La complicità della Russia: Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sostiene l’insediamento dagli Occidentali di un governo illegitimo in Libia
di Knut Mellenthin, junge Welt, 16/3/2016. Tradotto da Milena Rampoldi
Originale: Russlands
Komplizenschaft: UN-Sicherheitsrat unterstützt Einsetzung einer nicht
legitimierten libyschen Regierung durch den Westen
La politica estera russa a volte risulta di difficile comprensione. Il presidente Wladimir Putin lunedì sera ha annunciato il ritiro della maggior parte delle forze armate russe dalla Siria, visto che il loro lavoro sarebbe concluso. Ma rimane enigmatico anche il comportamento di Mosca nei confronti della Libia in cui la NATO da un anno programma e prepara apertamente un intervento.
Le unità speciali e i team dei servizi segreti usamericani, francesi, britannici e italiani in parte sono attivi sul territorio dello stato nordafricano da mesi.
Lunedi mattina il ministro degli esteri russo Sergej Lawrow ammonisce che l’intervento dell’alleanza occidentale è possibile esclusivamente con l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un eventuale mandato delle Nazioni Unite deve essere formulato in modo “non equivoco”, tale da “non permettere alcune interpretazioni travisate ed errate”. Alcune ore più tardi i rappresentanti russi nel Consiglio di Sicurezza hanno accettato un consenso che non nel suo tenore, ma tradotto nella politica concreta, significa esattamente il contrario.
Questa volta non è stata decisa alcuna nuova risoluzione. Invece l’attuale presidente del Consiglio di Sicurezza, l’angolano Ismael Abraão Gaspar Martins, è stato autorizzato ad emettere un comunicato di stampa. Si tratta di un procedimento usuale che presuppone l’univocità dei 15 membri del consiglio. Il testo in generale si richiama alla risoluzione 2259 del 23 dicembre 2015 e rispetto a questa presenta solo poche novità. Il punto decisivo del comunicato stampa: Il Consiglio di Sicurezza accetta e sostiene l’avanzata del “governo di unità nazionale”, composto dall’Occidente che provvisoriamente ancora risiede in Tunisia, affinché questo si appropri dell’intero potere in Libia e riconquisti Tripoli.
Dall’estate 2014 una coalizione di partiti islamisti governa la capitale libica. Questa coalizione ha ripetutamente ammonito di opporsi con la resistenza armata all’insediamento del governo in esilio nella capitale. Nel comunicato stampa il Consiglio di Sicurezza dell’ONU esorta il governo in esilio a trasferirsi quanto prima nella capitale per conquistare il potere. Non viene spiegato in che modo raggiungere questo scopo: il “governo di unione nazionale” infatti non dispone di proprie forze armate, ma dovrebbe prima cercarsi degli alleati tra le numerose milizie e tra i molti eserciti privati del paese e forse anche appoggi della NATO.
Inoltre, nascosto in una frase secondaria, un monito che relativizza la dichiarazione apparentemente chiara di Lawrow: agli stati membri delle Nazioni Unite viene richiesto di rispondere con urgenza ad ogni richiesta di sostegno da parte del “governo di unione”. Questo aspetto nel testo non viene limitato o concretizzato da nulla.
Se osserviamo il tutto in dettaglio, la Russia riguardo a questa questione ha poco margine di manovra politica, dopo aver votato a favore della risoluzione 2259 il 23 dicembre 2015 nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, visto che questa risoluzione è poi stata chiaramente confermata nel comunicato stampa. Mosca a quei tempi non solo sosteneva l’insediamento del governo libico privo di legittimazione democratica nel contesto di una “procedura” controllata dall’Occidente, sulla quale la Russia non poteva avere influenza. La risoluzione 2259 inoltre in tre punti contiene il “monito urgente” rivolto a tutti gli stati membri di rispondere alla richiesta di sostegno da parte del “governo di unione” e sostenerlo “rapidissimamente”, in particolare nel caso di minacce alla sicurezza interna e nella lotta contro lo stato islamico, al-Qaida e tutte le possibili organizzazioni islamiste non elencate in dettaglio. La NATO ha già utilizzato delle argomentazioni più speciose per giustificare le proprie intervenzioni militari.