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Egitto: il ministro degli Interni, Edmond Dantès e i suoi desaparecidos


di Hazem Hosny, Tlaxcala, 17 dicembre 2015.



Traduzione italiana di Milena
Rampoldi
, ProMosaik e.V.
Il regime e i suoi servizi di sicurezza non vedono i cittadini di questo
paese come esseri umani che pensano, ascoltano e si rendono conto di tutto
quello che avviene intorno a loro. Altrimenti come si spiegherebbero le
affermazioni del ministro degli interni, Magdi Abdulghaffar, in occasione
della sua conferenza stampa, lunedì 30 novembre 2015? Ha negato la realtà dei
cittadini desaparecidos arrestati, sostenendo che l’istituzione della polizia
ha una buona reputazione.


Il generale
maggiore (ER) Magdi Abdulghaffar, ministro degli Interni dell’Egitto
In piena coscienza vorrei dichiarare che questo ministro mente: le prigioni
e gli altri luoghi di detenzione sono colmi di uomini maturi e di giovani, senza
che nessuno conosca la loro identità. Reclusi con la forza senza accusa, non
sono stati condotti in procura e dunque sono in pericolo visto che il
ministro stesso ufficialmente nega la loro presenza nei centri di detenzione.
Che spiegazione fornirebbe il ministro se alla fine questi detenuti non
riconosciuti venissero condotti davanti ad un giudice e assolti dopo averci
raccontato quello che hanno subito in questi ultimi anni? Una cosa è certa:
delle persone sono sparite da almeno due anni, senza che nessuno abbia idea
di dove si trovino e quale sia il loro destino.
Il caso di un
medico
Il 24 agosto 2013 alle ore 11, la polizia ha arrestato il Dott. Mohamed
Saïd Ismaël (chirurgo presso la clinica centrale di El Kanayate), quando
scendeva dall’automobile davanti alla sua casa, sotto gli occhi degli
abitanti del suo quartiere. Da quella data, fino ad oggi, non si hanno novità
di lui. Ovviamente non so se questo medico sia ancora in vita o meno, ma so
benissimo come vive la sua famiglia.
Ho incontrato sua figlia Sara che ha intorno ai vent’anni. Ha appena
perso gli anni migliori della sua gioventù, passati a cercare suo padre nelle
prigioni e nei commissariati, nelle procure, presso i giudici, negli ospedali
e negli obitori … invano! Ha scritto al ministero degli Interni per
richiedere di rivelare il luogo di detenzione di suo padre, ma senza
risultato. Alla fine, da fonti inufficiali della polizia, ha sentito che suo
padre si trova recluso in un luogo top secret non identificato, visto che lo
si sospettava di appartenere all’organizzazione dei Fratelli Musulmani.
Non pensavo che il Conte di Montecristo del romanziere francese Alexandre
Dumas, ispirato ad una storia vera, potessi ripetersi nei nostri giorni.
Pensavo che i film egiziani Amir El Antikam e Amir Addaha (Il
principe della vendetta e Il principe della furbizia) con gli attori
protagonisti Anouar Ouagdi e Farid Chaouki facessero parte del passato in
bianco e nero. Non avrei mai immaginato che le sofferenze mostrate in questi
film divenissero oggi dei fatti reali a colori.
Ho riletto il romanzo francese e ho scoperto che il barcone che trasporta
gli eroi del romanzo, Edmond Dantès, dall’Egitto fino in Francia, si chiama
Faraone! Questo nome viene dato a tutti i governatori despotici del nostro
paese. Sono rimasto anche molto sorpreso quando ho saputo che Edmond Dantès aveva
solamente 18 anni quando è stato prelevato per essere buttato in una galera
segreta. E tutto questo semplicemente perché si sospettava avesse un legame
con Napoleone Bonaparte che stava programmando il suo ritorno con un colpo di
stato contro il regno di Francia. Per un attimo sono rimasto stupefatto,
visto che ho scoperto che l’apparato della polizia che aveva prelevato Dantès
si chiamava Sicurezza Nazionale [esattamente come nell’Egitto di oggi,
nota del traduttore
]. Ma ho deciso di non rimanere più sorpreso, visto
che la storia del regime despotico del Faraone egiziano era la più citata nel
Corano. Nel suo romanzo, Alexandre Dumas parla di un solo desaparecido,
ovvero di Edmond Dantès. Nell’Egitto odierno invece i casi simili a quello di
Dantès sono migliaia.
Ho incontrato l’avvocato Ibrahim Abdelmoneïm Al-Moutawalli in uno stato
di costernazione continua. Lui, l’uomo di legge, aveva bisogno di un
difensore visto che non riusciva a conoscere il destino di suo figlio Amro, anche
lui tra i desaparecidos del regime. Nella sua richiesta rivolta al Tribunale,
l’avvocato Ibrahim Abdelmoneïm precisa che suo figlio Amro, studente al
quarto anno di ingegneria presso la facoltà di Taïba al Cairo, si trovava tra
le persone arrestate durante le manifestazioni davanti alla Guardia Repubblicana
al Cairo. Due anni dopo il suo arresto, Amro ancora non è stato condotto
davanti al procuratore. Ma nella sua richiesta, l’avvocato precisa che un
prigioniero liberato ha comunicato al padre di aver incontrato suo figlio,
detenuto senza provvedimenti giudiziario. L’avvocato dunque ha presentato la
richiesta 50 dell’11 luglio 2013 affinché suo figlio venisse condotto
dinnanzi al procuratore della procura di Misr El Jadida per sapere se suo
figlio fosse detenuto o meno, ma invano.
Anche la Lega per i Diritti Umani non ha potuto fare nulla. Il padre di Amro
le ha inoltrato una richiesta per farla intervenire rapidamente presso gli
inquirenti della Sicurezza Nazionale di Nasr City. Aveva infatti saputo che
suo figlio sarebbe stato trasferito in questo distretto, ove sarebbe detenuto
insieme ad un gruppo di desaparecidos nella prigione di Wadi Natroun, senza
essere nominato nel registro ufficiale della prigione. Tutti i prigionieri
detenuti insieme a lui sono stati liberati, fuorché lui. Poi sarebbe stato
trasferito nella prigione di Azouli a Ismailia. Fino ad oggi Amro non è
ancora stato condotto davanti al procuratore, sena dubbio perché non ci sono
accuse nei suoi confronti.
Indipendentemente dal fatto se siano Fratelli Musulmani, membri del
Partito Nazionale Democratico [l’ex partito unico, NdT] o di una
qualsiasi altra categoria sociale, i “desaparecidos” hanno il diritto alla
vita e alla protezione. I loro luoghi di reclusione devono essere noti e
devono essere condotti dinnanzi alla giustizia, indipendentemente dalle
accuse mosse nei loro confronti. Il fatto che un giovane di 16 anni venga
ucciso, che suo padre venga prelevato e imprigionato illegalmente, potrebbe far
scoppiare tensioni nel paese. E nessuno ne uscirà indenne, né i governanti né
i governati.
Aveva il numero di carta di identità 27108290103751 e risiedeva ad El
Amira, nel dipartimento di Alessandria. Adel Dardiri Abdelgawad si era messo
in contatto con sua moglie per dirle che il loro figlio era stato ucciso
dalle pallottole dell’esercito o della polizia durante la dispersione sanguinaria
del sit-in della piazza Rabia al Adawiyya. L’aveva informata che sarebbe
rimasto insieme al corpo del loro figlio prima di poter lasciare la piazza
per poterlo seppellire. Oggi, oltre due anni dopo, il padre e il corpo del
figlio rimangono introvabili in tutto il paese. La famiglia invano ha
inoltrato numerose richieste al governatore.
Un’altra storia di un giovane: Mahmoud Ibrahim Mustapha Atyya, del
dipartimento di Kafr el-Cheikh, con un numero di carta di identità 27603141600077.
È una tra le storie più tristi della piazza Rabia al Adawiyya. Mahmoud
Ibrahim aveva informato la sua famiglia che avrebbe aiutato a trasportare i
morti e i feriti all’ospedale improvvisato durante la dispersione sanguinaria
della piazza Rabia al Adawiya. Da allora nessun segno di vita da parte sua.
In seguito suo fratello è venuto a sapere che era stato recluso nella
prigione di Azouli a Ismailia. Ha cercato diverse volte di andarlo a
trovare, ma l’amministrazione penitenziaria del campo negava la sua presenza.
Infatti il problema principale che devono affrontare le famiglie dei
desaparecidos consiste nel fatto che la giustizia non risponde alle loro lagnanze.
Le lagnanze delle famiglie dei detenuti, indirizzate alle procure dei luoghi
di detenzione, rimangono senza risposta da parte delle autorità giudiziarie. La
famiglia del giovane Abdelhamid Mohamed Abdessalam abita a Aziat el Bili, un
piccolo comune, collegato con il capoluogo di Tamoul, nel governatorato di Kafr
el-Cheikh. La famiglia ha inoltrato una richiesta giudiziaria e inviato
diverse lagnanze per conoscere la sorta del figlio sparito durante lo stesso
sit-in, ma si trova davanti ad un muro.
I stessi procedimenti li ha presi la famiglia di Saïd Ramadan Ali che
risiede nel quartiere di Bouhours nello stesso dipartimento. La famiglia di Mohamed
Kader Ali Mohamed Hassan, con il numero di carta di identità 29108150300252, residente
nel dipartimento di Port-Saïd, non ha notizie del suo famigliare dalla sua
scomparsa in seguito al sit-in di Rabia Al Adawiya. Nessuna traccia di
Mohamed neppure tra i corpi non identificati dopo aver effettuato la prova
del DNA.
L’Egitto non ha ancora ratificato la Convenzione internazionale per la
protezione delle persone disperse, ratificata dall’Assemblea Generale dell’ONU
nel dicembre del 2006. Si deve dunque far pressione sul regime attuale o all’eventuale
regime che lo sostituirà affinché ratifichi questa convenzione. Visto l’aumento
vertiginoso delle sparizioni forzate, dobbiamo agire immediatamente, senza
aspettare i 20.000 desaparecidos, come dopo il golpe militare in Algeria [il
19 gennaio 1992 NdT
].
 
Liberate l‘Egitto!