Testimonianze: delle donne marocchine raccontano il calvario dell’aborto clandestino
Manal Zainabi 15/09/2019 |
Con lo scoppio del caso Hajar Raissouni, la giornalista detenuta sotto l’accusa di aborto illegale, il dibattito sull’aborto clandestino e sull’importanza di legalizzarlo è stato rilanciato in Marocco. TelQuel ha raccolto le testimonianze di tre donne marocchine che sono ricorse all’IVG in modo illegale. Tra inquietudine e sofferenza, raccontano questo doloroso momento della loro vita.
Tradotto da Silvana Fioresi
Editato da Fausto Giudice
Tra 600 e 800, è il numero degli aborti effettuati ogni giorno in Marocco, secondo l’Associazione marocchina di lotta contro l’aborto clandestino. Di fronte ad una legge che permette l’IVG solo in casi estremi, sono quindi a centinaia le donne che usano ogni giorno il loro diritto di disporre del loro corpo nella più bella illegalità.
Centinaia di casi, ma altrettanti di storie, talvolta drammatiche. Mentre il caso di Hajar Raissouni, accusata di aver abortito illegalmente, è in prima pagina nella stampa nazionale ed è oggetto di procedura giudiziaria dai primi di settembre, TelQuel ha raccolto la testimonianza di tre donne marocchine che hanno accettato di raccontare le loro dolorose esperienze con l’aborto clandestino. Abbiamo ugualmente sollecitato un intermediario che vende farmaci abortivi a queste donne che desiderano interrompere volontariamente la loro gravidanza.
Intermediari
Ghalia* aveva 23 anni quando ha scoperto di essere incinta durante una semplice visita dal dottore. Temendo una reazione negativa della sua famiglia, decide di abortire. “Io e il mio ragazzo non eravamo sposati e le nostre famiglie non avrebbero mai accettato un bambino nato fuori dal matrimonio… Avrei vissuto un inferno tenendo questo bambino”, spiega la giovane di Marrakech che oggi ha 25 anni.
Per mettere fine alla sua gravidanza la giovane donna sollecita l’aiuto di amiche che la mettono in relazione con un infermiere. Questo opera da intermediario e, contro un pagamento di circa 500 dirham [=45€], l’introduce da un ginecologo. Costui stima il costo dell’operazione a 4.000 dirham [=370€], una somma che lei riesce a trovare con l’aiuto del suo ragazzo. Una volta dal ginecologo, Ghalia effettua una IVG per aspirazione. “Quando ho aperto gli occhi mi sono messa a piangere”, ricorda la giovane.
Le storie di aborti clandestini si ripetono ma non si somigliano. A Rabat, anche Leila* ha ricorso all’aborto per una gravidanza indesiderata. Aveva 24 anni quando la seconda linea rosa è apparsa sul suo test di gravidanza. In quel periodo aveva appena iniziato la sua carriera, Leila era incinta di gemelli. La sua gravidanza era il frutto di una relazione occasionale.
Persa, chiede aiuto ad un’associazione che si rivolge a donne nella sua situazione e che riesce a metterla in contatto con un ginecologo. Famoso specialista dell’IVG, costui fattura l’intervento 3.500 dirham. Però un mese dopo l’intervento le cose si mettono male per Leila che soffre costantemente di emorragie. « I sanguinamenti sono durati un mese. E’ stato orribile, non ho mai avuto così tanto male in tutta la mia vita », racconta con voce rauca. Soltanto dopo una cura la giovane ha potuto riprendere una vita « normale ».
Secondo l’articolo 453 del codice penale marocchino l’aborto è passibile dai 6 mesi ai 2 anni di prigione per le donne che praticano l’IVG, quindi le due donne hanno infranto la legge ricorrendo a questo intervento. Tuttavia, non è il carattere illecito di quest’ultimo che esse temevano.
Per Leila, a tormentarla è il timore di rimpiangere la sua decisione. “L’illegalità non mi fa paura, visto che ci sono tante donne che abortiscono ogni giorno in Marocco, piuttosto ho paura di non avere più in futuro la fortuna di avere dei gemelli”, si confida. Da parte sua, Ghalia teme soprattutto la reazione dei suoi genitori. “Non immagino nemmeno quello che potrebbero fare se lo scoprissero”, ci confessa.
False pillole
Stesso timore da parte di Kaltoum* che, a 21 anni, è rimasta incinta del suo ragazzo. Per mancanza di mezzi e di sostegno, è disperata e utilizza dei modi artigianali per interrompere la gravidanza: mistura di erbe abortive e medicinali acquistati nel mercato nero. “Non avevo alcun mezzo, quindi ho cercato la soluzione meno cara, più efficace e meno pericolosa”, commenta qualche mese dopo i fatti.
Attraverso una delle sue conoscenze scopre l’esistenza dell’Artotec. Questa medicina, utilizzata per curare problemi articolari e reumatismi, ha delle proprietà abortive. Contiene la prostaglandina, una molecola che serve a proteggere lo stomaco, ma che, allo stesso tempo, provoca delle contrazioni uterine.
Questa medicina è vietata alla vendita in tutto il territorio nazionale e il suo utilizzo richiede un’assistenza medica. Kaltoum riesce a procurarsi, in cambio di 1.000 dirham, 10 compresse di questa medicina. Ma non sente nessun effetto. Dopo qualche giorno, la giovane si rende conto che le compresse in questione erano false.
La situazione di Kaltoum preoccupa una delle sue amiche che riesce a trovare i 2.800 dirham necessari per finanziare l’IVG effettuata in un ambulatorio ginecologico di Casablanca. Ma dopo l’intervento la giovane donna soffre di sanguinamenti acuti e scopre, a sua grande sorpresa, che il feto non è stato completamente ritirato durante l’intervento. “Per fortuna il resto è partito da solo,… mi hanno detto che la situazione poteva essere molto più pericolosa se non fosse successo”, ci confida.
Un Artotec ambito
Come Kaltoum, numerose altre donne che desiderano abortire hanno ricorso all’Artotec. Nonostante sia stato ritirato dal mercato dal 2016, la medicina può essere facilmente comprata attraverso certi gruppi Facebook o WhatsApp. “L’Artotec è disponibile ma molto caro. La scatola normalmente era venduta a 100 dirham nelle farmacie, ma ormai una sola compressa costa quasi 100 dirham”, dice la giovane.
Basta una semplice ricerca sulla rete sociale di Mark Zuckerberg per trovare decine di pagine in cui gli amministratori pretendono di poter vendere la pillola ad effetto contraccettivo. Su una di quelle, certe pubblicazioni sono edificanti. Si trovano persino delle schermate su scambi via WhatsApp dove delle clienti « soddisfatte » pubblicano delle foto che mostrano gli effetti della medicina.
Contattato da TelQuel, il proprietario della pagina afferma vendere un pack di 10 pillole, chiamato “Samta” (la cintura), per la somma di 1.000 dirham. Quest’ultimo propone ugualmente di amministrare delle « iniezioni » contraccettive, secondo lui « più efficaci », a 1.500 dirham.
Secondo un recente rapporto della procura, 73 persone sono state perseguite per aborto in Marocco nel 2018. Al rientro parlamentare un progetto di legge iniziato nel 2015, per autorizzare l’ aborto in caso di violenza o di incesto, di malformazioni prenatali o di malattia mentale della madre, dovrebbe essere discusso in parlamento.
*I nomi delle persone citate in questo articolo sono stati modificati per preservare il loro anonimato.