Venti anni fa, la seconda Intifada,: migliaia di morti per una lotta fallita
Gideon Levy 27/09/2020 |
L’Intifada di Al-Aqsa è stata la più grande rivolta popolare contro l’occupazione. Due decenni dopo lo scoppio, la situazione palestinese è più cupa che mai
Tradotto da Frammenti vocali in MO: Israele e Palestina
Lo Yom Kippur quest’anno segnerà gli anniversari di due degli eventi più violenti nella storia di Israele, eventi che hanno plasmato il suo carattere per anni. Saranno 47 anni dall’inizio della guerra dello Yom Kippur e 20 anni dallo scoppio della seconda Intifada. Entrambi hanno colto Israele di sorpresa, ma nessuno dei due avrebbe dovuto sorprendere nessuno.
Il 28 settembre 2000 Ariel Sharon ha visitato il Monte del Tempio nella Città Vecchia di Gerusalemme e la polveriera è esplosa. Il giorno dopo, un soldato delle forze di difesa israeliane e sette palestinesi sono stati uccisi. Il giorno seguente, l’uccisione del dodicenne Mohammed al-Dura nella Striscia di Gaza in un fuoco incrociato è stata ripresa dalle telecamere. Nei giorni seguenti, un ufficiale della polizia di frontiera israeliana della comunità drusa, Madhat Yusuf, morì dissanguato presso la tomba di Giuseppe a Nablus, due riservisti dell’IDF, Yosef Avrahami e Vadim Norzhich, furono assassinati a Ramallah e il demone della violenta resistenza all’occupazione e la sua violenta repressione sono uscite con forza dalla bottiglia.
Sarebbero passati più di quattro anni letali prima che la feroce rivolta venisse repressa, con l’uso di una forza massiccia, e forse solo temporaneamente, fino alla successiva insurrezione, anche se al momento non sono visibili segni all’orizzonte.
Per Israele la seconda Intifada si è trasformata nell’incubo di autobus che esplodono e attentatori suicidi, anni di incessante orrore e terrore per i cittadini del paese. Per i palestinesi questi furono anni di brutale repressione, estesi spargimenti di sangue, assedi, chiusure, serrate, posti di blocco, arresti di massa e anche combattimenti e sacrifici che non li portarono da nessuna parte.
Vent’anni dopo la loro situazione è peggiore, più disperata di quanto non fosse prima dello scoppio dell’Intifada di Al-Aqsa e più cupa che mai: solo nella Nakba, la calamità del 1948, la loro situazione era ancora più dura e senza speranza. Ma questo non era è mai un gioco a somma zero: il loro sangue e il nostro sangue erano superflui, il loro sangue e il nostro sangue sono stati versati invano. Solo il prezzo che hanno pagato, come sempre, è stato di gran lunga superiore al caro prezzo pagato dagli israeliani. Ci sono stati 138 attacchi suicidi e 1.038 israeliani uccisi dal 28 settembre 2000 all’8 febbraio 2005, secondo i dati del servizio di sicurezza Shin Bet; e 3.189 palestinesi uccisi, secondo i dati dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem. Inoltre, 4.100 case palestinesi sono state demolite e circa 6.000 palestinesi arrestati.
Questa settimana sono tornato all’inizio, agli articoli, ai rapporti e agli appunti presi nei primi giorni, dalla parte palestinese, di quella che è diventata rapidamente l’Intifada di Al-Aqsa. Le prime tre vittime palestinesi le cui storie noi – il fotografo Miki Kratsman ed io – abbiamo raccontato, erano bambini, alla fine della prima settimana di rivolta. Uno era ferito, uno stava morendo e il terzo era già morto.
Israele ha lanciato la sua repressione della rivolta sparando alla testa dei bambini sul Monte del Tempio: Ala Badran, 12 anni, ha perso un occhio; Mohammed Joda, 13 anni, giaceva moribondo nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Makassed a Gerusalemme est; e Majdi Maslamani, 15 anni, era già morto e sepolto nel cimitero del quartiere di Gerusalemme di Beit Hanina. Circa 10 giorni dopo l’inizio dell’intifada, 14 bambini palestinesi erano già stati uccisi. Questi casi sono stati a malapena riportati dai media israeliani, che come al solito si sono occupati quasi esclusivamente delle vittime ebree che erano ancora poche.
Il direttore del Makassed Hospital, il dottor Khaled Qurei – fratello di uno degli architetti degli accordi di Oslo, Ahmed Qurei (meglio noto come Abu Ala) – aveva già nel suo ufficio 16 barattoli contenenti proiettili rimossi dai feriti. Uno di loro, Joda, era cerebralmente morto. Suo padre, un camionista, era appena tornato dalla colata di cemento nell’insediamento di Har Homa a Gerusalemme quando suo figlio è stato colpito alla testa sul Monte del Tempio.
“Amico, capisci che questo è un ragazzo di 13 anni?” Il dottor Wahab Dajani, un medico del reparto di terapia intensiva che aveva già visto tutto, ci ha urlato .
A poche centinaia di metri, nel quartiere di Beit Hanina, era già in corso il lutto per Maslamani. Suo padre in lutto, Samir, il proprietario di un negozio di computer chiamato Japanese Technology Center, a Gerusalemme est, ha riferito che suo figlio era andato al Monte del Tempio il 6 ottobre per protestare contro il blocco imposto ai territori. Un proiettile lo aveva colpito alla testa da vicino.
Ala Badran ha subito un destino meno brutale: aveva perso solo un occhio. La regina Elisabetta sorrideva da un ritratto all’ingresso del St. John of Jerusalem Eye Hospital nella città orientale, dove 11 bambini erano stati operati nelle prime due settimane dell’intifada . Ala era uno di loro. Sua madre non gli disse fino a pochi giorni dopo l’operazione, che aveva perso definitivamente un occhio.
La visita alla stazione di polizia di Ramallah il 15 ottobre, tre giorni dopo il linciaggio dei due riservisti israeliani, è stata molto più dura. Il capo della stazione, il colonnello Kamal al-Sheikh, ci ha detto che aveva cercato di proteggere fisicamente i due soldati in uniforme, ma che la folla che aveva invaso il luogo lo aveva spinto con la forza contro il muro e aveva portato via i due soldati. Lo sceicco è stata l’ultima persona a vederli vivi. L’incidente è stato “il più grande fallimento dell’Autorità Palestinese” e “la più grande umiliazione mia e della polizia di Ramallah”, ci ha detto. Gli israeliani, scioccati dalle fotografie del sangue e dei corpi gettati fuori dalla finestra del secondo piano, non erano pronti ad ascoltare il suo racconto e la sua pubblicazione ha suscitato molta rabbia.
Una settimana dopo, abbiamo visitato la casa di Jamil Muslith, un fornaio di Beit Jala, fuori Betlemme, la cui casa era stata bombardata dall’IDF. Era ancora scosso dall’evento. Sua moglie Munawar e nove figli erano stati salvati da un quasi miracolo. Incollati sui muri della città c’erano le fotografie del quattordicenne Mueid Juarish, il cui cranio era stato frantumato dal proiettile di un soldato pochi giorni prima. Allora Beit Jala era sotto il coprifuoco e nelle sue strade si vedevano già grandi distruzioni. Questa è stata la risposta di Israele alla sparatoria avvenuta all’adiacente quartiere ebraico di Gilo, costruito da Israele attraverso la linea verde dopo il 1967. Era difficile credere che solo un anno prima un gruppo di bambini di Beit Jala avesse assistito a un concerto della Israel Philharmonic a Gerusalemme.
Il campo profughi di Deheisheh si trova a pochi chilometri a sud di Beit Jala. Mentre a Beit Jala si parlava ancora di pace, a Deheisheh si parlava di guerra. Un’ondata di emozioni di rabbia e vendetta ha attraversato le strade del campo profughi durante le prime settimane dell’intifada, dove solo pochi anni prima avevamo seguito una vivace campagna elettorale per il Consiglio legislativo palestinese. Ora i residenti partivano per le dimostrazioni intrise di sangue vicino alla Tomba di Rachele, diventata un punto focale di resistenza. In estate abbiamo visitato Rami Maali, un ragazzo della vicina Betlemme che vendeva succhi e il cui braccio era stato rotto senza motivo da un soldato dell’esercito israeliano.
Sui muri di Deheisheh c’erano Che Guevara e George Habash, fondatore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Tutta l’amarezza , accumulata nel corso di decenni, dai rifugiati è esplosa all’improvviso in questo campo militante. Qui il sogno del ritorno non era mai stato abbandonato. E forse non lo farà mai.
“Prima di questa intifada eravamo oppressi”, ci ha detto uno degli uomini armati. “Ora i nostri spiriti sono stati risollevati. Pensavano di poter infrangere il nostro sogno: rimuovere i palestinesi dalla storia. Ma l’Intifada ha ripristinato il nostro sogno. Sarà difficile tornare a quello che c’era prima. [Yasser] Arafat e [Ehud] Barak non potranno più tenere colloqui. Di cosa parleranno? Oslo è finita. “
E poi sono iniziati gli omicidi mirati. Lo studente e attivista della Jihad islamica Anwar Himran è uscito dall’università di Nablus dopo aver sostenuto un esame, libri in mano, sua moglie al suo fianco e ha aspettato un taxi. Venti colpi di un cecchino dell’IDF lo hanno abbattuto da una distanza di 300 metri . Un buon numero di passanti sono stati uccisi nel corso degli omicidi. A dicembre un totale di 250 palestinesi erano già stati uccisi in tali incidenti e in altre circostanze.
Tre mesi prima dello scoppio dell’intifada, avevamo pubblicato una fotografia della vetrina del negozio Oslo Shirts a Nablus. Il proprietario, Saad al-Haruf, che parlava tedesco da anni di esilio, ci aveva avvertito della rivolta incombente. Alla fine di dicembre è stato assassinato, quando una persona , fingendosi un conoscente lo ha chiamato a tarda notte e gli ha chiesto di venire a salvarlo .
Il campo profughi di Al-Fawar, a sud di Hebron, era sotto assedio quando uno dei suoi residenti, Samar al-Hodor, 18 anni, è stato colpito e ucciso dai soldati, poche ore prima del suo matrimonio programmato. Erano passate solo due settimane dall’inizio dell’Intifada. Al-Hodor fu sepolto con l’abito da sposo che i suoi genitori gli avevano comprato. L’assedio imposto al campo è durato mesi . Le strade in Cisgiordania sono state gradualmente bloccate.
“Hai diviso la Palestina, ora ogni villaggio è uno stato indipendente”, ci ha detto un impiegato dell’agenzia di sviluppo delle Nazioni Unite nel campo.
Poche settimane dopo, un tassista, Ismail al-Talabani, 50 anni, è stato ucciso vicino all’insediamento di Netzarim nella Striscia di Gaza, semplicemente perché aveva osato guidare vicino a un convoglio di auto di coloni. Sabarin Balut è nata in un taxi in Cisgiordania mentre i suoi genitori imploravano i soldati di farli arrivare in un ospedale. È stata rimossa dal taxi ancora collegata con il cordone ombelicale a sua madre mentre i soldati ridevano.
Nel marzo 2001 abbiamo pubblicato le fotografie di 66 bambini palestinesi che erano stati uccisi dallo scoppio della seconda Intifada. All’epoca, Obai Daraj, un bambino di 8 anni stava giocando in casa quando un proiettile vagante è entrato nella sua stanza uccidendolo . Era l’ultima vittima. Successivamente è stato raggiunto da molte altre giovani vittime, sia israeliane che, principalmente, palestinesi. Poche settimane prima, il 6 febbraio, Ariel Sharon, la cui visita al Monte del Tempio aveva innescato tutto, era stato eletto primo ministro di Israele.