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Mutilazione Genitale Femminile, quando il corpo diventa una prigione

CHIARA D’AURIA 22 Dicembre 2018
La Mutilazione Genitale Femminile (MGF) è una barbarie che include pratiche tradizionali che vanno dall’asportazione parziale del clitoride, l’escissione dello stesso, l’infibulazione e interventi vari di modifica sui genitali femminili, per ragioni non mediche.

La vera motivazione delle Mutilazioni Genitali Femminili non è ancora stata accertata. Si pensa che si tratti di un sistema per preservare la verginità prima del matrimonio e la fedeltà coniugale e che conferisca, quindi, un’elevata moralità. È una tradizione culturale profondamente radicata in molti paesi africani, ma non soltanto lì.
Le conseguenze delle Mutilazioni Genitali Femminili sono una più grave dell’altra: rapporti sessuali difficoltosi e dolorosi, possibili cistiti, ritenzione urinaria, infezioni vaginali, problemi e complicanze durante il parto e disagi psicologici. Il forte dolore che deriva da queste operazioni, fatte in totale assenza di anestesia, può causare shock. La più comune e quasi inevitabile conseguenza è l’emorragia. Nei casi estremi, si arriva alla morte della vittima.
Nel corso di queste cerimonie spesso sono le stesse persone care alle vittime che si fanno registe di un vero e proprio teatro dell’orrore, protagoniste di un’atrocità tanto disgustosa, che viola diritti fondamentali delle donne.


Mutilazione genitale femminile: una pratica necessaria alla buona riuscita di un matrimonio!
In molti Paesi africani, in alcuni asiatici, ma anche in Australia, Canada, Stati Uniti ed Europa (sì, non si tratta di un fenomeno così lontano da noi!) c’è chi mutila i genitali alle bambine e alle ragazzine per purificarle da non so cosa.


La sessualità femminile è soggiogata o ridotta in nome del controllo dell’uomo, che deve gustarsi lo scarto del regalino di nozze con coltello o lama alla mano (alla maniera di un macellaio) per tagliare la cucitura della vulva infibulata e penetrarla per primo. Già, perché la vagina di chi subisce la mutilazione genitale può essere chiusa a metà circa delle grandi labbra, con un foro per l’urina e uno per il flusso mestruale. Si tratta della pratica che prende il nome di “infibulazione” e deriva dal latino “fibula”, che significa “spilla”, “fermaglio”. A essere agganciata è la carne, di modo che la donna non entri in contatto con la sua parte selvaggia e ancestrale.
“Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità”. Scriveva Simone de Beauvoir.
Questa paura atavica dell’uomo di non essere sufficientemente virile e potente è un cancro in questo mondo e dovremmo prenderne atto per superare questa secolare, cronica incomprensione di genere.
La Mutilazione Genitale Femminile inibisce nella donna desideri e tentazioni di rapporti prematrimoniali, ma soprattutto la preserva e la difende da violenze e stupri.


La donna non è un corpo da violentare e straziare, mi sembra ovvio, ma se capiti nel posto sbagliato e la cultura di cui è intriso non te lo dice, potresti essere desiderosa di efferatezze del genere, per te stessa e per le tue figlie, perché le giovani che non sottostanno a questo genere di tradizioni sono considerate promiscue e sporche. Penseresti che “lavarsi dalla vergogna per sempre” sia cosa buona e giusta, perché una donna che non lo fa sarà esclusa e non sarà la moglie di nessuno. Ecco perché non sono medici, sciamani o padri di famiglia a torturare le bambine, bensì le stesse donne dalla vulva cucita. E lo fanno per il loro “bene“.


Ma come può una donna essere protetta da una cicatrice che soffocherà per sempre un urlo strozzato di dolore?
L’organismo, nel riparare una ferita, genera del tessuto connettivo che ha una maggiore resistenza a tutto ciò che potrebbe riaprirla, e la pelle non sarà mai più la stessa. Una donna che subisce la mutilazione genitale femminile è una donna che porterà per sempre con sé i segni indelebili di una ferita sul proprio corpo e nella propria psiche, non sarà mai più la stessa.


Un corpo che non si esprime è una prigione buia in cui l’anima, malnutrita e rassegnata, a testa bassa, afferra le gelide sbarre e rimane paralizzata. Un corpo deturpato per essere inibito è un luogo angusto dalle mura grigie e spesse, popolato da blatte e topi, in cui la vita stessa è una condanna. E questo è un dato di fatto.
Non c’è nessun buon motivo, movente, spiegazione, tradizione che potrà mai giustificare la violenza, punto.
L’istruzione è l’arma più potente per fronteggiare queste storie di ordinaria ingiustizia.