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Il Coronavirus e la libertà del pensiero

di Milena Rampoldi, ProMosaik, 27/03/2020. Credo che nell’epoca del Coronavirus dovremmo iniziare a dare spazio al pluralismo metodologico. Come argomentava Feyerabend nella sua opera Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza  (Feltrinelli, 1981), dovremmo ammettere tutte le opinioni, anche quando si tratta di scienza. 


Li Jingshan

Dunque, vanno ammesse anche le opinioni della gente comune. Lo slogan “Anything goes” che nel 1970 provocò un’ondata di sgomento e rabbia provocherebbe un identico scenario anche oggi se i media permettessero questo pluralismo delle opinioni e dessero la parola alle persone per affrontare i tabù e parlare apertamente della vita e della morte.

Il coronavirus domina talmente i media che le guerre, i flussi dei profughi, la criminalità, i diritti umani, i diritti delle donne, dei lavoratori, dei bambini, l’arte, la creatività e lo sviluppo economico sostenibile, i movimenti solidali, le riforme e gli approcci rivoluzionari non vengono neppure più accennati. Oltre ai programmi televisivi secondo la parola d’ordine “panem et circenses” si parla esclusivamente di questo virus, delle statistiche delle vittime e delle persone infettate, delle regioni della sua diffusione e come il virus ci cambia la vita. Ma questo avviene solo perché noi permettiamo e accettiamo ciò che lo Stato fa con le nostre vite.

L’aspetto che in questo contesto si mette tra parentesi sembra essere questo. Non è il virus a cambiare la nostra vita, ma è la nostra comunità a farlo. È lo Stato con i suoi ordini e decreti di emergenza a limitare severamente la nostra libertà fisica, fornendo una giustificazione morale promossa con forza dai media.

Stiamo chiusi in casa. Limitiamo in questo modo la diffusione del virus. Chi non lo fa, si rivolta contro la comunità, agisce in modo immorale, anti-etico e si oppone al bene della comunità, della sua comunità nazionale, divisa dalle altre comunità nazionali con dei confini blindati. In questo contesto si tralascia la molteplicità culturale e religiosa della comunità, ridotta allo Stato nazionale e ai suoi confini entro i quali si deve ridurre il numero delle infezioni.

La segregazione orizzontale della persona, il suo isolamento all’interno delle proprie quattro mura, la chiusura di scuole ed aziende distruggono la comunità di più di un virus che raggiunge un tasso di mortalità dell’1,4 %. La tecnologizzazione della scienza, della politica e della società, soprattutto nel mondo occidentale, ha segregato la morte dalla vita. La morte non esiste – noi lottiamo contro la morte, allunghiamo la vita delle persone. Ma i virus fanno parte della vita. I virus hanno sempre fatto parte della vita dell’umanità. E le crisi dei virus ci sono sempre state. Ma una crisi di un virus politicizzato e mediatizzato a tal punto a mio avviso non è mai esistita.

La morte fa parte della vita. E dobbiamo imparare a rapportarci con la morte. Dobbiamo apprendere a vivere la nostra vita, ad arginare il virus, imparando allo stesso tempo a morire e ad accettare la morte.

La distruzione del tessuto sociale, della cultura, dello scambio, della solidarietà e la soppressione dei legami fisici tra le persone non solo annientano la dimensione politica della società, ma sopprimono anche i rapporti interpersonali. Promuovono infatti solitudine, isolamento, egoismo estremo e patologie psichiche fomentate da questo isolamento forzato. Anche in questo caso si tratta di una distruzione inesorabile solo se siamo noi a permetterla, senza opporre resistenza.

La cura e la protezione della propria salute non devono degenerare in un sistema totalitario in cui la libertà di opinione personale e la libertà di pensiero vengono oppresse. Che importanza ha la sicurezza? Che importanza ha la libertà? Il cittadino deve opporsi alla limitazione delle proprie libertà. Allo stesso tempo però il cittadino, a causa del Coronavirus, viene reso sempre più a-politico, più a-sociale e sempre più egoista. Si fomenta il boom del sistema neoliberista e degli affari online con mezzi di pagamento elettronici. L’ essere umano si sta trasformando in schiavo online dei giganti del capitale? Si va verso una concentrazione elettronica del capitale? Alla morte del commercio al dettaglio e delle forme di vita dinamiche sulla strada, sia sul versante economico che su quello sociopolitico?

Dall’altra, però, il coronavirus ci insegna come usare questa crisi in senso positivo per noi, apprendendo non solo a relazionarci con la morte, ma anche a focalizzare sulla solidarietà, sul sostegno reciproco, sulla cura e soprattutto sulla concentrazione sull’essenziale su tutti i livelli personali, sociale, economico, amministrativo, ecc. Ed è in questo che consiste un rapportarsi etico a questa crisi. Infatti, crisi significa “decisione”, e dunque un cambiamento di paradigma dal basso e non dall’alto.





Marco de Angelis