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I 10 lavori più umili

di Emanuela Bambara,
interris, 02 Maggio 2016.



Umile, nell’etimologia
latina, significa “legato alla terra”

(da humus,
terreno). 

In questo tempo di crisi del capitalismo finanziario,
accompagnata e seguita alla crisi industriale, in cui la moneta – e
in particolare la carta moneta – è un bene svalutato, il “ritorno
alla terra”, all’umiltà, appare come la vera via di salvezza. 

Il
lavoro più umile è il più dignitoso e redditizio. 

A partire dal
primo, il lavoro della terra, appunto, quello del contadino, che
coltiva i campi e alleva gli animali. 

L’attività dell’agricoltura
ha segnato il passaggio dell’umanità dallo stato
selvaggio-primitivo a quello di civilizzazione, circa diecimila anni
fa. È il lavoro più importante, perché serve a soddisfare un
bisogno primario per la stessa sopravvivenza. 

Ed oggi sono in tanti,
anche tra laureati e borghesi, a scegliere il ritorno al lavoro della
terra come rifugio da una società tecnologizzata sempre più insana
e povera, economicamente e spiritualmente. 

Mattia Di Nicolò, Yuri
Marchionni e Valerio Pierantozzi, per esempio. Tre amici trentenni,
che hanno lasciato le loro occupazioni – chi da precario, chi con
maggiore stabilità – per creare insieme un’azienda agricola
biologica e che rispetta la biodiversità.



Da una indagine della
Coldiretti risulta che sono oltre 70mila i giovani

che tornano all’agricoltura. 

C’è, però, l’altra faccia del
pianeta, che, in Italia, ha i colori dell’horror. 

Per molti
braccianti, soprattutto immigrati, donne e minori, il lavoro della
terra è una schiavitù. 

Sono gli “invisibili” al mondo e alla
dignità: senza un contratto o con buste paga false, faticano oltre
14 ore al giorno, per meno di 3 euro l’ora, spesso senza accesso
all’acqua potabile e ai servizi igienici, in condizioni di
sicurezza ad alto rischio per la salute e per la stessa vita. 

Alcuni
sono perfino obbligati a drogarsi, per sostenere il peso di tante
giornate da zombie di umanità. In Calabria, in Puglia, in Campania,
gli schiavi della terra sono oltre 100mila. Perlopiù, è un
commercio gestito dalla malavita locale. 

Nel silenzio delle
istituzioni, al buio delle forze dell’ordine e dei media. In altri
Paesi sviluppati, invece, lavorare la terra vuol dire una prospettiva
di ricchezza, non soltanto per il “padrone”. 

In Svizzera si
offrono anche 3mila euro al mese agli aspiranti agricoltori.



Lavorare l’orto è anche
un’esperienza di pace.
 

È un apprendimento a prendersi cura, di una pianta e di un animale,
dalla semina e dalla nascita per tutti gli stadi di sviluppo. È
un’educazione alla responsabilità, alla stabilità, all’amore,
all’armonia, alla pace. Don Tonino Guerra invitava a “riempire di
stupore la fantasia dei ragazzi con lo spuntare di una foglia e il
lento apparire di un colore sul pomodoro”. 

È il lavoro umile
dell’insegnante, che “coltiva” gli allievi proprio come
orticelli, seguendo e impartendo regole di buona convivenza con
l’attenzione e il rispetto per la personalità libera e originale
di ciascuno. 

I “semi” di un buon insegnante, di conoscenze e di
sapèri, ma anche, di virtù umane e civili, di addestramento ad
“essere cittadini del mondo”, fanno crescere la “pianta”
della persona adulta, rendendolo un bravo lavoratore di umanità.



Anche l’artista lavora la
terra.
 

Lo scultore
modella l’argilla, la cera, il gesso, il ferro, il bronzo, intaglia
il legno, la pietra, il marmo, il pittore disegna e compone e usa i
colori, per creare forme nuove di vita nelle sue opere, sull’esempio
della natura o inventando regole di composizione, trovando un senso
nuovo nella realtà. 

Così – spiega il filosofo Immanuel Kant, ne
“La Critica del Giudizio” – il genio umile dell’artista, che
lavora tra razionalità e immaginazione, produce bellezza. 

Eppure,
l’arte è considerata come una delle attività dell’uomo più
“elevate” culturalmente, insieme alle attività intellettuali.
Per i Greci, sette muse sovraintendevano alle sette aree di
eccellenza della creatività umana: poesia, storia, canto, musica,
tragedia, preghiera, teatro, danza, astronomia e geometria. E quella
dell’artista è anche una “carriera”. 

Esistono portali di
offerta e di ricerca di lavoro specializzati (come artjob) e c’è
un Sindacato nazionale degli artisti (Asnai), un Albo e tante
associazioni. Mentre cresce il numero dei cosiddetti “artisti di
strada”. In Italia, sarebbero almeno 10mila, tra giocolieri,
funamboli, acrobati, mimi, danzatori e cantanti. Solo a Roma e
Milano, in oltre 3mila si sono iscritti nei registri comunali.



L’arte edile è un modo di
lavorare la terra e trasformarla all’uso dell’uomo.
 

Il muratore “prende le misure” e con scalpelli, spatole e
cazzuole, con piccone, badile e martello, costruisce le case e le
abbellisce. Così l’architetto e l’ingegnere, organizzano lo
spazio dotandolo degli strumenti tecnici utili a soddisfare le
necessità biologiche dell’essere umano, di sicurezza e di
bellezza.



Umile vuol dire anche “con i
piedi per terra” (da
ilìum,
osso iliaco).
Un lavoro
umile è, insomma, un lavoro concreto, “utile”. Schiena dritta e
piedi bene a terra hanno, per esempio, medici e infermieri, ma anche
poliziotti e carabinieri. Chi, cioè, mette a disposizione il suo
tempo, le proprie capacità e competenze per aiutare l’umanità a
stare bene, sono a servizio della salute e del benessere del corpo
personale e sociale.



Nell’uso comune, il termine
umile indica chi “sta a terra”
,
in basso, nella gerarchia sociale. Il cameriere e il collaboratore
domestico, per esempio, eseguono compiti operativi su ordine di
qualcuno. Ma, come ben evidenziava il filosofo Hegel nella
“Fenomenologia dello Spirito”, chi dipende dall’altro, tra il
servo e il padrone, è quest’ultimo. 

Il signore è il vero schiavo,
perché dipende dal lavoro dell’altro. 

Dunque, chi sta realmente
“in basso” è chi gerarchicamente – e spesso economicamente –
occupa una posizione più elevata.



Grande è il lavoro che viene
svolto con umiltà
, con
amore per la vita, per il mondo e per se stessi. Ci sono, poi,
purtroppo, lavori umiliati e lavori umilianti. 

I primi, sono quelli
ai quali non è riconosciuta la giusta dignità, il meritato compenso
e il doveroso merito del loro vero valore per la realizzazione della
persona umana e la crescita nei principi di umanità. 

I secondi, sono
quelli che offendono la dignità della persona, e non possono neppure
essere definiti tali. 

Il lavoro, infatti, è un’attività che
implica l’impiego di energie e risorse per il raggiungimento di un
fine che, comunque, deve consistere in un servizio utile alla
società, per il quale si ottiene un compenso adeguato all’autonoma
e dignitosa esistenza. 

Ogni altra condizione è uno schiaffo
alla civiltà del lavoro, del diritto, dell’uomo.