Sul Mito della Purificazione con la Vergine: Questioni di Genere, AIDS ed Etnomedicina
La credenza che l’HIV/AIDS possa venire curata facendo del sesso con
delle vergini è stata identificata come possibile fattore alla base
dello stupro di bambine e ragazzine in Sudafrica. Mentre per un certo
periodo la diffusione di questo mito è stata identificata come questione
di interesse delle comunità locali, ci sono stati recentemente dei
tentativi volti a stabilire l’entità con cui tale credenza sta
aggravando il già rilevato aumento di stupri infantili e di nuove
infezioni da HIV a livello nazionale. Quest’articolo tenta di mostrare
la logica sistematica sulla quale si basa l’idea della “purificazione
con la vergine” come risposta terapeutica all’HIV/AIDS fra la
popolazione che si identifica come zulu. Concentrandosi sulla ricerca
etnografica in diversi insediamenti peri-urbani della provincia di
KwaZulu-Natal, vengono esaminati gli aspetti chiave della conoscenza
etnomedica associata ai concetti di “sporco” e di corpo femminile,
insieme anche ai simboli dietro alle interpretazioni locali
dell’HIV/AIDS. L’autrice afferma che, nelle questioni di stupro e AIDS,
diviene centrale dedicare una maggiore attenzione a come le influenze
modellano gli schemi culturali, al fine di una migliore comprensione
delle connessioni credenza-comportamento.
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Introduzione
La questione dello stupro infantile in Sudafrica ha attirato negli
ultimi anni l’attenzione di un vasto pubblico. Alla fine del 2001, i
servizi dei media riguardo il brutale stupro di gruppo di una lattante
vennero accolti da una forte richiesta popolare per porre fine al clima
di relativa impunità con quale viene trattato lo stupro in quel Paese.
Nel tentativo di affrontare ciò che era ampiamente percepito come un
problema crescente, il Parlamento tenne una tre giorni di discussioni in
merito; questo nel periodo precedente a un nuovo Decreto sugli abusi
sessuali, atteso per il luglio del 2002. Se l’incremento degli abusi
sessuali sui bambini sia il riflesso di un aumento della copertura
mediatica del tema oppure un vero aumento di incidenza è argomento di
accese discussioni ad ogni livello della società. Il Governo ha fatto un
appello agli esperti di scienze sociali, ai ricercatori medici e ai
criminologi affinché insieme portino avanti degli studi per intendere
meglio questo problema. Un appello opportuno. Dalla metà degli anni ’90
in poi, i media statali sudafricani hanno fortemente incrementato la
copertura di ogni tipo di abuso sessuale e violenza di genere.
Secondo uno studio di livello nazionale effettuato dall’Università
del Sudafrica, vengono violentate ogni anno un milione di donne e
bambine, che rappresenteranno solo una parte dei numeri totali
riguardanti il problema stupri, dato che molte vittime non denunciano il
fatto alle autorità (1).
Come parte di quella che viene considerata un’emergenza a livello
nazionale, lo stupro di una giovane bambina ha provocato la più grande
indignazione dell’opinione pubblica. A fine 2001, nel South African Medical Journal,
apparse l’articolo di due medici che descrivevano gli schemi di lesioni
e l’appropriato trattamento da riservarsi a bambine vittime di stupri.
(Van As et al, 2001). A questo seguì un’intervista sul prestigioso The
Lancet, a tema abusi infantili in Sudafrica; qui gli autori specularono
riguardo il ruolo del “mito della vergine” come fattore scatenante tale
crimine (Pitcher e Bowley, 2002). Diversi ricercatori sudafricani
rapidamente risposero incentrando l’attenzione più sulla pervasiva
violenza strutturale presente nella società contemporanea come risultato
del brutale passato del Paese (2). Rachel Jewkes, la Direttrice della
ricerca su genere e salute al Medical Research Council, affermò
che “la radice del problema dello stupro infantile risiede
sostanzialmente in questioni più consuetudinarie. Dovrebbe essere
considerato come parte della serie di violenze sessuali ai danni di
donne e ragazze (citato in Michaels, 2002).” Secondo gli studi della
Jewkes e di altri, non c’è alcuna evidenza che il numero di stupri
infantili stia aumentando in Sudafrica. Tali affermazioni hanno lasciato
esterrefatti i membri della professione medica e dei servizi di
protezione minorile, molti dei quali sostengono di non aver mai
immaginato di dover avere a che fare con tali livelli di brutalità come
in questi casi di stupro infantile diventati per loro una routine
lavorativa (3). Nonostante non risulti disponibile un’evidenza
statistica dell’incremento di tale crimine, è rimasta l’ampia percezione
del problema come di un’emergenza nazionale. Nell’aprile del 2002, il
Ministro dell’Istruzione sudafricano affermò che il Paese stava
rapidamente acquisendo la fama di essere la capitale mondiale dello
stupro infantile, come se fosse il solo tragicamente colpito dalla piaga
degli abusi sui bambini (4).
Questo studio non è né un tentativo di verificare gli incrementi
percepiti dei casi di abuso sessuale o stupro di bambini, né quello di
spiegare questi crimini alla luce del contesto attuale in Sudafrica. Si
focalizza piuttosto sul mito diffuso che un rapporto sessuale con una
vergine sia un trattamento efficace contro l’AIDS. L’autrice afferma che
la stessa iterazione di rifiuto psicologico, presente quando in
Sudafrica si parla di AIDS, influisce anche su quanto si dice
pubblicamente riguardo il mito della vergine. Quest’ultimo è stato
minuziosamente esaminato solamente quando, negli anni scorsi, i media
hanno dato spazio a dei casi di stupro infantile specialmente
raccapriccianti e pure la stampa internazionale cominciava a
interessarsi a tale questione sudafricana. Quanto segue è un’analisi di
quelle che potrebbero essere considerate delle significative
interpretazioni cognitive e metaforiche da cui è derivato il mito della
purificazione con la vergine. Come tale, è un esercizio che implica
contestazioni di visioni del mondo e la sfida di interpretare una
cosmologia medica (africana e zulu) altamente radicata e sistemica,
attraverso l’uso di simboli ed espressioni prese da una diversa, ma allo
stesso modo integrata e sistemica, cosmologia biomedica occidentale.
L’obiettivo del presente lavoro è gettar luce sulla natura di alcune
credenze etnomediche che stanno alimentando e sostenendo tale mito.
Quanto segue svela alcuni dei principali concetti e conoscenze condivise
fra gli zulu riguardo i processi etnopatologici, i corpi femminili e la
gestione della malattia. Siccome il mito della purificazione con la
vergine è relativo all’AIDS, viene fornita una breve analisi di alcune
pratiche comuni con cui le persone concettualizzano e vivono questa
malattia relativamente “nuova”. Studi riguardo la sieropositività
all’HIV fra le donne incinte alloggiate nelle cliniche prenatali di
tutto il Paese riportano un 22,8% di infezioni al virus (Dipartimento
della Salute del Sudafrica, 2001). Per quanto riguarda la provincia di
KwaZulu-Natal, base di questa ricerca, il tasso di sieropositività
all’HIV è stimato fra il 36% e il 38%. Si spera che, arrivando a una
profonda delucidazione del perché un uomo possa cercare del sesso con
una vergine nell’attuale contesto di una formidabile epidemia di AIDS,
si possa contribuire a un maggior impegno contro il problema dello
stupro infantile, affrontando in maniera più efficace sia questa
questione che quella dell’AIDS.
Metodologia
Lo sbroglio della complessa rete di significati nei quali è immerso
il mito della vergine è stato parte di un più ampio tentativo di ricerca
riguardante la comprensione delle raffigurazioni non mediche e dei
costrutti culturali intorno all’HIV e AIDS fra la popolazione zulu
dell’area peri-urbana della provincia di KwaZulu-Natal (vedi
Leclerc-Madlala, 1999).
Questa ricerca è stata basata sul lavoro etnografico sul campo che
avvenne soprattutto fra il 1995 e il 1998 nella più grande area di
Durban, Mariannhill. Si ricorse a un questionario a domande aperte, come
guida per interviste approfondite con informatori chiave,
rappresentanti un ampio e trasversale gruppo della comunità di
Mariannhill. La maggior parte delle interviste fu condotta in zulu.
Durante quel periodo di lavoro sul campo in Sudafrica si assisteva a un
rapido e continuo aumento di infezioni da HIV. Verso la fine degli anni
’90 l’epidemia di HIV mostrò i segni di uno sviluppo in un’epidemia di
morbosità verso l’AIDS e di morte.
Per la metà degli anni novanta il mito della vergine aveva raggiunto
un’ampia diffusione in svariate comunità della zona. Nelle interviste e
nei dibattiti con vari informatori, la “purificazione con la vergine”
era stata identificata come possibile “cura” per questa nuova malattia,
che le persone non hanno il coraggio di chiamare per nome. Mentre alcuni
intervistati professavano la credenza nel mito, più frequenti erano
quelli che affermavano che erano “altre persone” coloro che credevano
nella purificazione con la vergine come trattamento contro l’HIV/AIDS.
Certi guaritori tradizionali venivano incolpati di perpetrare il mito,
siccome era stato detto che i guaritori consigliavano ai loro pazienti
affetti da HIV di cercare un vergine per la “purificazione”. Era
opinione ampiamente riconosciuta fra gli intervistati che tale credenza
stesse aiutando la diffusione dell’HIV e contribuendo all’aumento
dell’incidenza dello stupro infantile (Leclerc-Madlala, 1996). In una
cittadina un gruppo di donne tenne un’udienza pubblica per, allo stesso
tempo, aumentare la consapevolezza riguardo questo crescente problema e
condannarne fortemente la pratica. Avevano l’intenzione di mandare un
memorandum all’allora presidente Nelson Mandela, implorandolo di
prendere posizione contro questo scellerato metodo di risposta all’AIDS.
Nonostante le comunità esprimessero una profonda preoccupazione
riguardo gli uomini che assalgono sessualmente dei bambini nella
speranza di “curare” l’AIDS, durante tutti gli anni ’90 non ci furono
tentativi di affrontare pubblicamente la questione attraverso campagne
educative sull’AIDS nel KwaZulu-Natal come altrove.
Sporcizia del corpo
Il fondamentale lavoro di Sontag Illness as Metaphor (1978)
evidenzia la specificità storica dei modi con cui la malattia e coloro
che ne sono affetti sono stati considerati nella società. Come tale
concezione sociale collezioni significati è stato esaminato da Fernandez
(1986) come un processo di “metaforizzazione”. Egli scrive: “Data la
loro natura, le metafore acquisiscono significato non solo attraverso la
rappresentazione ma tramite l’attuazione o presentazione. La
presentazione della metafora assume due forme: metafore come strumenti
cognitivi che lavorano sui nostri concetti per formare un nuovo
significato e metafore come atti o azioni comunicative, limitate dalla
struttura sociale ma che danno adito a nuovi modelli di interazione
sociale e tipologie di discorso (citato in Kirmayer, 1992, p.337).
L’analisi delle metafore volte a significare una salute malata
risulta centrale nel processo di comprensione della conoscenza e della
pratica in campo medico degli zulu. Ciò include più di un esame del
“sistema di credenze”, un approccio analitico limitato alla capacità di
spiegare l’esperienza e la gestione della malattia. Innanzitutto la
cosmologia zulu non è “standardizzata” nella teoria e nella pratica e
certe volte cambia, non solo a seconda dell’interpretazione del
ricercatore ma anche fra i vari clan della regione di KwaZulu-Natal
dalla quale provengono. Così, ciò che potrebbe essere tipico
nell’epistemologia medica e nell’esperienza diretta nel Mariannhill può
essere considerevolmente diverso nelle regioni più a nord della
provincia, dove si dice che abbiano una conoscenza medica segreta e
medicine “più forti”.
Tuttavia certi aspetti della conoscenza medica sembrano andare per la
maggiore fra coloro che si identificano come zulu, come anche fra altri
gruppi etnici presenti in Sudafrica. La metafora dello “sporco” e il
significato che assume in relazione alla malattia e al suo trattamento
sono significativi a questo riguardo. Un’analisi delle precedenti
etnografie che hanno cercato di descrivere la conoscenza e la pratica
medica indigena (Krige, 1944, 1974; Bryant, 1949; Ngubane, 1977;
Hammond-Tooke, 1970, 1981) rivela che i concetti di corruzione e
“sporco” in relazione alla malattia non sono stati sufficientemente
considerati un problema. Jewkes e Wood (1999) hanno affermato che questi
autori precedenti si sono largamente basati su analisi prudenti e
interpretazioni del “sistema di credenze”, archiviando i concetti di
corruzione e “sporco” alla categoria casuale detta “corruzione rituale”.
Categorizzati in tal modo, questi concetti sono stati esaminati quasi
esclusivamente in relazione alla sola sfera spirituale. Un’analisi del
dibattito intorno alla salute riproduttiva delle donne nella provincia
di Eastern Cape ha portato Jewkes e Wood ad affermare che il concetto di
“utero sporco”, un esempio che sembra molto diffuso fra i loro
intervistati, può rappresentare una categoria di malattia che viene
usata come espressione idiomatica per indicare la malattia fisica fra
gli xhosa. Fra gli zulu, che sono un gruppo strettamente in relazione
agli xhosa e appartenenti alla stessa famiglia di lingue Nguni, le
metafore della corruzione e dello “sporco” giocano un ruolo centrale
nella concezione popolare della malattia. Le idee della “sporcizia” del
corpo e dello “sporco” come stato dell’essere sono utilizzate come
modelli etnopatologici ampiamente esplicativi della malattia, insiti e
registrati nei comuni processi di gestione della malattia fra gli zulu.
Mentre alcuni etnografi sudafricani come Hammond-Tooke (1981) si sono
esplicitamente battuti per tenere varie categorie eziologiche
“analiticamente separate”, come sostenevano Jewkes e Wood, un tale
lavoro di ispirazione biomedica serve a limitare la nostra comprensione
dell’eziologia della malattia a livello locale. Sebbene tali lavori
possano fornire una valente informazione culturale, tendono a
oggettivare una visione del mondo vissuta mettendo in risalto la
classificazione della malattia piuttosto che l’esperienza e la gestione
della stessa. In altre parole, l’azione umana nei confronti della
malattia in certi lavori viene considerata totalmente derivante dalla
conoscenza “razionale” astratta o dalle credenze. Tale presupposto porta
a una comprensione limitata riguardo l’esperienza della malattia presso
le comunità studiate.
Cure purificatrici
Come forma di corruzione non rituale, presso gli zulu e sembra anche
fra i vicini xhosa, l’essere “sporco” è un concetto centrale della
malattia, attraverso il quale operano altri fattori causali
(stregoneria, antenati, natura, ecc.). Piuttosto che essere una
tipologia causale alternativa, l’essere “sporco” può essere compreso
come un modello esplicativo della malattia. Dire che qualcuno ha i reni o
l’utero “sporchi” è come dire che ha una malattia in quella parte del
corpo. Come parte del processo terapeutico volto a “curare” la malattia
specifica, un passaggio sarà necessariamente quello di “purificare”
l’organo dallo “sporco”. Per la purificazione terapeutica, che implica
purgare il corpo dal dannoso “sporco”, vengono usati vari preparati,
alcuni ottenibili mediante la moderna farmacia e altre attraverso medici
tradizionali. Lassativi commerciali e preparazioni per clisteri vengono
utilizzati principalmente per la purificazione dallo “sporco” che
interessa gli organi della regione addominale. I diuretici vengono
invece usati principalmente per i disturbi urinari. Gli emetici sono
considerati efficaci nella purificazione dello “sporco” associato ai
malanni del petto o della gola. Per ottenere la stessa risposta
purgante, risultano popolari anche le preparazioni tradizionali ricavate
dalla combinazione di erbe. La gestione della malattia attraverso
l’eliminazione dello “sporco” associato all’organo “sporco” può essere
visto come la prima linea di difesa contro le malattie e come un
percorso abituale di quasi ogni approccio alla terapia (Leclerc-Madlala,
1994). Il termine zulu “ukwelapha” si riferisce principalmente alla
cura della malattia. Può essere utilizzato per descrivere una serie di
procedure terapeutiche che possono includere ogni tentativo di
prevenire, trattare o curare una malattia. Le affermazioni dei medici
tradizionali riguardo al poter “curare” una malattia, che sia l’AIDS, il
tumore al cervello o la fatica cronica, sono delle interpretazioni
etnomediche che possono essere intese come pretese delle loro abilità
nel trattare la malattia. Il significato di “trattamento” si riferisce a
un onnicomprensivo approccio alla malattia, che può includere la
prevenzione, il trattamento dei sintomi, la cura e/o un semplice
palliativo.
Una comprensione del concetto della “sporcizia” del corpo, della sua
significatività come modello esplicativo etnopatologico per la malattia e
l’ampia accezione del termine “ukwelapha” come trattamento, sono
componenti centrali sia nella costruzione metaforica della malattia che
nella risposta terapeutica a quest’ultima, anche in tema AIDS. Secondo i
locali e folkloristici modelli del corpo umano, ogni “sporco”
responsabile di causare sintomi di una malattia in una particolare parte
del corpo –“sporco” associato allo “stomaco sporco” (sintomi come
disturbi addominali, mal di pancia, diarrea, costipazione, ecc.), o lo
“sporco” del “petto sporco” (tosse persistente o ogni altra affezione
bronchiale), o quello dei “reni sporchi” (minzione dolorosa, mal di
schiena lombare, ecc.) – ha l’abilità di “mischiarsi al sangue” se non
purificato in tempo, quando appaiono i primi sintomi. Quando questo
“sporco” del corpo si mischia col sangue, ne risulterebbero dei sintomi
di malattia più generalizzati rispetto a quelli associati agli specifici
organi o regioni del corpo. Relativa a quest’idea è la concezione e
tutti gli organi del corpo sono tra loro interconnessi. Così lo “sporco”
che porta sintomi di malattia in una parte del corpo può essere
trasportato in altre, attraverso il sangue, causando sintomi di malattia
dappertutto. Attraverso la purga con l’uso di clisteri ed emetici, i
terapeuti tradizionali puntano a purificare l’intero sistema piuttosto
che un singolo organo colpito.
Donne “sporche”
La concezione del corpo femminile come altamente adatto a nascondere e
covare lo “sporco” echeggia nelle descrizioni degli intervistati
riguardo all’anatomia riproduttiva femminile. Ricerche condotte in
Botswana (Ingstadt, 1990), Kenya (Udvardy, 1995) e Tanzania (Haram,
1997) mostrano delle similarità nel ritratto del corpo femminile adulto.
Ingstadt (1990) registra come i corpi delle donne erano spesso
paragonati a delle valigie che celano e trasportano la malattia agli
altri. È un immaginario che risuona nelle descrizioni dell’anatomia
femminile a Mariannhill. Un giovane ha descritto come allo “sporco”
piacciano particolarmente tutte quelle pieghe e curve dentro la donna,
perché lì può “nascondersi e crescere”. Sia gli uomini che le donne
hanno delle visioni simili, che riflettono una relazione simbiotica tra
le donne e lo “sporco” del corpo. Come luogo dove lo “sporco” ama
particolarmente “nascondersi”, la vagina viene descritta come un
passaggio aperto che conduce all’utero. Tale credenza potrebbe aiutare a
spiegare la paura generalizzata che un preservativo possa “andare su” e
“perdersi”. Le donne esprimono quest’ansia nel pensiero che un
profilattico possa rompersi e scappare dal pene, “fluttuando dentro” e
infine facendosi strada su per la cavità del corpo, causando una grave
malattia. Un intervistato ha chiesto: “E se ti andasse su fino al cuore o
addirittura in gola? Potrebbe strozzarti e quindi ucciderti.” Un altro
ha affermato che un preservativo perso può “attorcigliarsi” e diventare
così un ostacolo al flusso sanguigno, causando una pressione alta. Gli
studi di Abdool-Karim et al (1995) hanno indicato la presenza di simili
credenze fra le prostitute della zona fra Durban e Johannesburg.
Oltre al concetto che la vagina si apra nel resto del corpo e
fornisca un ambiente ideale dove lo “sporco” che causa malattie può
nascondersi, esistono delle concezioni riguardo l’umidità vaginale che
sono significative alla concettualizzazione delle donne come “sporche”.
La vagina e l’utero erano le zone maggiormente identificate come quelle
dove lo “sporco” può “nascondersi”, “attaccarsi” e “crescere”. Il virus
dell’HIV era evidentemente considerato come uno “sporco” specialmente
forte e in grado di “entrare facilmente nel sangue” attraverso la vagina
o l’utero. Il tema dell’umidità della vagina associato alla capacità di
far “attaccare” lo “sporco” alle sue pareti era molto spesso presente
nei discorsi degli intervistati riguardo le malattie sessualmente
trasmissibili (MST) come l’HIV. Una giovane studentessa di infermeria
descriveva in questo modo l’infezione da HIV: “Le donne sono bagnate giù
da quelle parti. Quando c’è un’infezione, i germi vi si attaccano e
puzzano. È così che capiscono che hanno una malattia sessualmente
trasmissibile, l’HIV o un’altra. Con gli uomini non puoi sentire l’odore
perché dentro non c’è niente.” Un giovane ha esprimeva delle
preoccupazioni in riferimento a simili concezioni della vagina: “Dentro
c’è l’oscurità, è bagnato, non è gradevole. L’AIDS lì può viverci,
aspettando, e non puoi saperlo. Magari neanche la donna stessa non lo
sa, perché è semplicemente appiccicoso. Avrebbe solo bisogno di
un’analisi del sangue per esserne certi”. Un altro giovane uomo offriva
invece la visione che oggigiorno gli uomini sono più timorosi a toccare
una donna “là sotto” perché l’HIV/AIDS può “appiccicarsi alle tue dita e
poi passare al tuo sangue se ha un graffio o una ferita aperta.”
Il paradosso mestruale
Precedenti scrittori sugli zulu come Krige (1974), Bryant (1970) e Berglund
(1976) hanno notato come la malattia è solitamente definita dai suoi
sintomi somatici. È ancora ampiamente così. Senza sintomi, si pensa
spesso che non ci sia malattia. Con l’arrivo dell’AIDS, i media e i
medici professionali hanno cominciato a portare l’attenzione sul lungo
periodo asintomatico dell’infezione da HIV. Mentre una così
relativamente nuova e diversa maniera di intendere la malattia può
contribuire all’incertezza nei riguardi degli approcci al suo
trattamento, esistono dei processi fisiologici femminili, le
mestruazioni, che sono viste come un mezzo attraverso cui lo sporco “non
visto” o asintomatico può fuoriuscire dal corpo.
Il mestruo è considerato come un sistema interno di purificazione. Il
sangue mestruale viene considerato “sporco” perché si crede sia
composto da tante diverse tipologie di “sporco”, accumulate in ogni
regione o organo del corpo. Questo “sporco” quindi “si mischia al
sangue”, prima di “raggrupparsi” nel grembo e poi uscire attraverso la
vagina durante il periodo mestruale. Da un punto di vista etnomedico, le
mestruazioni sono rappresentative di un processo attraverso il quale il
corpo femminile si purifica da sé, automaticamente e regolarmente. Qui
possiamo vedere la metafora dello “sporco” che acquisisce significato
sia come strumento cognitivo che come presentazione espressiva, un
processo che concorda con la descrizione che Fernandez (1986) fa della
creazione di metafore, come di un processo duale di produzione di
significato. Il sangue mestruale e le mestruazioni femminili sono
“inquinanti” non solo da un punto di vista rituale e simbolico, ma sono
intrinsecamente impuri nel vero senso della parola, poiché associati
alla coagulazione e al trasporto dello “sporco” da altre parti del
corpo. Quando il sangue mestruale passa dalla vagina, si crede che parte
dello “sporco” che pervade il corpo “si attacchi” alle pareti vaginali,
formando parte di quella “umidità” considerata come “sporca” e
associata a vagine di donne adulte e alla malattia. Dato che ogni
“sporco” può essere espulso o “purificato” dal corpo durante il mestruo,
l’immaginario locale intorno all’HIV conferma che anche tale virus può
essere espulso in tale maniera. Tuttavia, non si crede che tutto lo
“sporco” relativo all’AIDS che può nascondersi in una donna possa venire
purificato. Una giovane donna la mette così: “Quando una donna
sanguina, tutto lo sporco scende giù ed esce; ma per quanto riguarda
l’AIDS, la maggior parte sta nel tuo sangue, perché è molto forte.
Certamente ne esce fuori, ma penso che la maggior parte si appiccichi
dentro. Lo puoi veramente sapere solo con un test del sangue”. Come
descritto in precedenza, molti intervistati pensano che lo “sporco” nel
sangue possa essere espulso attraverso il mestruo, tuttavia le sole
mestruazioni non sono considerate totalmente efficaci per liberare il
corpo da tale cagione di malattia. Questo è specialmente vero per lo
“sporco” relativo all’infezione da HIV, una tipologia considerata
eccezionalmente potente e resistente.
Se quasi tutte le ricerche tendono a porre l’accento sui significati
socioculturali negativi associati al tema del mestruo, nondimeno
esistono delle associazioni positive, fra cui, naturalmente, la
fertilità. Nel caso degli zulu, degli xhosa (vedi Jewkes e Wood 1999) e
probabilmente anche fra altri gruppi etnici dell’Africa meridionale, il
mestruo ha una dimensione positiva, come un tipo di processo innato che
promuove la salute o, in termini etnomedici, un meccanismo naturale per
“purificare” regolarmente il corpo dallo “sporco” legato alla malattia.
Una maniera diffusa per riferirsi a una donna con le mestruazioni è dire
che “questa settimana si sta purificando”. La prescrizione culturale
secondo cui un uomo dovrebbe evitare di avere rapporti durante il
mestruo, perché ciò lo “indebolirebbe”, ha un senso ben al di là della
sfera della malasorte spirituale associata alla corruzione rituale.
Proprio in senso letterale, ha un forte senso etnomedico che un uomo
eviti rapporti con una donna che si sta “purificando”, in modo da
evitare di venire “infettati” da ogni genere di “sporco” corporale che
può essersi mischiato al suo sangue e fuoriuscire con le mestruazioni.
La natura ciclica e regolare del mestruo assume anche significato come
prova fisica che l’accumulo di “sporco” corporeo è una naturale
proprietà e processo femminile. Dato il continuo funzionamento di quello
che potrebbe essere descritto come un sistema automatico di
purificazione, ecco la manifestazione fisica della propensione delle
donne all’accumulo e conservazione dello “sporco”. Di conseguenza, si
dovrebbe pensare che la natura abbia loro fornito una naturale capacità
di espulsione dello “sporco” attraverso il mestruo perché hanno la
necessità di avere tale abilità. Così una donna adulta con le
mestruazioni è considerata come “sporca”, non solo in senso rituale o
metaforico, ma proprio in senso fisico. Come affermato da Kirmayer
(1992), è a causa della loro natura che le metafore producono
significato, non solo attraverso la rappresentazione ma tramite una vera
attuazione e presentazione. Il mestruo fornisce la presentazione della
metafora dello “sporco” associata alle donne. Crea inoltre una serie di
significati collegati al concetto di femminilità e suggerirei che
fornisce una giustificazione di base per l’ineguaglianza di genere.
Perciò è questa stessa “sporcizia” del metodo che è allo stesso tempo
prova del suo vero potere, la fertilità, la capacità di produrre nuovi
membri della società. Questo sosterrebbe la teoria di Douglas (1966),
che dice che sia le valenze positive che le negative vengono riflesse
nelle particolari sostanze che una cultura seleziona e indica come
“sporco”.
Anomalie vaginali
Oltre alle associazioni con il mestruo, l’immaginario della “donna
sporca” ritorna nelle descrizioni delle differenze fisiologiche tra gli
organi sessuali maschili e femminili. Una vagina è “interna” e “aperta
all’estremità”, mentre il pene è “esterno”, con solamente una piccola
apertura che porta all’interno del corpo, spesso descritta come “tubo”.
Anche se si dice che gli uomini siano capaci di espellere lo “sporco”
corporeo tramite il proprio seme, la loro particolare anatomia
riproduttiva non viene generalmente associata a quello “sporco” che “si
nasconde”, che è “appiccicoso”, che “aspetta” o “giace silente
all’interno come un bambino”, così come un intervistato ha descritto lo
“sporco” dell’utero che causa i sintomi delle malattie sessualmente
trasmissibili. Le descrizioni dell’anatomia riproduttiva femminile
disegnano una vagina umida e intrisa di malattie, che si apre in un buio
grembo simile a un nido, un utero che, in maniera discorsiva, viene
rappresentato come attaccato oppure facente parte dello stomaco, con
complesse interconnessioni con altri organi interni, che si trasmettono
il sangue e lo “sporco” fra di loro. Si dice che un uomo che abbia un
rapporto sessuale con una donna che si sta “purificando” (lo stesso
termine usato per descrivere il mestruo) corra il rischio di
contaminarsi il sangue con lo “sporco” della sua compagna. Come
accennato, anche se lo “sporco” corporeo di una donna verrà espulso
tramite il ciclo mestruale, si suppone che una parte possa comunque
“attaccarsi” alle pareti vaginali. Se delle impurità o tipologie di
“sporco” trovate nel sangue di una donna o appiccicate alle pareti
vaginali risultano essere responsabili di una “nuova” infezione da HIV,
poi gli intervistati diranno che è così che è stata trasmessa al suo
partner sessuale. Alcune giovani donne credono che utilizzare del
dentifricio per pulire internamente la vagina dopo le mestruazioni possa
aiutare a “uccidere” parte dello “sporco” persistente. Tuttavia,
siccome l’infezione da HIV è considerata particolarmente tenace, si dice
resista ai rimedi casalinghi come quello del dentifricio, così come al
Flagyl o agli antibiotici utilizzati per trattare le MST. Una ragazza di
sedici anni ha detto che la maggior parte delle infezioni presenti
“laggiù” potrebbe essere curata con lavaggi intimi a base di acqua
salata, candeggina o Dettol (un antisettico topico), oppure applicando
regolarmente del dentifricio (se non è disponibile altro) per due o tre
giorni. Come molte altre giovani donne, questa ragazza credeva che l’HIV
fosse “troppo forte” per piegarsi al solo uso del dentifricio o di
“qualsiasi crema sbiancante”. Molti intervistati erano d’accordo nel
ritenere che l’HIV richiedesse un trattamento addizionale con medicine
tradizionali che fossero nere di colore, che pizzicassero quando
applicate o che fossero amare di gusto. Ngubane (1977) fornisce
un’analisi dettagliata del significato del colore nelle preparazioni
medicinali indigene. Farmaci di colore nerastro sono considerati
specialmente potenti per “tirare fuori il male” e per contrastare una
malattia legata a opere di stregoneria.
È visione comune che l’HIV e altre malattie possano essere trasmesse
facendo sesso con una donna con le mestruazioni. Come accennato, lo
“sporco” derivante da qualunque malattia da cui possa essere affetta una
donna, è più facile che persista nella vagina quando non vi è mestruo.
Una donna ha detto che, se un uomo volesse veramente evitare l’HIV o
altre infezioni, uno dei modi più sicuri sarebbe quello di mettersi un
preservativo ogni volta che ha un rapporto sessuale. “I germi sono
sempre lì. È da lì che escono. Una donna sa che laggiù deve pulirsi
spesso.” Green (1994) ha trovato delle credenze etnomediche simili a
proposito della trasmissione sessuale di un’ampia varietà di malattie in
altri gruppi etnici dell’Africa meridionale, sia nello Swaziland che in
Mozambico. Le infermità elencate dagli intervistati del KwaZulu-Natal
includevano la tubercolosi, la congiuntivite, problemi urinari, nausea
ed eruzioni cutanee. “Se la donna è affetta da tali patologie, allora
l’uomo può prendersele se dorme con lei.” Questo quanto ha affermato un
giovane uomo, specificando che, siccome lo “sporco” può “attaccarsi”
alle pareti vaginali, uno può prendersi un’infezione anche se la donna
non è mestruata. Come molti altri, quest’uomo si riferiva all’HIV come a
un esempio di infezione particolarmente “ostinata”, perciò ritenuta
capace di “nascondersi”, di “aspettare silenziosamente” dentro la vagina
fra i cicli mestruali. Ha affermato: “L’HIV è sempre lì. Non lascia il
corpo facilmente.”
Asciutto e stretto, bagnata e larga
La presenza di umidità o fluidi vaginali, insieme all’ampiezza e al
tono muscolare del canale vaginale, vengono usati come indici di
carattere morale ed esperienza sessuale. L’associazione tra vagine
“umide” e “larghe” e donne dalla morale “larga” ricorrono nei discorsi
popolari. La promiscuità delle donne viene ampiamente considerata alla
radice dell’attuale epidemia di AIDS (Leclerc-Madlala, 1999). La donna
di “larghe vedute”, metaforicamente rappresentata dall’immagine della
vagina “larga”, è colei ritenuta responsabile di tale piaga. La
crescente popolarità dei test di verginità nello KwaZulu-Natal può
essere interpretata come un tentativo di riaffermazione del controllo
sulla sessualità femminile, in un tempo in cui questa viene percepita
come “fuori controllo” e portatrice di caos sotto forma di crescente
malattia e morte (Leclerc-Madlala, 2001). Basandosi su di una serie di
attributi fisici tra i quali le caratteristiche della vagina, i
controllori di verginità valutano l’esperienza sessuale. La verginità si
ritiene appurata quando si ha una vagina “stretta” e “asciutta”. Una
non vergine viene ritenuta riconoscibile dal fatto che ha una vagina
“ampia” e “umida”.
Le giovani donne riconoscono l’importanza di essere “asciutte e
strette” per passare il test ed essere dichiarate vergini. Essere
“asciutte e strette” è anche importante quando si dorme con un uomo,
specialmente la prima volta. Ciò è considerato necessario affinché un
uomo pensi che la donna è “come una ragazzina” e non “qualcuna con tanti
compagni”, quindi “pulita”. La capacità di dare l’illusione di
verginità grazie a una vagina “stretta e asciutta” era considerata parte
della conoscenza segreta di una donna, del suo repertorio sessuale.
Esse hanno familiarità con una varietà di metodi e sostanze ritenute
essere in grado di “asciugare” e “pulire” la vagina, in modo da essere
più sessualmente attraenti e accettabili per gli uomini. In uno studio
sulla prostituzione, Abdool-Karim et al (1995) hanno scritto riguardo
una pratica di lavaggio intimo a fini contraccettivi effettuata con il
Jik (candeggina), il Dettol o lo Savlon (antisettici topici). Le donne
di Mariannhill dicono che tali sostanze non solo “uccidono lo sperma” e i
“germi”, ma hanno anche l’utilità di far “restringere” la vagina. Le
donne dichiarano di “sentirsi fresche”, pulite e sessualmente attraenti
dopo un tale lavaggio intimo. Altre sostanze identificate come utili
all’asciugamento e al restringimento della vagina sono il tabacco da
fiuto, il bicarbonato di sodio, il borotalco, cubetti di ghiaccio e del
semplice sale. Una delle più popolari pare sia il sale grezzo (spesso
chiamato con il nome del brand “LION”), che viene messo dentro la vagina
fino a due ore prima del rapporto sessuale.
Le donne hanno affermato che una vagina asciutta è piacevole per gli
uomini, poiché li porta ad eiaculare più velocemente e assiste quelli
con un pene di dimensioni ridotte o “troppo molle per compiere il
lavoro”. Oltre ai significati associati al piacere, ve ne sono altri a
far maturare la valenza psicologica intorno all’asciugamento e “pulizia”
della vagina. La metafora della vergine asciutta e pulita ha un
significato sia come costrutto cognitivo che come esperienza
rappresentata. Porta via le paure derivanti dalle associazioni degli
umori femminili con quello “sporco” che è collegato a ogni tipo di
malattia che possa provenire da altre parti del corpo. Una donna, la
quale difendeva l’uso del sale LION e del borotalco come agenti
asciuganti, ha detto semplicemente che la vagina contiene dello “sporco”
che deve essere rimosso dal corpo. Ha aggiunto che un uomo preferisce
una donna che sia “stretta” e “asciutta” perché la “considera pulita”.
L’uso di simili sostanze per asciugare e restringere la vagina sono
stata ampiamente rilevate in altri Stati africani (vedi Arnfred, 1989;
Runganga et al, 1992; Brown et al, 1993; Green, 1994), ma rimane
studiato inadeguatamente in termini di contributo all’epidemia di HIV e
di altre malattie sessualmente trasmissibili.
Il potere terapeutico delle vergini
Nel suo studio etnografico sui concetti medici degli zulu, Ngubane
(1977) ha evidenziato come, paragonati ad altri umori corporei, i fluidi
sessuali femminili sono una categoria a parte. L’autore attribuiva la
loro l’unicità al fatto che rappresentano il potere della donna in
termini di riproduzione. La modellizzazione dell’anatomia sessuale
femminile come ambiente umido e malsano deve essere considerata
all’interno del contesto della società zulu, strutturata e dominata in
modo patriarcale. Douglas (1966) ha affermato che le sostanze infettanti
(ossia i fluidi vaginali) simbolizzano delle forze minacciose, che
mettono in pericolo il vero ordine simbolico che le produce. La vagina è
il primo oggetto del piacere dell’uomo, così come è in relazione con la
nascita. È un potente simbolo del potere sessuale e riproduttivo di una
donna, entrambi considerati componenti necessari alla vita. Le paure
patriarcali per il potere femminile si fondono tutte nel simbolismo
della vagina; il buio, umido e misterioso passaggio carico d’insidie
sotto forma di “sporco” e pieno di delizie, in forma di piacere sessuale
e di generazione di nuovi membri della società.
Suggerirei che queste associazioni fortemente negative nei confronti
della vagina e dei suoi fluidi possano essere intese essenzialmente come
un’espressione delle paure e delle insicurezze culturali rispetto al
potere insito nelle donne, il che è in disaccordo con l’ineguaglianza di
genere e con la loro generale mancanza di potere nella società.
Ci si aspetterebbe che il processo di gestione di una malattia che è
eziologicamente collegata al sesso con una donna “sporca” segua la
logica dei processi etnopatologici per la purificazione dallo “sporco”
corporeo. In aggiunta, ci si potrebbe aspettare di fare ricorso ai
significati simbolici connessi alle donne adulte e alla loro “umidità”
vaginale portatrice di malattie. La credenza che un rapporto sessuale
con una vergine possa “curare” un uomo dall’HIV/AIDS è inserita nel
contesto delle associazioni metaforiche riguardo le donne sessualmente
attive con una vagina “umida/sporca”. Secondo il mito della
purificazione con la vergine, un uomo può “purificare” il suo sangue
dall’HIV/AIDS tramite un rapporto sessuale con una vergine, ma la
ragazza stessa non ne risulterebbe infettata. L’ampia categoria di
prevenzione-trattamento-cura viene racchiusa nella terapia della
purificazione con la vergine, nella quale il rapporto viene anche
considerato come una vaccinazione contro la minaccia di future infezioni
da HIV. Così tale purificazione viene vista come qualcosa dall’effetto
sia terapeutico che profilattico. Nelle interviste con molti guaritori
tradizionali, la purificazione o rapporto sessuale con una vergine è
stata considerata una via attraverso cui un uomo pensa di ottenere una
qualche “forza” contro l’infezione da HIV. Non è chiaro se ciò
significhi che è periodicamente necessaria una “purificazione”
addizionale per poter mantenere la forza dell’inoculazione. Sebbene
questi particolari guaritori dicessero di essere contrari a tale pratica
e rigettassero le testimonianze circa la sua efficacia, tutti loro
hanno affermato di avere diretta conoscenza di altri guaritori che
raccomandano la purificazione con la vergine come modo per trattare
l’AIDS.
Fra questo gruppo di guaritori non c’era consenso riguardo quali
fossero le qualità relative alla verginità ritenute in grado di dare
alla ragazza una speciale “immunità” contro la trasmissione dell’HIV dal
partner maschile infetto.
Vengono usate basicamente due argomentazioni differenti per spiegare tale processo.
Alcuni intervistati hanno detto che una vergine evita di infettarsi
poiché “lì è chiusa”. Il passaggio dalla vagina al corpo viene visto
come “chiuso” dall’imene intatto. Questo viene considerato come una
barriera che evita che l’HIV entri dentro e si stabilisca nel grembo
delle ragazze, per finire poi dentro al “sangue”. Questa credenza è
qualcosa di simile ad alcune altre rilevate nell’Africa occidentale,
dove si crede che certe malattie sessualmente trasmissibili vengano
passate a causa di un verme, che entrerebbe attraverso l’uretra
dell’uomo dopo che ha fatto sesso con una donna infetta (Green 1994,
p.88). Si crede che il verme venga ucciso quando si scontra contro un
imene intatto. Una visione alternativa offerta dagli intervistati per
spiegare perché si creda che una vergine abbia una speciale immunità nei
confronti dell’infezione da HIV (e altri malanni che si credono
trasmessi sessualmente) ha a che fare con la “asciuttezza” del suo
tratto vaginale. La vagina di una preadolescente non viene associata
alle lubrificazioni vaginali di una donna adulta. Il suo tratto
vaginale, anche se sottosviluppato, è considerato come “pulito”,
“asciutto”, “incontaminato”. Essendo una superficie asciutta, si crede
che lo “sporco” non possa facilmente attaccarvisi. Un intervistato ha
usato l’analogia del gusto: “Puoi sentire qualcosa sulla tua lingua solo
se è bagnata, il gusto può appiccicarsi. Non puoi gustare le cose sulla
tua mano, è asciutta”. Un altro ha fatto riferimento al caso delle
infermiere di un ospedale della zona rurale dello Zuzuland, che anni fa
sembra abbiano mostrato la loro disapprovazione verso le condizioni di
lavoro tirando delle fiale di sangue infetto da HIV per le corsie
dell’ospedale. “Vedi, i pazienti avrebbero potuto infettarsi se il
sangue avesse toccato loro gli occhi, le labbra o delle ferite aperte”.
In generale, le superfici anatomiche umide sembrano essere associate
alle malattie, come zone in cui i “germi” o lo “sporco” possono
attaccarsi. Suggerirei che le qualità di “asciuttezza” e la relativa
metafora dell’essere “puliti” siano le caratteristiche essenziali
associate all’efficacia del trattamento dell’AIDS attraverso un rapporto
sessuale con una vergine.
La magia simpatica
La struttura della logica di base, che collega le credenze
etnomediche all’idea della purificazione con la vergine come approccio
terapeutico contro l’AIDS, si può trovare in quel principio omeopatico
che precedenti scrittori di etnomedicina zulu come Callaway (1884),
Schimlek (1950), Bryant (1970) e Berglund (1976), hanno tutti descritto
come un cardine centrale e fondamentale, ossia la magia simpatica. La
magia simpatica attinge ai concetti etnopatologici dell’omeopatia, per
cui “il simile genera il simile”. Le condizioni mediche si credono
trattabili attraverso sostanze che sono simbolicamente associate a tali
condizioni. Per esempio, un uomo calvo verrà trattato con delle erbe
provenienti da giardini dalla crescita rigogliosa; la codardia è
trattabile invece mangiando un po’ di cuore di leone; una donna
ciarliera e aggressiva può essere aiutata contro tale “malattia” con dei
bocconi di una timida pecora, ecc. Questi sono solo alcuni esempi di
processi etnoterapeutici che implicano la manipolazione di simboli così
come di sostanze materiali. Possono inoltre essere rilevanti per la
comprensione della purificazione con la vergine come risposta
all’HIV/AIDS.
Così come le cose e le azioni assimilabili, si crede che anche i
suoni e i colori simili producano un effetto simile. Berglund (1976,
p.354) si riferisce a tali concetti come “associazioni simpatiche”. In
aggiunta a queste ultime, nei trattamenti medici vengono usate anche le
relative proprietà “antagoniste”. Qui si crede che le cose associate fra
loro agiscano l’una contro l’altra, essendo antagoniste poiché simili.
Concettualmente, una vergine potrebbe essere sufficientemente simile a
una non vergine. La differenza chiave sta nel fatto se la sua sessualità
venga percepita come libera dalle caratteristiche di
sporco-umidità-malattia associate alla sessualità di una non vergine.
Quindi il sesso con una vergine “pulita” potrebbe essere visto come
capace di un effetto “antagonista” su di una malattia che si crede venga
causata dall’aver fatto sesso con una “sporca” non vergine. Le credenze
riguardo l’efficacia della purificazione con la vergine sono senza
dubbio intimamente legate al concetto che la vagina, la potenziale “zona
di appiglio” per lo “sporco” relativo all’AIDS, sia pulita e asciutta,
in tal modo priva della “umidità” associata alla malattia della donna
sessualmente attiva. La metafora è compresa e potenzialmente presentata
attraverso l’idea che se una donna adulta sporca e bagnata può
trasmettere l’AIDS a un uomo, allora una ragazza pulita e asciutta
glielo potrà togliere (5).
Sono necessari ulteriori studi per comprendere le specificità
storiche che hanno contribuito al diffondersi dell’ideologia del sesso
con una vergine come cura contro l’AIDS nel Sudafrica contemporaneo.
Mentre tale mito può aver guadagnato popolarità nel locale contesto
epidemico, esistono degli interessanti parallelismi con delle tecniche
già precedentemente utilizzate in altri posti per ragioni simili. Ad
esempio, la purificazione con la vergine una volta era considerata una
cura contro le malattie veneree in Europa. Smith (1979) ci racconta che
gli inglesi del secolo scorso credevano che un rapporto con una bambina
vergine curasse le MST. Pare che dei dottori ciarlatani, almeno dal
1827, avessero dei bordelli speciali a Liverpool, proprio per fornire
tale cura. Le ragazzine che venivano usate erano spesso ritardate. Smith
descrive un caso processuale del 1884, nel quale un uomo con una
“brutta ulcera sifilitica” aveva stuprato una ragazza di quattordici
anni. La sua difesa fu che non voleva farle del male, ma solo curare sé
stesso (Smith, 1979, p.303). Tali maniere di trattare le malattie
sessualmente trasmissibili nell’Europa del secolo scorso possiedono
delle similarità affascinanti e veramente inquietanti con quelle attuali
praticate contro l’AIDS in varie zone dell’Africa.
Conclusione
In uno studio riguardo la tubercolosi in Etiopia, Vecchiato (1997)
evidenzia come le credenze in tema di salute siano incluse in dei
sistemi di conoscenza etnomedica che hanno la propria logica interna.
Fanno parte di un modello culturale che porta a dare un significato
all’esperienza della malattia. Comprendendo ciò, dobbiamo quindi
apprezzare pienamente l’importanza dei modelli culturali in relazione ai
comportamenti che cercano la salute, particolarmente quando si
collegano ai nostri sforzi di capire le reazioni all’HIV e all’AIDS in
Africa. In questo studio ho cercato di gettar luce su alcune credenze
etnomediche del popolo di lingua zulu, relative allo sporco corporeo, le
donne e l’HIV/AIDS, poiché rilevanti per la comprensione del mito della
purificazione con la vergine. Il focus su tale corpo di conoscenze
mediche indigene non nega in alcun modo la complessa natura sistematica
delle credenze delle persone riguardo salute e malattia, né la loro
relazione con la gestione della malattia o altre forme di comportamento.
In una società multiculturale e in rapida modernizzazione come quella
del Sudafrica, il pluralismo medico ha a lungo caratterizzato il
contesto delle decisioni intorno alla scelta terapeutica e di salute.
Nelle risposte quotidiane delle persone al loro male, vengono spesso
mantenute e riflesse delle visioni relative alla salute e alla malattia
che sono varie, complesse e spesso intimamente contraddittorie. La gente
prende e sceglie fra delle azioni alternative, tramite un processo
basato sull’uso di tutta la conoscenza disponibile. Alcune strategie
possono essere più basate sui sistemi di credenze etnomediche mentre
altre più sulla biomedicina occidentale o qualche altro sistema. Oltre a
riconoscere l’esistenza di sistemi di credenze in competizione, diviene
vitale localizzare la nostra comprensione all’interno del contesto
culturale e sociale contemporaneo. Una spiegazione cognitiva del
comportamento della malattia semplicemente non è sufficiente. Le
componenti cognitive, che identifichiamo come credenze e conoscenza,
sono elementi ai quali bisogna aggiungere i fattori economici,
materiali, sociali e politici per poter comprendere in toto i
modelli comportamentali. Come mostrano Pelto e Pelto (1997), soppesare e
valutare questi fattori riveste grande importanza nella definizione
delle influenze culturali sul processo decisionale riguardo la gestione
della malattia.
In Sudafrica, come altrove nel mondo, sono state usate teorie e
modelli per sviluppare una comunicazione riguardo HIV e AIDS, ampiamente
basata sui modelli di psicologia sociale che enfatizzano la scelta
individuale. Come affermato da Triandis (1994), il corpus della
psicologia sociale si riferisce ai comportamenti delle persone di
cultura occidentale e può avere delle severe limitazioni quando
applicato in contesti per cui non è stato progettato (Yoder, 1997). Dopo
due decenni di battaglia contro l’epidemia di AIDS, sono sorte ora
delle questioni serie riguardo la rilevanza di alcune teorie/modelli più
comunemente utilizzate come guida per le strategie di comunicazione e
le politiche di prevenzione contro l’HIV/AIDS, in particolare in Africa,
Asia e America Latina (vedi ad esempio Airhihenbuwa, 1995). La “pecca”
di queste strategie è stata ampiamente identificata con il loro
fallimento nella comprensione che le differenze nei comportamenti
salutistici sono primaria funzione del contesto culturale e sociale. Nel
migliore dei casi, la “credenza” è arrivata a essere usata come misura
diretta della cultura, in modo che le credenze e la conoscenza riguardo
la malattia diventino il focus di messaggi e d’interventi “culturalmente
appropriati”. Più comunemente, la “credenza” è in contrasto con la
“conoscenza”, così che la prima viene usata per indicare concetti che
sono erronei dal punto di vista della biomedicina e che costituiscono un
ostacolo a un comportamento appropriato (Pelto e Pelto 1997, p.148).
L’accostamento fra “cultura” e “credenza” quindi acquisisce un’accezione
biomedica negativa e diventa una metafora per “ostacolo”. Così, il
compito della prevenzione dell’AIDS in molti contesti non occidentali
diviene quello della rimozione delle “barriere culturali” e agisce
essenzialmente con la modifica comportamentale, un’azione che, come
sostiene Clatts (1994), ha più a che fare con il controllo sociale che
con la prevenzione della malattia.
Il recente interesse riguardo il mito della purificazione con la
vergine in Sudafrica ha portato a diversi tentativi volti a valutare
l’esistenza di tale “credenza”, intesa come barriera culturale e sempre
più spesso descritta come erronea, risultato dell’ignoranza o della
mancanza di educazione. Un recente studio sui comportamenti dei
lavoratori di una fabbrica della Maimler Chrysler ha mostrato che il 18%
della forza lavoro crede nel mito della purificazione con la vergine.
Secondo un altro studio, effettuato dagli educatori in tema di salute
della provincia di Gauteng, il 32% degli intervistati ha espresso una
credenza in tale mito (Plusnews, 2002). Un’indagine nazionale che ha
coinvolto oltre 9000 giovani ha stimato che il 13% dei partecipanti
credeva che la purificazione con la vergine potesse prevenire l’AIDS
(Anderson, 2002).
Se tali scoperte sono d’interesse come “prova” dell’esistenza di tale
mito e possono risultare utili nelle discussioni riguardo specifiche
visioni del mondo, in realtà rivelano ben poco. Una ricerca che tenti di
calcolare e attaccare una percentuale a una singola “credenza”
riguardante l’AIDS ha un valore relativamente contenuto quando cerca di
sviluppare degli interventi che fanno della cultura la risorsa
organizzativa centrale. Sotto questione qui è la relazione tra le
affermazioni orali riguardo il mondo e la pratica quotidiana. Ciò che
serve è un modello che colleghi credenza e conoscenza a un comportamento
che sia sensibile agli schemi culturali e al mondo delle interazioni
sociali quotidiane, guidate da questioni materiali, economiche,
politiche, ecc. Nella valutazione dei modelli di cambiamento
comportamentale utilizzati nella prevenzione dell’AIDS in Africa,
Airhihenbuwa e Obregon (2000) sono fortemente a favore di un più
profondo apprezzamento e comprensione della centralità dei contesti
culturali, piuttosto che di una semplice identificazione di credenze
individuali.
Con nuove sfide, come ad esempio la falsa sicurezza attualmente
generata dalla visione di massa promossa dai media, o i trattamenti anti
AIDS oppure la speranza di un vaccino per controllare l’epidemia,
diventa ancora più critico che si presti attenzione ai fattori
contestuali che potrebbero o non potrebbero rendere note alle persone le
risposte contro l’epidemia. La purificazione con la vergine, come
scelta terapeutica contro l’AIDS di una certa diffusione, può aver
raggiunto una certa popolarità per il fatto che i trattamenti biomedici
moderni non sono prontamente disponibili alla gran parte delle persone
affette da HIV/AIDS. Rimane da verificare se la sentita piaga dello
stupro infantile e non, insieme alla credenza della purificazione con la
vergine, possa subire una battuta d’arresto con l’introduzione di un
trattamento antiretrovirale conveniente e accessibile. Data l’attuale
mancanza di trattamenti alternativi, insieme al fatto che arriva nei
tribunali solo una porzione estremamente piccola di tutti i casi di
stupro, e molti dei condannati godono di sospensione della pena (vedi
Jewkes e Abrahams, 2000), probabilmente alcuni uomini percepiscono di
avere ben poco da perdere nel cercare di purificarsi dall’AIDS
attraverso il sesso con una vergine, indipendentemente dal fatto se
credano a questo mito o meno.
NOTE
1. I dati di questo studio sono comparsi sul servizio di informazione
collaborativa online dell’UNAIDS, PLUSNEWS (24 aprile 2002), in un
articolo dal titolo “South
Africa: Focus on the virgin myth and HIV/AIDS “. Se la polizia
sudafricana fornisce aggiornamenti regolari delle statistiche dello
stupro, si parla molto riguardo la loro accuratezza, dato che è
ampiamente riconosciuto come troppo spesso tale crimine non venga
denunciato. Alcuni ricercatori affermano che in Sudafrica viene commesso
uno stupro ogni 24 secondi, mentre altri sostengono che il dato sia più
vicino a uno ogni cinque minuti, almeno nel gruppo primario, quello fra
i 17 e i 48 anni (vedi Jewkes e Abrahams, 2000).
2. Visioni opposte riguardo l’incidenza e i fattori causali dello
stupro infantile in Sudafrica riempivano svariati forum online di
notizie in tema di salute all’inizio del 2002. AF-AIDS (9 maggio 2002)
ha fornito un articolo intitolato “The virgin myth and
child rape in South Africa”, dove si analizza la risposta di R. Jewkes al commento di G. Pitcher e D. Bowley apparso sul The Lancet (vol. 359, p.9303, 26 gen. 2002).
3. Da rapporti comunicativi con i pediatri di tre ospedali della
provincia di KwaZulu Natal e con gli operatori sociali di Childline,
un’organizzazione dedita alla lotta contro gli abusi sui bambini in
generale, si può dedurre un alto grado di dubbio riguardo il fatto che
il recente ed evidente aumento dello stupro infantile non venga mostrato
dagli studi promossi dal governo. Dalla loro esperienza, essi credono
che ci siano stati dei netti aumenti durante i due o tre anni passati, o
dal 1999 in poi. Potrebbe essere significativo che tale periodo
temporale coincida con la maturazione di un’epidemia di AIDS da latente a
visibile, con un netto aumento delle morti.
4. Tali commenti furono fatti dal Ministro dell’Istruzione Kader
Asmal a chiusura del dibattito parlamentare pubblico sugli abusi sui
bambini e lo stupro infantile, nella settimana del 17 marzo 2002.
5. È significativo come il mito della purificazione con la vergine
sia anche ritenuto un fattore alla base dello stupro di donne anziane.
Come per una ragazza vergine, la sessualità di donna dopo la menopausa
non viene più associata ai fluidi sessuali “contaminanti” del mestruo e
della “umidità” vaginale. Forse una donna anziana condivide lo status
concettuale di vergine con le ragazze non sessualmente attive, quindi un
rapporto con loro potrebbe avere lo stesso effetto “antagonista” contro
l’infezione da HIV.
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Informazioni sull’autrice dell’articolo:
Senior Technical Advisor, Ufficio HIV/AIDS
US Agency for International Development (Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale)
Washington, DC
Suzanne Leclerc-Madlala è conosciuta per il suo lavoro antropologico
in Sudafrica ove dal 1995 le sue ricerche e pubblicazioni focalizzavano
sulle intersezioni tra cultura, sessualità e HIV, in particolare
riguardo alla vulnerabilità delle giovani donne. Oltre al suo lavoro
accademico per anni ha insegnato presso le università di Transkei e di
Durban-Westville e come professoressa e direttrice del dipartimento di
antropologia presso l’università di KwaZulu-Natal, essendo anche
impegnata come Chief Research Specialist presso l’HSRC. La Prof.
Leclerc-Madlala si è impegnata nella creazione, implementazione e
valutazione di programmi HIV in Sudafrica, lavorando anche come
consulente per UNAIDS, SADC, la Banca Mondiale, l’OMS e diverse ONG
regionale e CBO. La Dr. Leclerc-Madlala ha collaborato nella stesura
della bozza di legge del South Africa’s Sexual Offences Act e del
Children’s Bill, pubblicando anche l’Action Brief on Intergenerational
Sex in Southern Africa per l’UNAID nel 2009.
Attualmente la Prof. Leclerc-Madlala sta lavorando presso USAID come
antropologa a livello direttivo, sostenendo l’USAID e il PEPFAR
nell’ottimizzazione della sensibilità culturale della programmazione HIV
in Sudafrica. È membro dell’equipe di prevenzione per l’HIV dell’USAID e
dei gruppi di lavoro Interagency Technical Working Groups per la
popolazione generale e la gioventù e il sesso. È anche membro del
comitato scientifico dell’International AIDS Society e del gruppo Ethics
in Prep Group dell’OMS.
Pubblicazioni recenti:
2014 Silver Bullets, Glass Beads, and Strengthening Africa’s HIV Response.
The Lancet 383: 1203-1204.
2014 The Promise and Limitations of Cash Transfer Programs for HIV Prevention. (with J.
Fieno) African Journal of AIDS Research 13 (2): 153-160.
2014 Do Community-Based Programs Help to Improve HIV Treatment and Health Outcomes?
A Review of the Literature. (with U. Amanyeiwe) World Journal of AIDS 4: 311-320.
2013 Transactional sex, young women, and HIV in Africa: Are we there yet?
Future Medicine8 (11): 1041-043.
2011 Relating Social Change to HIV Epidemiology. Editorial. Future Virology 6(7): 1-3.
2009 Cultural Scripts for Multiple and Concurrent Partnerships in Southern Africa: Why
HIV Prevention Needs Anthropology. Sexual Health. 6, 103-110.