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L’Egitto di Mohamed Salah e quello di Al Sisi

Catherine
Cornet, Internazionale, 28 giugno 2018

Con la
disfatta dell’Egitto ai Mondiali, neanche Mohamed Salah, il giocatore egiziano
di 26 anni diventato un’icona per cento milioni di egiziani, potrà fare da
argine all’infelicità e allo scontento di un paese sull’orlo del baratro.
Un murale
che ritrae il calciatore egiziano Mohamed Salah al Cairo, il 2 maggio 2018. (Sima
Diab, The New York Times/Contrasto)

Nella
vignetta di Andeel
un uomo è inghiottito da una buca nel terreno,
aggrappato al suolo con una sola mano, che viene calpestata da uno scarpino da
calcio. Con la disfatta della nazionale egiziana, che grazie al numero 10
Mohamed Salah si era qualificata ai Mondiali dopo 28 anni di assenza, l’ultimo
lume di speranza del popolo egiziano sembra scomparso.

Da
qualche mese sono riprese delle timide proteste online per contestare la
gestione autoritaria – e per molti aspetti fallimentare – del generale Abdel
Fatah al Sisi, al potere da cinque anni dopo un colpo di stato.
La
politica d’austerità richiesta dal Fondo monetario internazionale sta piegando
il paese
L’hashtag
più popolare nel paese nelle ultime settimane – 86mila tweet – è stato
#AlSisivattene, in ricordo del primo slogan della rivoluzione tunisina. Dopo la
disfatta calcistica contro l’Arabia Saudita, l’hashtag #Checosaodiodell’Egitto
ha cominciato a lanciare strali contro il governo, la sua corruzione, la sua
violenza e, soprattutto, la sua incapacità di sfamare la popolazione.
L’Egitto
di Al Sisi non corrisponde a quello gioioso e vincente di Mohamed Salah. La
politica d’austerità richiesta dal Fondo monetario internazionale sta piegando
il paese: nel 2016 la lira egiziana ha perso il 50 per cento del suo valore, e
di conseguenza gli egiziani hanno visto diminuire il
loro potere d’acquisto
. L’inflazione rende oggi impossibile la vita
per le fasce più povere della popolazione. A maggio il prezzo del biglietto
della metropolitana è aumentato del 350 per cento: i viaggiatori hanno
organizzato proteste spontanee quando hanno realizzato che un terzo dei loro
stipendi veniva speso per i trasporti.
Anche gli
aiuti alimentari sono stati tagliati, penalizzando 70 milioni di persone che
contano sulle sovvenzioni statali. In un dossier dedicato allo “scompiglio
egiziano”, Middle East
Eye racconta di Safia
, 62 anni, che non può più sfamare i figli con
una sola pensione (40 euro al mese); o di Mona Hussein, che spiega che con lo
stipendio del marito medico (340 euro al mese) a causa dell’aumento dei prezzi
(38,6 per cento annuo) la famiglia non fa più parte della classe media: “Non
compro mai un determinato bene allo stesso prezzo. I prezzi aumentano tutti i
giorni. Non so per quanto ancora potremo sopportare tutto questo”.
Il
ragazzo di Nagrig

Se Mohamed Salah è considerato dagli egiziani come uno di loro è perché
proviene da un piccolo paese, Nagrig, sul delta del Nilo, e perché, come la
maggioranza degli egiziani, ha vissuto in povertà. Non aveva i soldi per
studiare e da adolescente prendeva tutti i giorni tre minibus per andare ad
allenarsi al Cairo. Diventato famoso, il calciatore ha offerto
scuole e ambulanze
al suo paese. La sua umiltà e la sua generosità
sono apprezzate quanto il fatto che non ha mai dimenticato le sue origini
umili.
In Egitto
sembra essere rimasto così l’unica speranza degli egiziani dopo la rivoluzione,
l’ultimo eroe positivo. Il ricercatore Amro Ali lo ha scritto in un brillante
saggio
sull’infelicità egiziana e Mohamed Salah: “Gli egiziani hanno
perso da tempo il riferimento di qualcuno che susciti rispetto e che non sia
esiliato, in prigione o morto (…) Salah può cambiare il mondo orwelliano che è
diventato l’Egitto, ma ha aiutato a restaurare il significato di valori che
stavano vacillando: la dignità è tornata a essere dignità, i princìpi sono
tornati princìpi, la gentilezza gentilezza, e la felicità è tornata felicità”.
Fuori
dell’Egitto, l’icona Mohamed Salah è trasversale: a Liverpool, i tifosi inglesi
cantano a squarciagola: “Se fa un altro gol così, divento musulmano anch’io”.
Davanti all’islamofobia, scrive The
Independent
, Salah è diventato il modello di un islam moderno e
gentile. “Salah è sicuramente il musulmano più famoso del mondo. È adorato a
casa e fuori non solo per le sue prodezze con il pallone, ma anche per il suo
comportamento amichevole e umile. È diventato un’icona dell’islam mainstream,
moderato, in un’Europa ancora spaventata dagli attentati del 2017”.
Anche gli
egiziani apprezzano che Salah sia diventato l’ambasciatore di un islam
moderato. Vedere sua moglie, velata e vestita come un’egiziana semplice, sul
campo del Liverpool, li rende molto fieri.
La favola
potrebbe diventare un incubo

Purtroppo, l’Egitto di Al Sisi potrebbe anche mettere fine al sogno “Mo Salah”.
Il suo
status di eroe musulmano ha già preso una piega più complessa. La federazione
egiziana ha accettato di andare a giocare in Cecenia per i Mondiali e quando è stato
svegliato e tirato fuori dalla sua stanza d’albergo
di Grozny dal
leader ceceno Kadyrov per ricevere la cittadinanza onoraria cecena, il calciatore
ha sofferto. La strumentalizzazione da parte del leader ceceno è evidente in un video
dell’evento
, dove si vede un Salah poco sorridente e molto
preoccupato.
In
seguito al fatto, Salah avrebbe minacciato di lasciare la squadra egiziana.
Perché se
il campione ha provato in tutti i modi a rimanere apolitico, la sua posizione
sta diventando impossibile da gestire davanti a un potere autoritario che
coopta o distrugge.
Salah è
riuscito a rifiutare la villa lussuosa offerta dall’imprenditore Mamdouh Abbas
spiegando che preferiva una donazione al suo villaggio, Nagrig, ma ha dovuto anche versare 269mila dollari al
fondo statale Long Live Egypt per placare il regime.
L’esempio
del suo mentore, Aboutrika, “il Mago”, per quattro volte miglior calciatore
d’Africa che ha pubblicamente sostenuto i Fratelli musulmani, è illuminante:
Aboutrika è iscritto sulla lista dei terroristi e non può più rientrare in
Egitto.
Salah
potrebbe fare la stessa fine, come teme il
giornalista egiziano Mostafa Mohamed
: “Il messaggio più
preoccupante, implicito, che il governo egiziano offre ai giovani (il 40 per
cento della popolazione ha tra i 10 e i 20 anni secondo l’Undp), è che per
seguire le loro ambizioni e avere un’esistenza stabile devono lasciare il
paese”.
In una
lettera indirizzata a Salah sul giornale
filogovernativo Al Arham
, il famoso opinionista Saleh Mountasser
aveva già scritto con toni minacciosi che “Mo Salah farebbe meglio a radersi la
barba, per non sembrare islamista ed essere arrestato come terrorista”. E le
minacce continuano ora che ha accennato a voler lasciare la squadra egiziana.
E così,
“anche se non dice mai nulla di vagamente politico, Salah potrebbe non essere
al riparo dalle punizioni che gli potrebbe infliggere il regime di Al Sisi”,
conclude il giornalista Mohannad Sabry su Al Jazeera.
Finendo per lasciare cento milioni di egiziani nel baratro dell’Egitto di Al
Sisi.