Analisi della configurazione e della possibile evoluzione dell’attuale crisi in Medio Orien-te Intervista a Daniele Perra
Enrico Sanna 12/02/2020 |
Il peggioramento della situazione in Medio Oriente dopo la morte del generale iraniano Soleimanì e in seguito alla presentazione a Washington del “Deal of the Century” da parte di Trump e Netanyahu, impone di parlare ancora di quanto sta accadendo nella regione.
Lungi da voler abbandonare la scena gli Stati Uniti continuano a voler essere protagonisti in un scenario reso complicato dalla presenza di diversi e importanti attori, tra i quali, Ankara, che, a mio avviso, sembra fungere sempre più da ago della bilancia soprattutto in Siria. Oggi pertanto Mysterion vi offre un’interessante analisi del quadro e dell’eventuale sviluppo dello scacchiere mediorientale, che ci ha gentilmente fornito Daniele Perra, esperto di geopolitica e relazioni internazionali, che scrive per importanti testate online tra cui “Eurasia”. Ringrazio Daniele per la collaborazione. Buona lettura.
Il 2020 si è aperto con due importantissimi eventi che hanno scosso lo scenario mondiale: l’uccisione del generale Soleimanì, e l’annuncio da parte di Tel Aviv e di Washington del “Deal of Century” o “Piano del Secolo”, il quale viene presentato dalle amministrazioni di USA e Israele come la soluzione definitiva del conflitto Israelo-Palestinese. Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Si sta andando verso la Guerra contro l’Iran? Esiste un legame che colleghi i due eventi?
Esiste indubbiamente un legame tra i due eventi. È noto che Qassem Soleimani stesse lavorando sotto traccia per stabilire una mediazione tra Iran e le monarchie del Golfo quantomeno per arrivare ad un “patto di non aggressione” tra i Paesi della regione. Una soluzione che era stata suggerita, a suo tempo, anche dal Ministro degli Esteri russo Lavrov. Eliminando Soleimani, gli Stati Uniti hanno eliminato l’unico personaggio realmente capace di portare a compimento tale missione.
Il Primo Ministro iracheno, a questo proposito, ha confermato che Soleimani si trovasse a Baghdad in “veste diplomatica”. Questa soluzione era naturalmente sgradita agli USA in quanto avrebbe ridotto la pressione su Teheran e rovinato quello che è l’obiettivo fondamentale del cosiddetto “accordo del secolo”: aprire ad un riconoscimento “ufficiale” (visto che la collaborazione attraverso altri canali è già avanzata) di Israele da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in particolar modo. Ciò garantirebbe di acuire ulteriormente la pressione sull’Iran e di stabilire un fortissimo contrappeso alla possibilità del rafforzamento di un asse Iran-Iraq-Siria-Libano.
Personalmente non ritengo perseguibile una “via militare” nei confronti di Teheran. Gli Stati Uniti non stanno cercando lo scontro diretto. In primo luogo perché non possono permetterselo (in 19 anni non sono riusciti ad ottenere nulla in Afghanistan, non oso immaginare quale possa essere l’esito di una “invasione” dell’Iran). Questo, infatti, comporterebbe il dispiegamento di un enorme contingente militare nella regione, grosse perdite ed una potenziale crisi globale determinata dalla possibilità della chiusura dello Stretto di Hormuz e dall’eventuale distruzione di numerose infrastrutture petrolifere.
In secondo luogo, perché con l’assassinio di Soleimani hanno già ottenuto quanto volevano: l’interruzione della suddetta “trattativa”. Il fatto che l’amministrazione Trump abbia ripetutamente mentito sulla presenza di feriti tra i militari statunitensi a seguito degli attacchi missilistici iraniani contro la base aerea di Ayn al-Asad in Iraq ne è la più evidente dimostrazione. Riconoscere (da subito) la presenza di feriti (o di decessi, che probabilmente ci sono stati) avrebbe inevitabilmente comportato la necessità di una nuova azione militare.