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Udine, la punta estrema dell’Italia che non sa accogliere.

di Angela
Caporale, www.vociglobali.it,
02 Aprile 2016
Migranti stazione di Udine 1
Zakir, Hussain e Kashif aspettano di andare a dormire nel sottopassaggio fuori dalla stazione di Udine
Non
sarà certo la consueta pioggia friulana a fermare il gruppo di
migranti, tutti ragazzi con meno di 30 anni, che aspettano i
volontari per mangiare qualche biscotto, bere un tè caldo,
raccogliere le coperte per dormire, un’altra notte ancora, nel
sottopassaggio della
stazione
ferroviaria di Udine
.
Il
copione è sempre lo stesso: arrivano i volontari dell’associazione
Ospiti in Arrivo
con le loro pettorine catarifrangenti e, tra le
luci al neon che arrivano dall’interno e l’andirivieni dei fari
delle automobili, un disordinato gruppo silenzioso di migranti si
prepara a dormire in quello che, negli ultimi mesi, è diventato
quasi un dormitorio di fortuna.
Sono
state le prime giornate d’autunno a creare questa situazione: se
prima chi non riusciva ad essere accolto nelle strutture ufficiali
dormiva al parco, la pioggia e il vento hanno reso questa soluzione
impraticabile. Il sottopassaggio secondario della stazione è
sembrata la soluzione ideale – anche perché vi erano già altri
“inquilini”.
Giorno
dopo giorno,
la
“jungle” friulana

ha preso forma, come racconta Susanna, volontaria di Ospiti in
Arrivo, “
la
stessa Polfer si è sempre dimostrata disponibile e comprensiva.
Anche tra i passanti c’è chi evita accuratamente ogni contatto e
chi si avvicina, curioso, a noi volontari per chiedere come fare per
aiutare.
Secondo
le stime di
OiA,
sono state
più
di 2000 le persone a transitare e dormire in stazione negli ultimi
mesi
,
con picchi anche di 150 a notte lo scorso dicembre.
Il
flusso non è costante, ma si parla di circa
dieci
nuovi arrivi al giorno
.
Ospiti
in Arrivo opera formalmente dal dicembre 2014 e, raccontano, c’è
sempre stata gente costretta a dormire fuori, in strada.
Fino
a qualche giorno fa la situazione era drammatica: durante la
settimana di Pasqua, ci sono state notti in cui più di 70 persone
hanno trovato rifugio nell’area della stazione.
Non
sono mancate le proteste e le denunce di degrado, tant’è che il
prefetto Zappalorto, solo qualche giorno fa, ha
dichiarato al Messaggero Veneto
che si adopererà per chiudere il
sottopassaggio: “
Chiuderemo
i cancelli da dentro. Non possiamo più permettere che questa
situazione si ripeta
“.
Sebbene
non sia seguito alcun provvedimento esplicito, martedì sera un
gruppo di volontari della Croce Rossa, responsabili dell’ex
caserma Cavarzerani che oggi accoglie più di 500 profughi
, ha
prelevato direttamente dalla banchina esterna della stazione un
gruppo di ragazzi per portarli nell’ex complesso militare.
Mercoledì,
invece, è toccato alla Polizia dare seguito ad un
ordine
di sgombero del sottopassaggio
:
chi ha un qualche documento, compreso l’”invito” rilasciato
dalla polizia di frontiera, deve dirigersi al campo di via Cividale,
chi non ha nulla in mano, passerà la notte in Questura per procedere
con l’identificazione.
Migranti in stazione a Udine 2
I migranti, insieme a Susanna di Ospiti in Arrivo

Abbiamo
un problema, abbiamo un problema. Puoi aiutarmi?
“,
chiede 
Hussain,
1 metro e 50 di uomo quasi sommerso dalle sue coperte che corre come
una trottola per il primo binario trascinando con sé una borsetta di
plastica rosa che contiene tutti i suoi averi. 

Hussain è in Italia
da qualche giorno, come tutti gli altri è arrivato dall’Austria,
come (quasi) tutti gli altri proviene dal Pashtunistan,
un’area compresa tra
Afghanistan
e Pakistan
,
roccaforte storica dei gruppi Taliban e, per questa ragione, area
fortemente colpita dai conflitti emersi dopo il 2013.

Nyazy,
invece, è sconsolato: non c’è posto per lui nel sistema di
accoglienza perché, non sa nemmeno lui spiegare come, risulta che
sia ricco. Ricco come può essere un ragazzotto di venticinque che in
una mano tiene il suo telefono cellulare a conchiglia e, nell’altra,
stringe un quaderno e una penna: “
Voglio
imparare l’italiano, per questo mi serve il quaderno
“. 
Stanotte andrà così, domani si cercherà di risolvere la
situazione.

Zakir, Hussain e Kashif

aspettano. 

Sono gli ultimi arrivati, chiedono di essere fotografati,
sono felici di essere in Italia nonostante l’accoglienza non sia
delle migliori. Sono tutti e tre pakistani, ma c’è chi parla Urdu,
chi parla Pashtun, in qualche modo si capiscono tra di loro, ma è la
sigaretta condivisa e il silenzio sul viaggio che li ha portati qui a
unirli.
Migranti in stazione di Udine 3
Migranti alla stazione di Udine

L’intervento
della polizia di mercoledì sera ha creato non poco scompiglio.

Giusy,
una delle volontarie, scuote la testa: “
Non
ne sapevamo nulla, eppure siamo noi qua ogni giorno in strada a
prenderci carico, in qualche modo, della situazione
“.
Ma
come
si è arrivati a questa situazione

quasi endemica per cui, per mesi, la prima accoglienza ai migranti
avviene in questo modo?
Si
tratta di una scelta politica, o meglio della mancanza di una forte
imposizione politica –
spiega
ancora Susanna –
mentre
il Comune di Udine si è attrezzato per accogliere il numero di
richiedenti asilo e profughi previsto, alcuni Comuni della provincia
ancora si oppongono. Il risultato è che un numero di ragazzi non
eccessivo rispetto alla popolazione locale finisce in strada,
visibile da tutti, costretto a stare in situazioni di degrado.
Il
paradosso è, anche, questo: a fronte di un dibattito pubblico e
politico alquanto polarizzato, ma vivo, le azioni concrete sembrano
uno specchietto per le allodole.
Tutti
passano per la stazione, ciascuno con la sua soluzione, ciascuno
relazionandosi a suo modo con i ragazzi, ciascuno con un compito da
portare a termine prima di tornare a casa, eppure nulla o quasi
sembra cambiare.
Mercoledì
notte, nonostante tutto, almeno una decina di profughi ha ugualmente
dormito in stazione. Si sono messi in fondo, quasi con la speranza di
non dare nell’occhio nonostante le coperte colorate.
Shakir,
avvolto in un plaid giallo evidenziatore, canta sottovoce una canzone
tradizionale, accompagnamento naturale del momento del tè.
Si
guarda attorno, con gli occhi grandi, accenna un sorriso.
Gul,
che in Italia è arrivato circa nove mesi fa e oggi collabora come
interprete, spiega che molti viaggiano leggeri, giusto i vestiti che
hanno addosso e poco di più, ma il bagaglio più importante è
proprio quell’insieme di
usi,
costumi e tradizioni

che ruotano intorno alla loro terra d’origine; sono uomini fieri,
ma con un forte senso di ospitalità che, spesso, anche qui in Italia
si esprime nel condividere un té chai, ovunque questo sia possibile,
compreso il freddo sottopassaggio di una stazione in una fredda sera
di primavera.
Migranti stazione Udine 4

Troppo
spesso, da quando si è cominciato a percepire la “crisi” dei
rifugiati,
la
strada è diventata quello spazio pubblico e condiviso dove
incontrarsi
.

La
stessa strada dove sguardi torvi, bassi, sfuggenti si susseguono.
Le
stazioni, ancor di più, sono naturali luoghi di incontro e scontro
di persone, traiettorie e culture. Udine non è un’eccezione, è
soltanto
un
esempio di quel che potrebbe accadere anche altrove
.
Milano
Centrale

è stata per due anni il luogo di transito privilegiato, ma non solo,
delle migliaia di Siriani che hanno attraversato l’Italia e, oggi,
è attivo un hub all’interno della stazione stessa; accanto a
Roma
Tiburtina

è la Croce Rossa ad assistere i migranti in arrivo in una tendopoli.
Crotone,
Verona, Bolzano
,
l’inadeguatezza del sistema di accoglienza di fronte al flusso
migratorio è sotto gli occhi di tutti.
È
l’incertezza a caratterizzare la quotidianità, è l’abitudine a
non sapere cosa accadrà da lì a poche ore a scandire il passare dei
giorni, sono stratagemmi che non risolvono il problema e pongono,
ogni giorno, una nuova toppa: questa è la realtà quotidiana di chi
viene trasportato di qua e di là, in fuga dalla guerra e dalla
povertà, e si trova, ancora una volta, sulla strada senza sapere
cosa ne sarà di lui.
In
fondo, “
Quando
scendi in strada, non puoi mai sapere davvero come andrà a finire
“,
sospirano le volontarie.