Afghanistan, una guerra privata che rischia di non finire mai
Roberto Colella 20 Febbraio 2019 |
L’amministrazione Trump continua a portare avanti una strategia in Afghanistan sempre più dipendente dagli appaltatori della sicurezza privata.
Pare che il vecchio piano di Erik Prince, fondatore di Blackwater, tra le più importanti società di contractors, basato sulla sostituzione del personale militare americano con appaltatori privati pagati per combattere per gli Stati Uniti, stia prendendo la giusta piega. La privatizzazione della guerra rischia però di offrire maggiori opportunità di nepotismo e corruzione. Infatti l’esternalizzazione del conflitto agli appaltatori è stata criticata da numerosi punti di vista.
L’ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (SIGAR) ha pubblicato dozzine di rapporti in materia di corruzione nella spesa degli Stati Uniti in Afghanistan. Una lettura attenta di questi rapporti mostra mancanza di responsabilità e trasparenza che proviene dai vari livelli di appalto, con conseguente subappalto e addirittura sub-subappalto. Le imprese contraenti non accelereranno la fine della guerra, perché la pace significherebbe una fine dei profitti.
Il piano Prince prevede un rimpiazzo dei 17.000 soldati Nato (di cui 8.500 americani) e 29.000 contractors del Dipartimento della Difesa attualmente dispiegati in Afghanistan con 6.000 contractors e 2.000 operatori delle forze speciali, incorporati tra le fila dell’Esercito afghano. I contractors, che per un 60% sarebbero ex membri delle forze speciali Usa e per un 40% dei Paesi Nato, avrebbero l’appoggio di una forza aerea – anch’essa privata – per operazioni di supporto aereo ravvicinato.
Le dimissioni di Mattis hanno aperto di fatto la strada alla guerra privata in Afghanistan. La potenziale privatizzazione della guerra afghana fu in precedenza respinta dalla Casa Bianca e fortemente criticata proprio da Mattis, che considerava il rischio di porre gli obiettivi di sicurezza nazionale della nazione nelle mani degli appaltatori. Ormai Mattis è fuori e un drastico cambiamento di linea in Afghanistan appare evidente.
Nel numero di gennaio/febbario della rivista di armi e caccia “Recoil”, Blackwater Usa ha pubblicato un annuncio a tutta pagina, in nero, con un semplice messaggio: “Stiamo arrivando”. Se Blackwater tornasse, sarebbe il ritorno di un appaltatore di sicurezza privato che è stato bandito dall’Iraq. Blackwater è stata rinominata e ristrutturata diverse volte, ed era conosciuta come Constellis Group, quando fu acquistata dall’Apollo Holdings Group. Successivamente Apollo aveva messo in vendita Constellis, ma lo scorso giugno la vendita è stata sospesa. Queste società di nuovi mercenari ben stipendiati, vivono in un limbo giuridico, dove è difficile stabilire regole di convivenza con le forze armate regolari avendo spesso anche delle proprie regole di ingaggio. Inoltre si è spesso evidenziata l’incapacità di gestire queste forze private nel rapporto con i civili, essendo stati utilizzati in un conflitto principalmente per proteggere delle persone importanti.
La guerra in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001, ha portato alla morte di oltre 2.000 soldati statunitensi e di migliaia di feriti con i Taliban che controllano sempre più il territorio e la produzione di oppio trasformatosi in mercato di eroina, nonostante i miliardi di dollari spesi dagli Stati Uniti. Proprio lo scorso fine gennaio i Taliban hanno accettato di impegnarsi a non rendere più il paese piattaforma per il terrorismo internazionale ma sembrano ancora indifferenti ad un cessate il fuoco e a trattare direttamente con il governo di Kabul.
Gli unici a volere subito la pace sono i cinesi soprattutto nella zona di confine tra lo Xinjiang, Pakistan e Afghanistan, terra di terroristi anche uiguri, in modo da accelerare alcuni progetti di espansione economica e commerciale che vedono come obiettivo principale la realizzazione delle nuove vie della Seta.