Khalil Gibran e il romanticismo.
Redazione Italia, frontierenews, 23 Marzo 2016.
Ispiratosi al modello europeo e soprattutto ai suoi grandi pionieri,
il romanticismo nel mondo arabo nasce come un movimento di radicale
opposizione al classicismo della letteratura e del pensiero precedenti.
Così all’inizio del ventesimo secolo si sviluppa, fra vari scrittori
arabi, una coscienza romantica alla ricerca di un nuovo linguaggio e di
un’adeguata struttura di pensiero; tale coscienza comincia ad acquistare
la sua maturità confrontandosi, da una parte, con le esigenze del
contesto sociale in cui nasce e, dall’altra parte, aprendosi alla
letteratura occidentale, soprattutto alla ricca e vasta tradizione
ottocentesca.
Kahlil Gibran |
Una figura poetica di primo piano in questo percorso è
senz’altro Gibran che, scoprendo il modello romantico, ne ha permesso
l’introduzione, anche se in forma non subito ufficiale, nella
letteratura del mondo arabo. In questo articolo mi soffermerò sulla più
evidente influenza da egli subita, cioè quella del modello poetico di
William Blake.
Di origine libanese, vissuto e morto in America a cavallo fra fine
800 e inizio 900, adottando sia la lingua araba nei primi anni della sua
carriera letteraria che quella inglese nelle opere della maturità fino
alla morte, lo scrittore del movimento Mahjar Gibran Kahlil Gibran si
trova sin dall’inizio del suo percorso dinanzi ad una contraddizione
lacerante tra due mondi diversi, Oriente e Occidente, che egli da
scrittore immigrato risolve solo con l’arte, specialmente la poesia,
nella sua veste di riconciliatrice degli opposti.
A distanza di quasi un
secolo dalla grande stagione del romanticismo europeo, lo scrittore
libanese viene, appunto, definito da A. Rodin nel 1908 “le William Blake
du vingtième siècle”, per la sua poesia visionaria, per il suo
tentativo di trovare una sintesi alle contraddizioni più rilevanti e per
la consapevolezza stessa che egli aveva delle proprie doti profetiche,
come scrive in una lettera del 1930 a May Ziadeh:
book –only one small book- I was born to live and suffer and to say one
living and winged word and I cannot remain silent until life utters that
word through my lips.
Gibran incarna, prometeicamente, il simbolo del genio romantico in
lotta contro la realtà mediocre con la quale si scontra costantemente
nel suo itinerario verso l’infinito, ma che proferirà la sua parola per
la quale è venuto al mondo,
una parola profetica che lo ha sempre
infiammato finché non si è finalmente concretizzata nella produzione
artistica.
Il suo “living and winged word” di cui parla nella lettera
citata si è tradotto infatti in un messaggio di amore e di libertà, in
una poesia di unione che cercherà di abbracciare gli opposti, di
riconciliare le contraddizioni e di stringere le distanze, fino a
fonderle in un incontro ideale, ispirandosi ai precedenti ideali
ottocenteschi di cui si è nutrito il pensiero romantico europeo, e, in
particolare, al poeta inglese William Blake, “the God-man”, secondo le
parole di Gibran stesso.
La scoperta di Blake, avvenuta proprio grazie a
Rodin nei primi anni di contatto del giovane scrittore arabo con la
cultura occidentale durante un viaggio-studio a Parigi, è stata molto
decisiva e importante per la sua formazione futura, e Gibran ricorda
così l’incanto duraturo di questo momento straordinario:
to-day to Rodin who led me to Blake.
not happen except in their due time.
I always thought me a stranger in this world.
me company. I thought me a lonely wanderer; now is Blake with his torch
lighting my path. What kinship is there between me and that man?
soul come back to this earth to dwell in my body? (…) I shall be happy
when men shall say about me what they said of Blake: ‘He is a madman.’
Madness in art is creation. Madness in poetry is wisdom. Madness in the
search for God is the highest form of worship.
A sostegno dell’affermazione profetica di Rodin, la prima affinità
palese che lega Gibran a Blake è senz’altro quella dell’uso
contemporaneo di due arti espressive, ovvero la poesia e la pittura, non
sempre indipendenti l’una dall’altra, specialmente nel loro caso.
Infatti, unendo la parola al disegno, in un quadro armonico, i due
artisti danno piena espressione al loro pensiero scegliendo, pertanto,
una scrittura simbolica, basata sulla realizzazione di una mitologia in
cui convergono, in un modo coerente, il verbale e il visivo. E così,
nasce, nelle loro opere e in modo particolare nella loro poesia, il
mondo mitologico come una specie di controsistema in cui il concettuale e
il visivo convivono, traducendosi in un genere visionario e di
unificazione.
Blake tenta la riscrittura della realtà e la ridefinizione
del processo vitale in chiave simbolica, ermetica a volte, ma la fonte
ispiratrice della narrazione blakiana rimane comunque la Bibbia, in
quanto la sua mitologia si accosta al mito della caduta e alla figura
salvifica, identificata con Cristo o con il “Genio Poetico”, che
riscatta l’umanità dal peccato originale. La mitologia gibraniana
percorre lo stesso itinerario, perché comincia partendo da un mondo
popolato da dei e abitato da angeli e demoni, per poi fluire anche essa
in una sintesi di chiave cristiana, che coincide sia con la figura di
Gesù, tanto amata dallo scrittore libanese fino all’ossessione, che con
il messaggio della salvezza finale e dell’amore, sfondo quasi costante
della sua produzione artistica.
Comunque quella dei due artisti, anche se ispirata al messaggio
biblico, rimane una mitologia piuttosto personale creata per fungere da
maschera dietro la quale nascondere, a volte, le proprie delusioni del
mondo e, altre volte, la propria consapevolezza di una realtà
contradittoria nella quale si trovano a dover vivere; è la
consapevolezza dello spirito romantico, dissidente e ribelle, che, una
volta rigettato il mondo reale del suo tempo, ha bisogno di creare e di
dipingere un mondo nuovo, il proprio.
Tuttavia, nonostante il suo
carattere personale, questa mitologia è anche un ordine in cui
convergono passato e presente, in cui il destino individuale si estende
ed abbraccia quello universale, in cui visione e storia si sposano.
Spesso il ricorso a trame mitologiche potrebbe essere l’espressione
velata di un desiderio profondo di cambiare l’ordine attuale e di un
richiamo esplicito alla rivoluzione.
Nell’impotenza di attuarla, si
cerca di sconvolgere la struttura del reale creando un mondo fantasioso e
irrazionale sul quale proiettare le proprie frustrazioni e aspettative
mancate, e quindi si può affermare che la mitologia dei due artisti,
intesa come alternativa, non è soltanto un rifugio idealistico, ma ha
anche alcune implicazioni di tipo politico, perché usando un genere di
tipo apparentemente irreale, i poeti lasciano intravvedere le loro
critiche e disapprovazioni.
Consapevole della reazione forte che i suoi
scritti spesso suscitano nel mondo arabo dell’epoca, per le proprie
posizioni politiche e letterarie in genere troppo audaci e provocatorie
per lo spirito di allora, Gibran confessa in una lettera all’amica Mary:
Absolutism has no country –but my heart burns for Syria. Fate has been
cruel to her – much more than cruel. Her gods are dead, her children
abandoned her to seek bread in faraway lands, her daughters are dumb and
blind, and yet She is still alive –alive –and that is the most painful
thing.
which may turn the whole Arabic world against me.
for it! I am getting used to being nailed on the cross.
Quasi tutti i poemi di Blake, soprattutto quelli del periodo della
maturità, ruotano attorno al tema della caduta che il poeta romantico
personalizza e percepisce come il mito della divisione che avviene
all’interno dell’io.
Nonostante questo suo carattere conflittuale, essa è
tuttavia, secondo la concezione di Blake, un processo obbligatorio
determinato dalla scissione dell’unità originaria, ovvero dal passaggio
dallo stato dell’innocenza a quello dell’esperienza.
Infatti nella prospettiva gnostica la caduta interviene non solo a
spiegare la scissione ma anche a preparare, come destino provvidenziale o
atto della divina misericordia, ciò che concilia e salda e restituisce a
sé l’unità disintegrata.
E in questo senso, veramente, la caduta
esprime il momento della mediazione.
The Four Zoas, ad esempio, si apre con il canto delle figlie di
Beulah che introduce l’evento della caduta di Albione e, sin dal
principio, si nota il carattere salvifico e positivo che Blake
attribuisce ad un fenomeno come quello della caduta che diventa
strumento di rinascita: l’io compie una discesa verso il mondo della
finitezza fino ad arrivare al regno della degradazione, o addirittura
alla morte, per poi rinascere in eterno.
Prima della scissione, i
quattro eterni partecipavano all’unità originaria con la quale erano in
assoluta armonia, ma dopo la caduta e dopo che Albione si è trovato
nella condizione degradata di un uomo caduto, l’armonia iniziale viene
spezzata e, di conseguenza, subentrano sentimenti di conflitto e di
contrasto tra gli stessi Zoa.
In principio, cioè nello stato originario,
questi esseri rappresentavano quattro elementi fondamentali nella
natura umana, Urizen, la ragione; Urthona, l’immaginazione; Tharmas, il
corpo; Luvah, l’emotività.
E con la caduta e con il conseguente
capovolgimento degli ordini, invece, la situazione si rovescia: gli Zoa
continuano a rappresentare gli stessi elementi ma nella loro negatività,
cioè nel loro stato degradato. In seguito all’allontanarsi dalla fonte
primaria, essi entrano in conflitto tra di loro e si combattono, nelle
prime sette notti del poema, e così all’armonia originale si sovrappone
la volontà di predominio sull’uomo: con la caduta, passaggio necessario e
inevitabile per recuperare l’integrità perduta, diventano strumenti di
restrizione e di annientamento e fonti di fratture continue.
Il finale
del racconto, tuttavia, esalta la rinascita e il trionfo che passano
attraverso la scena apocalittica:
Play in his smiling beams giving the seeds of life to grow,
And the fresh Earth beams forth ten thousand thousand springs of life.
Urthona is arisen in his strength, no longer now
Divided from Enitharnom, no longer the Spectre Los.
Nella sua opera The Earth Gods, anche Gibran tratta il tema della
caduta e del conflitto che affligge l’anima umana prima della
risoluzione finale, quella della divinizzazione dell’io, the god-self.
Il poema, imperniato sul destino dell’uomo, è scritto in forma di
dialogo fra tre dei, che rappresentano tre grandi tendenze del cuore
umano, mentre l’uomo, oggetto di questo dibattito titanico, sembra un
campo aperto sottoposto alle influenze di un conflitto invisibile ma
infinito.
In questa lotta, i due destini, quello divino e quello umano,
devono intrecciarsi per giungere ad un’unica meta finale, poiché, nella
mitologia gibraniana, gli dei non sono altro che il simbolo stesso di
tre desideri, non manifestati, della natura umana che, a sua volta, non è
altro che il prolungamento dell’io divino.
L’apparizione dei tre dei,
the Master Titans of life, anche qui avviene di notte, quando entrano in
scena e iniziano i loro dialoghi in un’elevata atmosfera notturna che
aleggia sulle colline. Il primo è un vecchio dio pessimista, dallo
sguardo spento, disgustato dalla vita e stanco delle sue faccende che
desidera il proprio annientamento; i valori, per costui, non sono che
delle vanità e la sua unica brama è quella di svanire e di annientarsi
dalla memoria del tempo per passare al nulla:
I would not move a hand to create a world
Nor to erase one. (…)
Could I but lose the primal aim
And vanish like a wasted sun; (…)
Could I but be consumed and pass from time’s memory
Into the emptiness of nowhere!