Bergamo, la strage che i padroni non hanno voluto evitare
Alba Sidera 23/04/2020 |
La zona d’Italia più devastata dalla Covid-19 è un grande polo industriale. Non è mai stata dichiarata zona rossa a causa della pressione dei padroni. Il costo in vite umane è stato catastrofico.
Tradotto da Franco Senia
Ci sono immagini che segnano un’epoca, che restano impresse nell’immaginario collettivo di tutto un paese. L’immagine che gli italiani non potranno dimenticare per molti anni, è quella che gli abitanti di Bergamo hanno fotografato dalle loro finestre la notte del 18 marzo. Settanta camion militari hanno attraversato la città in un silenzio tombale, uno dietro l’altro, in una lenta marcia in segno di rispetto: trasportavano cadaveri.
Erano stati portati da altre città, fuori dalla Lombardia, poiché il cimitero, l’obitorio, la chiesa trasformata in un obitorio di emergenza ed il crematorio rimasto in funzione 24 ore al giorno non ce la facevano. L’immagine ha immortalato la portata della tragedia in corso nella regione italiana più colpita dal coronavirus. Il giorno dopo, il paese si è svegliato con la notizia di essere il primo nella lista mondiale dei decessi ufficiali a causa del covid-19. La maggior parte in Lombardia. Ma che cosa ha reso la situazione così drammatica proprio a Bergamo? Cosa è successo in quella regione per far sì che nel mese di marzo del 2020, il numero di morti sia stato del 400% rispetto a quelli dello stesso mese dell’anno precedente? Il 23 febbraio, nella provincia di Bergamo, c’erano stati solo due casi positivi di coronavirus. In una settimana il numero dei contagiati era salito a 220; quasi tutti nella valle del Serio. A Codogno, un’altra città lombarda, dove il primo caso di coronavirus era stato rilevato il 21 febbraio, erano bastati 50 casi positivi per far chiudere la città e dichiararla zona rossa (massimo rischio). Perché non si sono comportati allo stesso modo anche nella valle?
Perché in quella valle si concentra uno dei poli industriali più importanti d’Italia, e gli imprenditori industriali hanno fatto pressione su tutte le istituzioni per evitare di chiudere gli stabilimenti e perdere soldi. Per quanto incredibile possa sembrare, la regione campione di morte per coronavirus per abitanti di tutt’Italia, e d’Europa, non è mai stata dichiarata Zona Rossa, nonostante lo sconcerto dei sindaci che avevano richiesto tale provvedimento, e di quello dei cittadini, i quali ora esigono che vengano individuati i responsabili. I medici della Val Seriana sono stati i primi a dirlo: e assicurano, impotenti, che se la regione fossa stata dichiarata zona rossa, come consigliavano tutti gli esperti, sarebbero state salvate centina di vite.
La storia è alquanto confusa: quelli interessati a mantenere aperte le loro fabbriche, in alcuni casi, sono anche azionisti o soci di cliniche privati. La Lombardia è la regione italiana che meglio rappresenta quello che è un modello di commercializzazione della sanità, ed è stata vittima di un sistema di corruzione su ampia scala, guidato dal suo ex governatore Roberto Formigoni (che ha governato dal 1995 al 2013), che è stato un membro di spicco del partito di Comunione e Liberazione. Apparteneva allo stesso partito di Berlusconi, il quale lo sosteneva in quanto «governatore a vita della Lombardia», ma ha sempre potuto contare sull’appoggio della Lega, la quale governa nella Regione da quando è stato rimosso Formigoni, accusato e condannato pe corruzione in ambito sanitario. Il suo successore, Roberto Maroni, nel 2017 diede inizio ad una riforma della Sanità che ha portato ad ulteriori tagli degli investimenti pubblici, che hanno praticamente abolito i medici di famiglia, sostituendoli con dei «manager». Inoltre, nei prossimi 5 anni spariranno circa 45.000 medici di base, ma «chi è che va ancora dal suo medico di famiglia?», ha sostenuto, convintamente, nel mese di agosto dello scorso anno, il politico della Lega Giancarlo Giorgetti, allora vice-segretario di Stato del governo Conte-Salvini.
Ufficialmente, l’epidemia nella regione di Bergamo, la cosiddetta Bergamasca, è cominciata la sera di domenica 23 febbraio, anche se i medici di famiglia e e i medici di base – in prima linea nel denunciare la situazione – hanno assicurato che alla fine di dicembre avevano già curato molti casi di polmonite anomala, anche in persone di 40 anni di età. Nell’Ospedale Pesenti Fenaroli, di Alzano Lombardo, un comune di 13.670 abitanti a pochi chilometri da Bergamo, sono risultati positivi i testi del coronavirus su due pazienti ricoverati. Dal momento che erano già stati in contatto con altri pazienti, oltre che con medici e infermieri, la direzione dell’ospedale decide di chiudere le porte. Ma, senza che venisse data alcuna spiegazione, viene riaperto poche ore dopo, senza disinfettare le strutture e senza isolare i pazienti con il Covid-19. Ancora peggio: tutti i lavoratori (medici, infermieri, ecc.) hanno continuato a lavorare senza protezione per un’intera settimana; la maggior parte di loro è rimasta contagiata ed ha finito per diffondere il virus tra la popolazione. Il numero dei contagi si è moltiplicato per tutta la valle. Pertanto l’ospedale è stato così il primo grande focolaio dell’infezione: i pazienti che erano entrati in ospedale per un banale doloro all’anca, sono morti di coronavirus. I sindaci dei due comuni più colpiti della Val di Serio, Nembro e Alzano Lombardo, hanno aspettato ogni giorno, alle 19:00, che arrivasse l’ordine di chiudere la citta, come avevano concordato.