicazione, ovvero noi che ci siamo impegnati
per la costruzione dei media comunitari e alternativi, veniamo minacciati,
assassinati e incarcerati. Fino ad ora nel 2016 si sono avute 68 violazioni
della libertà di stampa e 87 vittime. Noi che ci opponiamo a questo sistema
siamo denunciati come terroristi.
Ci dica la Sua opinione sui grandi cambiamenti che si stanno avendo nella
regione.
L’America Latina, nonostante i miglioramenti che negli ultimi anni si sono
avuti in alcuni paesi sul versante dei diritti umani, sta vivendo una
riconfigurazione del potere neoliberale nella regione. L’Argentina rappresenta
il caso più estremo, ove pochi mesi dall’inizio del mandato di Mauricio Macri,
la massa dei poveri è aumentata di un milione. Le riforme recenti delle
politiche pubbliche in Argentina mettono in evidenza la simpatia del governo
per i media dittatoriali che credevamo superati, come ad esempio l’abrogazione della
legge sui media di comunicazione o il decreto che permettono alle forze
militari di autogovernarsi. Migliaia di persone hanno perso la loro occupazione
e la disoccupazione è in costante crescita in seguito alle tattiche del nuovo
capo di stato che costringe il paese a versare in una crisi cronica. Si tratta
di un attentato alla democrazia e ai diritti che prima in un certo senso erano
garantiti. I picchetti hanno invaso le strade e le forze di sicurezza statali hanno
iniziato una repressione talmente violenta come non la si vedeva dal 2001.
Gli Stati Uniti stanno riconfigurando la loro strategia imperialista e
senza alcun dubbio in Centroamerica e America Latina vivremo dei momento ancora
più difficili.
Come trova la redazione di ProMosaik e che cosa l’ha motivata a collaborare
con noi?
In Europa e Asia le informazioni che giungono sull’America Latina sono
tergiversate dalle imprese multinazionali della comunicazione che appartengono
a diversi miliardari che storicamente hanno cospirato per guidare e manipolare
l’opinione pubblica e le reazioni internazionali nei confronti di quello che
realmente avviene nel continente. Credo che potrò fornire una prospettiva di
giornalismo investigativo ad un livello informativo, e l’approccio necessario
tenendo conto del fatto che le potenze mondiali hanno sostenuto e patrocinato
la formazione di diverse nazioni che sono state governate dalla colonizzazione
imperialista e dalle dinamiche del mercato mondiale. ProMosaik rappresenta una
nuova opportunità per far circolare il rovescio della realtà, mettendo in primo
piano le voci che non sono state ascoltate, la diversità delle prospettive sia
comunicative che organizzative che al momento monopolizzano l’agenda delle
lotte sociali nei territori più sfruttati e ineguali del mondo.