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LIBANO. Profughi palestinesi: «Trump è un illuso, non rinunceremo al diritto al ritorno»

Michele Giorgio 19 settembre 2019
I profughi palestinesi nel Paese dei cedri non si arrendono agli attacchi di Trump e Netanyahu all’Unrwa e al diritto al ritorno. Il docente Sari Hanafi dell’AUB: «Gli Usa non riusciranno ad eliminare con un colpo di ‎spugna il diritto al ritorno e a liquidare la questione palestinese».

«Sidone, Sidone, Tiro, Tiro‎». Samir Abu Kias, 28 anni, si guadagna da vivere esortando a gran voce i viaggiatori a salire a bordo dei minibus diretti alle due città meridionali libanesi. Gli autisti ripagano il suo impegno con qualche migliaio di lire libanesi. Lui arrotonda preparando caffè per i passeggeri in attesa della partenza. Tutto il giorno Samir, profugo palestinese, lo passa in quell’inferno di gas di scarico di auto e bus e di clacson incessanti che è lo svincolo di Cola, a sud di Beirut.
‎«Quando va bene riesco a portare a casa 20mila lire (circa 13 dollari). Non sono molti ma almeno riusciamo a mangiare» ci spiega. Poco ma già è qualcosa in Libano, paese che non permette ai palestinesi di svolgere gran parte delle attività lavorative. Cola è vicino al campo di Shatila e fino a qualche anno fa era un mercato delle braccia a basso costo solo per i palestinesi. ‎«Oggi ci sono anche i profughi siriani e i palestinesi che prima erano in Siria, anche loro hanno bisogno di lavorare e mangiare‎», spiega Samir. Shatila, poco più di un chilometro quadrato, che ha accolto centinaia di famiglie giunte dalla Siria, è sul punto di esplodere. I servizi sanitari e scolastici dell’Unrwa, l’agenzia dell’Unrwa che assiste i rifugiati palestinesi, già insufficienti non bastano a rispondere ai bisogni di profughi vecchi e nuovi.
I recenti tagli decisi dagli Stati uniti di oltre 300 milioni di dollari destinati all’Unrwa, che assiste oltre cinque milioni di palestinesi nei Territori occupati, in Libano, Siria e Giordania, si stanno rivelando catastrofici. Diversi paesi sono intervenuti aumentando le donazioni ma il deficit dell’Unrwa resta ampio: 270 milioni di dollari. L’agenzia dell’Onu peraltro garantisce molte migliaia di posti di lavoro che ora rischiano di perdersi.
I più esposti, perché i più poveri, sono i profughi palestinesi a Gaza e in Libano. E ora Donald Trump, appoggiato da Israele, punta alla chiusura dell’Unrwa in modo da imporre a Libano, Siria e Giordania di assorbire milioni di profughi palestinesi e mettere fine al loro “diritto al ritorno” nella terra d’origine sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu.
I nonni di Samir vivevano di agricoltura in un piccolo centro non lontano da Tamra, in Galilea. Furono costretti a lasciarlo come molte migliaia di palestinesi di quella zona sotto l’urto degli attacchi delle forze militari ebraiche prima e durante le fasi che portarono alla nascita di Israele nel 1948. ‎«Delle volte provo ad immaginare la mia terra, la Palestina, e me la vedo bellissima davanti agli occhi. Un giorno riuscirò a tornarci», dice Samir ribadendo quello che dicono un po’ tutti i rifugiati palestinesi, incuranti delle decisioni di Trump e decisi a resistere malgrado i colpi inferti dagli Usa all’Unrwa.
Per Trump e il premier israeliano Netanyahu, che come tutti i suoi predecessori nega categoricamente il diritto al ritorno ai palestinesi, è proprio l’Unrwa la “responsabile”, perché con la sua esistenza e il suo lavoro non farebbe altro che ‎«perpetuare il conflitto» israelo-palestinese. ‎«Trump punta molto più alto della distruzione dell’Unrwa, punta a liquidare la stessa questione palestinese» diceva ieri al manifesto Sari Hanafi, docente del Dipartimento di sociologia e antropologia dell’Università americana di Beirut ed egli stesso un profugo cresciuto nel campo di Yarmouk (Damasco) prima della formazione universitaria in Francia, ‎«ma è destinato a fallire perché con la sua politica ha suscitato la reazione contraria di paesi occidentali e arabi che ora si dicono disposti a coprire in buona parte il deficit dell’Unrwa».
«L’aggressività di Trump contro i palestinesi – aggiunge – è riuscita a scuotere persino l’Autorità Nazionale di Abu Mazen spingendola ad adottare posizioni e un linguaggio che di solito non usa». E comunque, conclude Hanafi, «palestinesi e arabi non accetteranno imposizioni che vanno oltre la politica e creano problemi sociali ed economici di eccezionale importanza».
Il ministro degli esteri libanese Jebran Bassil qualche giorno fa ha respinto con forza il disegno di Stati Uniti e Israele per insediare i profughi palestinesi negli Stati dove ora sono ospitati. ‎«Anche se il mondo intero accettasse l’insediamento dei profughi palestinesi (nei paesi arabi) noi lo rifiuteremmo.‎‎ Il diritto al ritorno è sacrosanto», ha detto Bassil trovando pieno appoggio nel presidente Michel Aoun.
Il Libano ospita circa 500mila profughi palestinesi ed è nota l’avversione di una fetta consistente della popolazione nei confronti della loro presenza (e da qualche anno anche di quella dei profughi siriani). Avversione non poche volte sfociata in ostilità aperta e persino in attacchi armati che hanno provocato massacri, come quello del 1982 a Sabra e Shatila compiuto da falangisti libanesi sostenuti da Israele, di cui proprio in questi giorni si commemora l’anniversario. E la Giordania, pur non avendo le posizioni dure del Libano, comunque ha messo in chiaro che non assorbirà i profughi.
Netanyahu e Trump vanno avanti, senza tenere conto dell’impraticabilità dei loro disegni. Sostengono che assieme all’abolizione dell’Unrwa i palestinesi dovranno essere affidati all’Unhcr, l’agenzia generale per i profughi, che adottata criteri diversi per la definizione dello status di rifugiato. L’Unhcr, spiegano, non estende automaticamente, come fa l’Unrwa, questo status ai discendenti dei profughi e, sottolineano, guarda al loro inserimento negli Stati ospitanti e tiene conto dell’ottenimento da parte dei rifugiati della cittadinanza in altri paesi.
Così sulla base di conteggi improbabili, americani e israeliani affermano che i profughi «effettivi» passerebbero un solo colpo da cinque milioni a 500-600mila. ‎«Trump e i suoi collaboratori possono fare tutti i calcoli che desiderano» avverte Sari Hanafi ‎«ma sono destinati a fallire, non riusciranno a cancellare con un colpo di spugna il diritto al ritorno e a liquidare la questione palestinese».