Il Decreto Rilancio non basta, tutta l’Università deve cambiare Lettera aperta al Ministro Manfredi
UniCovid2020 29/05/2020 |
Egregio Ministro,
Siamo dottorande/i, assegniste/i, ricercatori/trici a tempo determinato, cultori/trici della materia, docenti a contratto, borsiste/i, in Italia e all’estero. Qualche settimana fa abbiamo promosso un appello sulla nostra condizione lavorativa all’interno degli Atenei, raccogliendo, in pochissime ore, quasi trecento firme. Il 6 maggio abbiamo discusso in assemblea: un importante momento di confronto sulla situazione di grave difficoltà e disagio che viviamo da anni e ancor più adesso, durante la gravissima crisi pandemica in corso.
Alcune/i di noi al momento sono senza contratto e senza stipendio, ma ciononostante continuano, in varie forme, a lavorare gratuitamente nei dipartimenti e nei centri di ricerca nel solco dell’economia della promessa. Ci siamo inoltre trovate/i impossibilitate/i a procedere nelle nostre ricerche di laboratorio, bibliografiche, archivistiche, ma non abbiamo mai smesso di lavorare, scrivere, studiare, garantire la continuità della didattica anche a distanza, ai seminari, alla loro gestione amministrativa. Un lavoro condotto in una condizione di forte stress emotivo, sia portato dell’emergenza sanitaria, sia frutto della precarietà strutturale che caratterizza le nostre biografie.
Il COVID-19 non ha fatto altro che squarciare un velo, mettere a nudo situazioni di precarietà intollerabili, a maggior ragione quando il ruolo della Ricerca viene acclamato dall’opinione pubblica e dalla politica. A fronte di 48 mila docenti strutturati, i precari e le precarie si aggirano intorno alle 70.000 unità: la maggioranza delle persone che operano nella ricerca conduce una vita professionale all’insegna dell’incertezza esistenziale e del sovraccarico lavorativo che, nel 90% casi, termina con l’espulsione dal sistema. A maggior ragione guardavamo quindi al Decreto Rilancio come a una prima presa di parola operativa da parte del suo Ministero, la verifica che alle promesse di un miglioramento delle condizioni del lavoro di ricerca corrispondessero dei fatti.
Lo stanziamento del Decreto Rilancio è senza dubbio ingente e non a caso si aggira intorno a quel triennale miliardo e mezzo di euro che, a dicembre, non si era voluto destinare all’università e alla ricerca, conducendo alle dimissioni del ministro Fioramonti. Tuttavia, come quel provvedimento non sarebbe stato risolutivo per lo stato agonizzante del disinvestimento pubblico sulla ricerca in Italia, così non lo è questo.
Il Decreto Rilancio non incide, o lo fa marginalmente, su molti problemi preesistenti. In primo luogo, a fronte dello stanziamento straordinario di fondi per 4940 posti (di cui 1600 già stanziati dal Decreto-legge “Milleproroghe” del 30 dicembre 2019) per gli RTDb a partire dal 2021, è bene ricordare che l’onda lunga dei tagli al finanziamento targati Tremonti e la ristrutturazione della governance accademica imposta dalla Legge Gelmini 240/2010 ha fatto perdere ben 16mila docenti strutturati dal 2010 a cui se ne aggiungeranno più di 12mila nei prossimi cinque anni, per i pensionamenti previsti. Mancano all’appello ancora più di 23mila posizioni strutturate. Il Decreto, inoltre, non interviene su altrettante questioni ordinarie che come precarie e precari della ricerca denunciamo da molti anni: nulla si dice sulla disparità di genere che colpisce in modo indiscriminato sia le ricercatrici precarie – su cui, durante la pandemia, è ricaduto gran parte del carico di lavoro di cura – sia i ruoli apicali. Né si può dire che la stabilizzazione di circa 5000 precari/e risolva, con un colpo d’accetta, l’endemica strutturalità del precariato accademico che la riforma del pre-ruolo ex legge Gelmini 240/2010 aveva introdotto. I contratti di dottorato, degli assegni di ricerca e degli RTDa ci collocano infatti da tanti anni (e per tanti anni) in una situazione giuridicamente ambigua. Dottorande/i e assegniste/i – definite/i contemporaneamente lavoratrici/ori e soggetti in formazione – si trovano senza accesso alla maggior parte degli ammortizzatori sociali previsti per i lavoratori e le lavoratrici del nostro Paese. I contratti RTDa non possono essere riconfermati tutti e non hanno alcuna garanzia di progressione di carriera nonostante l’eventuale possesso della ASN.
Piuttosto che mettere mano a queste situazioni contrattuali inaccettabili, il comma 6 dell’articolo 236 prevede di aumentare il cumulo massimo di assegni e di contratti precari a 7 e 13 anni rispettivamente: evidentemente, 12 anni di precariato non erano sufficienti. Risulta pertanto sempre più urgente l’applicazione di disposizioni analoghe a quelle del decreto Madia anche al mondo del precariato universitario, rimasto incomprensibilmente l’unico escluso dal processo di stabilizzazione.
Non una parola vien detta sul meccanismo competitivo della VQR, contro la quale anche migliaia di docenti strutturati hanno già preso parola negli scorsi anni, e che nella congiuntura pandemica ha, almeno fino a questo momento, continuato a procedere, indifferente alla contraddizione tra quale ricerca venga effettivamente svolta in queste condizioni e cosa sia effettivamente valutabile.
Pensiamo sia necessario immaginare, con urgenza, un futuro diverso rispetto al ruolo dell’Università e della Ricerca pubblica, ma anche mettere in campo ulteriori provvedimenti immediati che rispondano alla situazione emergenziale che, sebbene abbia radici profonde, sta mettendo in difficoltà le vite di troppe e troppi delle nostre colleghe e colleghi.
In primo luogo crediamo che sia importante aprire una discussione, insieme alle altre componenti della comunità accademica, su come questi fondi verranno spesi. Si tratta di una questione democratica: è fondamentale che i fondi straordinari stanziati per gli RTDb vengano usati per queste figure e non, come permette il Decreto (comma 3, Art. 238), per altre “finalità”. Chiediamo, dunque, che Lei Ministro si esprima su questo e chiarisca tale ambiguità.
Questo accorgimento, non sufficiente di per sé, deve essere accompagnato da una profonda riforma del pre-ruolo prevedendo diritti e tutele lavorative, con fondi conformi ai livelli europei che permettano una diminuzione della precarietà. Occorre anche eliminare le disparità di genere con adeguati interventi in materia di congedi di maternità e paternità, garanzia di continuità di reddito nei periodi d’intermittenza lavorativa, in sinergia con le amministrazioni locali per garantire posti in asili nido pubblici, formazione del personale di ricerca e amministrativo sui temi relativi al genere e all’orientamento sessuale. Vanno inoltre appianate le disparità che esistono tra atenei del nord e del sud Italia, attraverso una più equa ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario che miri non a premiare gli atenei più competitivi, ma a potenziare gli atenei economicamente più deboli, possibilmente con l’abolizione della quota premiale.
Servono, infine, ulteriori misure immediate per coprire la situazione emergenziale nel brevissimo periodo per assegniste/i e dottorande/i. Nel Decreto vengono stanziati 15 milioni per proroghe di due mesi (volontarie) esclusivamente per dottorande/i che stanno concludendo il ciclo. Si tratta di una misura del tutto insufficiente, non solo perché coprirebbe solamente il 60% dei futuri dottori di ricerca ma perché penalizza, escludendole, migliaia di dottorandi/e che sono all’inizio o a metà del loro percorso, e che da oltre tre mesi si scontrano con difficoltà oggettive nel proseguire il proprio lavoro, sia di formazione sia di ricerca. A questo si aggiunge la situazione di chi ha concluso il ciclo dottorale nell’ottobre 2019: tutti soggetti per i quali la Dis-coll è terminata dopo l’8 maggio e che, secondo l’art. 92 del DL Rilancio, non godranno di misure di estensione più che mai necessarie data l’evidente difficoltà a partecipare, in questi mesi, ai concorsi e ai bandi per trovare lavoro. In una situazione ancora peggiore si trovano gli assegniste/i, ai quali vengono concesse proroghe per completare le proprie ricerche ma senza stanziare appositi fondi. Questo significa evidentemente incrementare il carico di lavoro non retribuito per tutte le figure precarie.
Si tratta di misure che riteniamo necessarie e urgenti, e che il Governo, in questa situazione di crisi sanitaria e sociale, non può permettersi di ignorare.
La ringraziamo per l’attenzione,