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Dove vanno gli Stati Uniti?

4 Novembre 2016

La politica estera statunitense tra presente e futuro secondo il professor David Unger

Le elezioni statunitensi si avvicinano e molti in giro per il mondo si chiedono cosa aspettarsi dal verdetto delle urne, specialmente alla luce dell’escalation di tensione Usa-Russia, dell’approfondirsi della crisi siriana e delle manovre Nato in Europa orientale che suscitano forte irritazione a Mosca. Quali sono le differenze tra Hillary Clinton e Donald Trump? Abbiamo parlato di tutto questo con il professor David Unger, docente di politica estera statunitense all’Università John Hopkins di Bologna, ex editorialista del ‘New York Times’ e autore di numerosi volumi di argomento storico e geopolitico.
Professor Unger, come giudica l’attuale strategia statunitense in Siria? Quale crede siano gli obiettivi principali perseguiti da Washington in Medio Oriente?
Obama sta cercando di evitare un’altra dispendiosa e poco promettente guerra in Medio Oriente,ma l’opinione pubblica statunitense e la tradizionale tendenza interventista dei democratici gli impediscono di ignorare il disastro umanitario che sta verificandosi in Siria. La politica che scaturisce da questo miscuglio risulta piuttosto incoerente. Stati Uniti, Russia e Bashar al-Assad stanno tutti cercando di combattere l’Isis ma Washington cerca allo stesso tempo anche di rovesciare il governo siriano combattendo al fianco dei suoi stretti alleati sia turchi che curdi, i quali si combattono a vicenda.
I rapporti con due alleati chiave degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita e Israele non sembrano facili. Dalla crisi siriana all’accordo sul nucleare iraniano, passando per le continue intrusioni di Netanyahu nella politica statunitense e la legge che autorizza i tribunali Usa a chiamare a giudizio cittadini sauditi per le cause legate all’11 settembre 2001, gli elementi di contrasto sembrano essersi moltiplicati negli ultimi mesi. Come crede che si evolveranno le relazioni tra gli Stati Uniti e questi due importanti alleati?
Penso che il prossimo presidente degli Stati Uniti, a prescindere da chi venga eletto, cercherà di migliorare i rapporti sia con i sauditi che con gli israeliani. Ma questo obiettivo potrebbe non essere realizzabile alla luce degli interessi nazionali sempre più confliggenti. Netanyahu non apprezza la Clinton e non gradisce affatto la sua politica mediorientale. I sauditi sono più pragmatici, ma finché continueranno a relazionarsi con l’Iran percorrerendo la via diplomatica ci saranno sempre tensioni. E i sauditi non riscuotono grande popolarità nell’opinione pubblica Usa per un insieme di evidenti buone ragione.
La crisi ucraina è in una fase di stallo. Nessuna delle forze in campo sembra riuscire a ottenere la vittoria sul campo di battaglia e le potenze straniere che sostengono a vario titolo i due schieramenti  non sono ancora riuscite a elaborare soluzioni praticabili. Quali interessi hanno gli Stati Uniti in Ucraina? Come valuta la reazione della Russia al colpo di Stato del febbraio 2014?
Gli Stati Uniti hanno interesse a rendere l’Ucraina un Paese in grado di difendere i propri confini e la propria sovranità. In passato, la potenza militare russa ha rappresentato una minaccia per l’indipendenza e la stabilità delle nazioni dell’Europa orientale che oggi fanno parte della Nato o sono vicine all’Alleanza Atlantica. Ma nel 2014 gli Stati Uniti non avrebbero dovuto esercitare pressioni così intense per strappare l’Ucraina alla sfera geoeconomica russa e avvicinarla a quella dell’Unione Europea. Ciò rappresenta uno schiaffo alla storia dei due Paesi che per di più ignora gli attuali rapporti di forza vigenti.
Raramente le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia sono state così tese. Come crede che si sia arrivati a questo punto? Come intendono affrontare la questione i due candidati alla Casa Bianca?
In passato, i rapporti tra Washington e Mosca hanno conosciuto momenti di tensione molto più preoccupanti. Per esempio nel 1983, nel 1962, nel 1956, nel 1948. Non esiste alcun conflitto di natura ideologica al giorno d’oggi. Nessuna competizione bipolare per conquistare il maggior numero di alleati ed incrementare la propria capacità di influenza a scapito del nemico. Esiste una Russia ormai spogliata del suo vecchio impero che cerca di recuperare alcune delle posizioni perse, gettando il proprio peso militare sul piatto della bilancia con l’obiettivo di imporsi quantomeno a potenza egemone dello spazio ex-sovietico. E in Siria? La Russia parte da una posizione difensiva, proteggendo l’unica base militare all’estero sopravvissuta dopo il crollo dell’Urss. C’è ovviamente dell’opportunismo nell’approccio russo, ma anche la genuina preoccupazione per la minaccia portata alla sicurezza nazionale dagli islamisti radicali del Caucaso.