Turchia: “Un crimine di stato contro i rifugiati siriani”
Maurizio Coppola 30 luglio 2019 |
A dirlo è l’attivista Öztürk del Partito per la Libertà sociale TÖP. Alcuni giorni fa il governo turco ha annunciato la sospensione dell’accordo con l’Unione Europea riguardo al controllo dei cosiddetti flussi migratori dalla Siria. Sono 3,5 milioni i rifugiati siriani presenti in Turchia, ma ora sono sempre più esposti a repressione e espulsioni.
“Il governo turco ha annunciato di voler espellere 80.000 siriani nelle prossime settimane. Si tratta semplicemente di un crimine di stato”, afferma Zeki Öztürk, attivista del Partito per la libertà sociale TÖP attivo, tra l’altro, nei quartieri periferici di Istanbul dove vive una gran parte dei rifugiati siriani. Le retate sono iniziate una settimana fa in alcune zone di Istanbul contro i rifugiati siriani senza permesso di soggiorno o permesso di soggiorno consegnato dalle autorità di altre città e regioni. L’Unione Europea aveva usato la Turchia come cuscinetto per regolare l’arrivo di rifugiati siriani sul territorio europeo. “Il governo turco dell’AKP [Partito della Giustizia e dello Sviluppo], per conto suo, sin dall’inizio del conflitto siriano ha usato una retorica di solidarietà con i rifugiati per occupare un ruolo centrale nei conflitti della zona”, aggiunge Öztürk.
Secondo l’attivista, sono quattro i temi chiave da prendere in considerazione nel dibattito sull’attuale politica del governo turco contro i siriani. Il primo è la diversità della comunità siriana arrivata in Turchia da ormai sette anni. Infatti tra i 3,5 milioni di siriani presenti in Turchia ci sono arabi-sunniti, curdi, alawiti, comunità nomade, sciiti etc. Si tratta dunque di un mosaico di etnie e religioni che complica la comprensione dei bisogni sociali e culturali dei rifugiati e che crea conflitti all’interno delle società turca. “Se mai la politica turca avesse risposto ai problemi reali dei siriani, questa è rivolta esclusivamente agli uomini arabi-sunniti”, ci spiega Öztürk. Quasi la metà dei rifugiati siriani in Turchia però è rappresentata da bambini e da tantissime donne esposte a pericoli specifici alle loro condizione d’esistenza. Nel quartiere Alibeyköy, a circa un’ora di pullman verso nord dal centro di Istanbul, l’organizzazione politica TÖP da quasi tre anni sta portando avanti delle attività sociali con l’apertura di case di cultura e una casa delle donne, attività rivolte esplicitamente a questi due soggetti più deboli.
Un secondo tema riguarda le condizioni di vita e di lavoro dei rifugiati siriani nel contesto di una profonda crisi del sistema di accumulazione turca: nei primi sei mesi dell’anno in Turchia si è misurata una diminuzione del PIL, delle importazioni e del consumo privato. Tutto indica una importante recessione per il 2019 dopo che l’economia turca era cresciuta di quasi 7 punti nel 2018. Allo stesso tempo le richieste per sussidi disoccupazione è aumentata del 52% in un anno (maggio 2018 a 2019), mentre l’anno prima erano diminuite del 1.6%. Nel 2018 l’inflazione ha superato il 20%.
La regolazione dei flussi migratori siriani ha portato, di fatto, a una ripartizione della forza lavoro tra l’Unione europea e la Turchia: da una parte, in Europa arrivano i siriani con alte qualificazioni professionali, l’esempio più importante sono i numerosi medici tra i circa 800.000 rifugiati siriani istallati in Germania; dall’altra parte invece in Turchia rimangono o vengono rispediti quelli con formazioni professionali più basse. Secondo una ricerca della Mezzaluna Rossa turca del 2018, sono circa un milione i siriani che lavorano nel sistema produttivo turco, ossia nello smistamento dei rifiuti (attività lasciata totalmente all’informalità ma senza la quale il sistema di riciclaggio dei rifiuti non funzionerebbe proprio), nell’edilizia e soprattutto nell’agricoltura (dove si parla di 92% di irregolarità) e nel settore del tessile. “I siriani compongono una forza lavoro a basso costo. Se il salario medio turco si aggira attorno a 2200 Lire turche al mese [circa 350 Euro], tra i siriani si calcola tra 500 e 700 Lire turche. Tra i bambini abbiamo conosciuto casi di 5 Lire al giorno, cioè neanche 1 Euro. Senza la forza lavoro siriana, l’economia turca sprofonderebbe in una ancora più profonda crisi”, così Öztürk.
Il terzo tema è l’accordo tra l’Unione europea e la Turchia firmato nel 2016. L’accordo prevedeva, tra l’altro, il versamento di sei miliardi Euro di aiuti economici per la gestione della questione rifugiati. Finora ne sono stati pagati circa 3 miliardi, ma secondo Öztürk una parte ben piccola è stata investita realmente nell’accoglienza dei rifugiati siriani: “I finanziamenti europei se li sono intascati lo stato turco e i funzionari di governo. E invece di investire nelle strutture d’accoglienza e nei servizi necessari per rispondere ai bisogni dei rifugiati, lo stato turco ha aperto tre centri d’accoglienza su territorio siriano”.
Infine, il quarto tema si riferisce alla svolta autoritaria che il presidente Erdoğan ha avviato dopo aver perso la maggioranza parlamentare nelle elezione del 7 giugno 2015 e dopo il tentativo di colpo di stato il 15 luglio 2016. Da allora sono aumentate le “operazioni antiterrorismo” nelle zone curde della Turchia, dell’Iraq e della Siria. Il presidente ha intensificato gli arresti di militanti socialisti e di membri del Partito democratico dei popoli HDP e le “neutralizzazioni” – per usare un termine orwelliano che tradotto vuol dire semplicemente “uccisioni” – dei combattenti del PKK nel Nord dell’Iraq e del YPG nella Siria del Nord. “Con questa svolta autoritaria del governo AKP, ogni giorno ci sono scontri armati e arresti. La vita sociale nel Kurdistan turco è praticamente finita”, spiega Öztürk. Una svolta che è servita a riconquistare il consenso nei settori più conservatori della società turca durante la prima fase di crisi di governance e ora viene utilizzata contro i migranti.
Ma gli attacchi ai diritti dei migranti non si limitano ai siriani. È di un mese fa la notizia secondo la quale il Ministro degli interni Süleyman Soylu annunciava retate contro i migranti africani a Istanbul in nome della legalità e del decoro. Secondo gli studiosi del Centro di ricerca sulle migrazioni dell’Università di Koç, gli africani a Istanbul sono tra i 50.000 e 200.000 e vivono soprattutto nel distretto Beyoğlu, lavorando nel settore tessile, senza assicurazione, giornate di lavoro che arrivano fino a 15 ore e un salario medio che corrisponde alla metà di quello dei lavoratori turchi, cioè circa 1000 Lire turche o come venditori ambulanti nelle strade maggiormente percorse dai turisti. Quindi la governance turca sta cambiando carattere: “La svolta autoritaria di Erdoğan combina il tradizionale dispotismo turco con forme di neofascismo in crescita anche in Europa occidentale”, conclude Öztürk.
Le contraddizioni sociali ed economiche nella Turchia contemporanea stanno aumentando rapidamente: in pieno contesto di crisi economica e aumento della disoccupazione, il governo di Erdoğan lancia un attacco ai settori più deboli della società per rispondere alle crescenti preoccupazioni esistenziali dei lavoratori turchi. In questo il nuovo sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu del Partito Popolare Repubblicano CHP sta in totale sintonia con il governo centrale dell’AKP. Ma allo stesso tempo vasti settori dell’economia turca sono maggiormente dipendenti da questa forza lavoro a basso costo e ipersfruttabile per garantire i profitti in una fase di recessione. Anche se politicamente Erdoğan sta perdendo lentamente consenso, la sua posizione non è ancora in pericolo. Ma cosa succederà quando i nodi verranno al pettine?