Donne e temi sociali nel cinema indiano
7 Dicembre 2016
Non solo Bolliwood, ma anche cinema indipendente con Kabir Bedi, mitico Sandokan
L’India è donna? L’interrogativo è meno provocatorio di quanto potrebbe apparire. Quanto è cambiata la società indiana dal punto di vista del cliché culturali, dei comportamenti delle libertà individuali, delle conquiste sociali? Non è un caso che questo sia esso anche il tema di una delle conversazioni mattutine dedicata al dialogo culturale tra letterati e indologi nel bel mezzo del Festival cinematografico River to River, il Florence Indian Festivali in corso dal 3 all’8 dicembre al rinnovato teatro della Compagnia, nell’ambito della Rassegna annuale 50 anni di cinema. Giunto quest’anno alla 16 edizione, il Festival dedicato al cinema indiano apre un’interessante finestra sull’India di oggi e i suoi fermenti culturali e sociali attraverso film cortometraggi, mostre e dibattiti.
Un’immagine che non riguarda solo Bollywood con le sue mega produzioni di quasi mille film multilingue l’anno, ma anche il cinema indipendente, film e corti che affrontano vari temi sociali e che vedono protagoniste le donne: 7 sono le registe presenti con i loro lavori a questa rassegna che propone una ventina di opere inedite in Italia. Tra queste il recente kolossal dal titolo Mohenjo Daro diretto dal Candidato Oscar Ashutsh Gowariker, di cui è protagonista l’ospite d’onore del Festival Kabir Bedi. L’indimenticabile protagonista della serie televisiva del 1976, dedicata all’eroe salariano Sandokan, regia di Sergio Sollima, è stato al centro di questo Festival, per presenziare sia le prime delle 6 puntate della serie TV che grande successo ebbe allora nel nostro Paese e nel mondo, riproposte durante il Festival, che partecipando insieme al regista alla proiezione del suo ultimo film dedicato all’antica città di Mohenjo Daro durante la civilizzazione preistorica nella Valle dell’Indo nel 2016 avanti Cristo: un film favolistico incentrato sull’amore di un giovane contadino, Sarman per la bella Chaani, figlia di un sacerdote nella corte del malvagio sovrano Maham, una storia ove amore, conflitti e sconvolgenti scoperte si intrecciano.
“Abbiamo deciso di omaggiare Kabir Bedi“, mi dice Selvaggia Velo, la direttrice del Festival alla quale sono andati i sinceri apprezzamenti dell’Ambasciatore dell’India in Italia Anil Wadwa, “per questo Festival unico del genere in Italia, poiché Kabir più di chiunque altro rappresenta un ponte tra l’India e l’Italia, proprio come quello che il Festival si auspica di costruire anno dopo anno. Alle sue parole le ha fatto eco lo stesso Kabir incontrando giornalisti e pubblico: Il mio rapporto con l’Italia è cominciato con Sandokan, la gente si è affezionata al suo ricordo e anche alla mia persona. Quando sono qui mi sento a casa. Vivo è il suo sentimento di gratitudine verso il Sergio Sollima, scomparso un anno fa, il regista che diresse la serie televisiva che contribuì a costruire il mito di Sandokan. “Sono felice di sapere che suo figlio Stefano sta diventando un regista che si sta facendo onore, ne sarebbe contentissimo“.
A Sandokan sono seguite altre esperienze in tv e nel 2010 ha ottenuto il riconoscimento di Cavaliere della Repubblica. Quanto alla sua figura missione di uomo-ponte tra due paesi e due diverse culture ha detto di essersi “sempre sentito un rappresentante dell’India in Italia e dell’Italia in India. Certo, da allora tante cose sono mutate: le tecnologie, i governi, l’atteggiamento verso i migranti. Ma penso che l’anima delle persone sia rimasta la stessa e le somiglianze tra i nostri due popoli siano più di quante si possa immaginare. Entrambi i popoli hanno un’ottima cucina, sono ospitali, gesticolano, ma sopratutto hanno una cultura ricchissima“. Di un giovane regista torinese Louis Nero, uscirà presto – ha anticipato Kebir – il film ‘The brocken key‘, con Geraldine Chaplin e Rutger Hauer, oltre naturalmente a lui, Kabir. La scoperta di alcuni manoscritti del passato consentirà di capire meglio anche il presente.
Dunque, anche i nostri due paesi sono cambiati. Ma quanto l’India non è più quella che un tempo esercitava fascino e attrazione, pellegrinaggi giovanili alla ricerca del mito di Siddharta, del Gautama Budda e di una diversa spiritualità religiosa e filosofica? E quanto le donne hanno camminato sulla strada dei loro diritti e della loro emancipazione? “I temi sociali che il Festival affronta“, osserva Selvaggia Velo, “cercano di offrire una fotografia a 360 gradi, attraverso i film, i documentari, i corti, di quella che è la realtà indiana di oggi. In particolare, ciò che si muove a livello giovanile, lo possiamo capire attraverso i web series presenti al Festival che raccontano l’India di oggi”. Tra questi Permanent Roommates, di Sameer Saxena e Deepak Kumar Mishra, trasmessa con successo per 2 stagioni e che ha registrato 50 milioni di visualizzazioni, è la serie più seguita in India, incentrata sulla storia di due giovani che cercano un affitto a Mumbai, e affrontano poi il tema della gravidanza prima del matrimonio.
“Quanto al cinema delle donne qui rappresentato sono sette le registe che narrano storie di vita reale quotidiana con le loro problematiche sociali: sono Shefali Bhushan, laureata nel ’95 al MCRC all’università di Jamia di Nuova Delhi,che ha vinto il premio per la miglior colonna sonora di un suo film sulla musica Kolk Colours of Earth al Vita Film Festival di Ucla, qui presenta la storia d’amore di una direttrice musicale nell’industria cinematografica indiana, Anu Menon, laureata presso la London Film School, i cui cortometraggi sono stati proiettati al Tribeca e all’Edinburgh Film Festival, propone Waiting, ovvero la relazione che nasce tra due persone in ospedale di fronte alla sofferenza dei rispettivi coniugi, interessanti i cortometraggi di Meneka Das, che ora vive a Londra, e di Payal Sethi, che ha lavorato nel cinema indipendente di New York, o le opere di Dindrila Duttagupa e di Bal Brach, giornalista canades, che affrontano la prima il tema del desiderio sessuale delle donne di Delhi, la seconda, il mondo dei grossi matrimoni indiani, sfarzosi e costosi, in cui si mette in luce la commercializzazione del matrimonio stesso provandolo del suo significato autentico. Storie di donne, registe o figure cinematografiche che raccontano la lunga e difficile marcia verso l’emancipazione, donne divise tra tradizione e modernità, storie indiane ma al tempo stesso universali“.
Ma spesso, la loro marcia verso la libertà non è stata documentata neanche dalla letteratura, come ci mostra nel suo film Annie Zaidi, giornalista, poetessa, autrice di testi teatrali, sceneggiatrice, che nel suo film ‘In Her Words, The yourney of Indian Women‘, racconta il lungo viaggio storico e sociale della vita delle donne indiane, rintracciabile nella letteratura di ogni epoca, a partire dai versi di monache, di devote bhakti ribelli, canzoni popolari, versi scritte da cortigiane: brani che rivelano le aspirazioni della femminilità indiana represse degli ultimi due millenni. Temi e lotte sociali simili a quanto avviene in altre parti del mondo sono al centro dei film di registi qui presenti – alcuni dei quali già noti al grande pubblico, come Shankey Srinivasan che ora vive a San Francisco e che nel suo The Last Smile, narra la lotta di un padre che ha perduto improvvisamente il figlio, causata da una reazione ad un farmaco, il quale intraprende una lotta legale contro la l’azienda farmaceutica multinazionale responsabile dell’accaduto. Altro tema sociale lo troviamo nel documentario Cities of Sleep di Shaunak Sen, dedicato ai senza tetto, spesso vittime della mafia del sonno, delle loro notti all’aperto sotto un ponte. Dai senzatetto ai bambini venduti: è la toccante storia vera del più giovane maratoneta del mondo, Budhia Sing, venduto dalla madre ad un ambulante all’età di 5 anni, poi salvato dall’allenatore di judo Biranchi che ne scopre casualmente il talento. Ne vuol fare un maratoneta ma dopo la prima gara sui 48 chilometri i servizi sociali gli vietano le corse accusando l’allenatore di crudeltà. Finiscono così i sogni di gloria del piccolo Budhia narratoci da Soumendra Padhi. Storie di speranze e delusioni, di bambini donne giovani, di conflitti per sopravvivere o affermarsi nelle grandi contraddizioni dell’India di oggi che cinema e web series ci fanno conoscere.