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Graffiti, frustate e insulti all’Islam

di Monica Macchi (*), 24
Maggio 2016.

Un
appello internazionale per Keywan Karimi



Riprendendo l’appello
lanciato a dicembre da cineasti iraniani tra cui Jafar Panahi,
giovedì scorso, registi e attori riuniti al 69° Festival di Cannes
in un comunicato sottoscritto da quaranta organizzazioni
professionali internazionali [fra cui il W & DW – Worldwide
scrittori e registi, FERA – Federazione europea dei registi, il
ADAL – America Latina audiovisivi Amministrazione Alliance,
European Film Academy, la ARP – Società civile degli Autori,
registi e produttori (Francia), l’Accademia del Cinema Italiano –
Premi David di Donatello, la Biennale di Venezia – Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica e DAC – Directores
Argentinos Cinematográficos] hanno chiesto «ufficialmente e
solennemente alle autorità iraniane la grazia per Keywan Karimi»,
documentarista curdo iraniano condannato a sei anni di carcere e 223
frustate per il film documentario «Writing on the city» di cui
potete vedere qui il trailer
(
https://www.youtube.com/watch?v=3laaKrp5ebE). 

Si tratta di un racconto storico-sociologico attraverso i graffiti di
Teheran che documentano l’Iran fra la rivoluzione khomeinista e le
manifestazioni contro Ahmadinejad.




Karimi ha
già al suo attivo diversi lavori sulla minoranza curda, sul
contrabbando di petrolio nelle zone di confine con l’Iraq, («Broken
Borders») e sui problemi delle giovani coppie («The adventure of
the Married Couple», trasposizione iraniana di un racconto di
Calvino).



Il 13
ottobre 2015 è stato condannato a sei anni di prigione e 223
frustate per «propaganda contro il sistema» e «aver insultato
l’islam» da un giudice, Mohammad Moghiseh, già noto ai gruppi
internazionali per la difesa dei diritti umani per il suo attivismo
nel reprimere giornalisti e oppositori e segnalato per questo
all’Unione europea. 
Domenica 21 febbraio 2016 gli è stata
notificata la sentenza definitiva: un anno di carcere, 223 frustate e
una multa di 20 milioni di rial (circa 600 euro).



Ancora una
volta (come nel caso di Atena Farghadani) il legame tra graffiti e
insulto all’islam…


(*) ripreso da Per
I Diritti Umani





FONTE: La bottega del Barbieri