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Argentina: Il patapùm liberista di Macri con tanto di moratoria e inflazione alle stelle!

Achille Lollo 07/10/2019
Il 23 agosto, ad appena due mesi dalle elezioni presidenziali, il ministro delle Finanze argentino, Hernán Lacunza ed il presidente della Banca Centrale Argentina, Guido Sandleris, comunicavano al FMI e alle banche creditrici che il presidente Macri richiedeva una moratoria, annullando tutti i pagamenti fissati nei prossimi sei mesi. 

In seguito, il 5 settembre, l’impalcatura politica del liberismo cominciava a sgretolarsi quando l’IPC (Indice dei Prezzi per i Consumatori) rivelava che negli ultimi 12 mesi l’inflazione era salita fino al 54,4%!.
Di conseguenza, ”El Patapum Liberal” (Il Capitombolo Liberista) del presidente Mauricio Macri, avveniva il 25 settembre, quando l’INDEC (Istituto Nazionale di Statistiche e Censimenti) dichiarava che nei quattro anni di governo neoliberista – cioè dal 10 dicembre 2015 fino al 15 settembre 2019 -, l’inflazione è sempre stata fuori controllo, sommando in questi quattro anni uno spaventoso indice di crescita, pari al 230%. Vale a dire una media inflazionista annuale di 73%!
Una rivelazione che ha lasciato di stucco la maggior parte degli argentini, che solo ora hanno scoperto che il “meraviglioso programma economico liberista del governo Macri, lodato da Trump e dalle eccellenze di Wall Street”, in realtà si è rivelato “una trampa”, vale a dire un programma fallimentare, che ha fatto crescere, in maniera sproporzionata, il disinvestimento, la disoccupazione e soprattutto l’inflazione. Infatti, molti aspetti della crisi economica argentina hanno provocato un rapido abbassamento della qualità di vita e, soprattutto, hanno fatto regredire l’efficienza dei servizi pubblici, riportando l’Argentina indietro nel tempo. Per questi motivi, la negativa conduzione delle politiche sociali da parte del governo Macri e l’incapacità di correggere gli effetti della crisi economica ha reso sempre più evidente il cosiddetto “Patapum Liberal”. Un contesto che si contrappone frontalmente a quello del governo di Cristina Fernandez Kirchner che, nel 2015, secondo l’INDEC e la Banca Mondiale, aveva registrato un bassissimo indice di disoccupazione (4,4%) e l’inflazione nell’orbita del 20%.
È evidente che la dichiarazione di moratoria, l’esplosione dell’inflazione e le pessime condizioni di vita dei lavoratori e di gran parte della classe media dovrebbero aver messo fine al sogno elettorale di Mauricio Macri. Ho usato il condizionale “dovrebbero”, perché la contraddittoria storia elettorale argentina può riservarci qualche amara sorpresa, come è accaduto nel 2015, quando Sergio Massa – un importante alleato del Frente de Todos – abbandonò la coalizione creata da Cristina Fernandez Kirchner per concorrere in qualità di indipendente. Una decisione che fu determinante per la vittoria di Macri.
La seconda sorpresa può venire dalla definizione dei comportamenti dei principali settori della classe media, totalmente spoliticizzati e sempre pronti a seguire le parole d’ordine dei mass media. In particolare, la numerosa classe media della capitale Buenos Aires, sempre disposta ad accettare le manipolazioni del gruppo Clarín (giornali, riviste, radio e TV-Canal Trece) e quelle delle due TV concorrenti, la Telefe della multinazionale Viacom e la Time-Warner del gruppo statunitense Turner-HBO. Infatti, nonostante la drammatica situazione economica e sociale, la maggior parte dei mass media continuano a giustificare l’operato di Macri e del suo governo e, logicamente, a riproporre agli elettori i contraddittori concetti dell’economia neoliberista e la relazione di dipendenza dagli Stati Uniti. Purtroppo, nel primo turno delle elezioni presidenziali, una grande parte della classe media ha ascoltato la “voce del padrone”, votando per Mauricio Macri che in questo modo ha ottenuto il 32,5% di preferenze.
Un risultato che riapre il discorso sulla complessità politica della società argentina e sulle posizioni dei differenti settori della classe media. Infatti, in questi ultimi quattro anni, i maldestri progetti di riforma economica e monetarista del ministro Hernán Lacunza hanno fatto soffrire abbastanza la classe media, che però è rimasta aggrappata all’ottusa posizione ideologica dello storico anti-peronismo, solo perché il Frente de Todos di Cristina Fernández Kirchner è molto legato ai lavoratori e ai sindacati, rappresentando un nuovo centrosinistra argentino, progressista e disposto a dialogare con la sinistra. Elementi che i mass media esplorano “ad hoc”, per promuovere e alimentare un autentico “odio di classe”, che in questi ultimi anni ha registrato una notevole crescita non solo in Argentina, ma anche in Brasile e in Venezuela.
I vari perché del “Patapum”
Oggi, i critici del programma economico del governo Macri, non legati all’opposizione peronista o alla sinistra, ammettono che gli errori commessi da Macri e dal suo governo, non sarebbero errori politici, ma, bensì, errori tecnici di ambito finanziario, imputabili a quei ministri che poi furono sostituiti nel 2018. Una giustificazione che è diventata il cavallo di battaglia degli editorialisti del Clarín, di Canal Trece e di Telefe a cui l’opposizione risponde ricordando che Macri aveva fatto sognare l’elettorato promettendo di abbassare l’inflazione dal 20% all’8% e, addirittura, di estirpare la povertà!
Comunque, il principale elemento del “Patapum Politico” di Macri sono stati i continui aumenti dei prezzi, nei mesi di giugno e luglio, di tutti i generi alimentari, soprattutto quelli più popolari, come il latte, gli ortaggi, il pane ecc. Prodotti che nel mese di agosto sommavano aumenti pari al 58,6%. Di conseguenza, l’11 agosto, nelle primarie delle elezioni presidenziali, il peronista Alberto Fernández, candidato della coalizione Frente de Todos (Fronte con Tutti) vinceva con il 47,66% .
La vittoria di Alberto Fernández e quindi il ritorno di Cristina Fernández Kirchner nella Casa Rosada in qualità di vicepresidente, ha fatto impazzire di rabbia la “razza padrona” che, in queste primarie, è stata battuta a livello nazionale, pregiudicando l’elezione di vari governatori e di molti deputati. Comunque, la vittoria del Frente de Todos, è stata significativa soprattutto nel Distretto Autonomo della capitale Buenos Aires che per anni è stata governata da Macri, rappresentando la formula vincente del programma neoliberista.
È necessario sottolineare che l’immagine politica del presidente Macri e la sua credibilità sono degenerati, quando ha richiesto la moratoria annunciando il “non pagamento” durante i prossimi sei mesi. Una moratoria che agli argentini, ricchi e poveri, ha fatto ricordare i drammatici mesi del 2001, quando si intravedevano con chiarezza i primi segnali dell’imminente default, vale a dire la bancarotta. Una correlazione di situazioni che nel mese di settembre hanno fatto esplodere il cambio del dollaro parallelo e logicamente il suo “invio” nelle banche off-shore dell’Uruguay e del Paraguay.
Le “malelingue di sinistra”, – cioè quelle che secondo i santoni dei mass media italiani userebbero linguaggi sessantotteschi – sostengono che la maggior parte dei 57 miliardi di dollari sono stati utilizzati per finanziare gli interessi e l’ingordigia della “razza padrona”, proprio come avvenne in passato durante i governi dittatoriali e poi con quelli neoliberisti. Una tesi che indirettamente trova sostegno nelle parole del presidente della Banca Centrale Argentina, Guido Sandleris, che mette in causa la “…poca competenza e quindi un uso imprudente delle riserve monetarie internazionali….”. Quindi, sempre in parole sessantottesche, significa che il clan di Macri si è appropriato di gran parte dei 57 miliardi di dollari prestati dal FMI come, in passato, l fecero i vari Menem, Galtieri, Viola, Videla, Ongania, Lanusse, senza dimenticare El Brujo (Lo Stregone), cioè José López Rega, il fedele segretario di Peron e ministro di Isabelita, che con i fondi del Tesoro argentino finanziò la Triplice A, con cui, in Argentina, iniziò il dramma della “guerra sucia” e dei “desaparecidos”.
Frente de Todos
Pochi ricordano, ed i santoni della “grande stampa” evitano di rievocare quello che successe nel 2015 in Argentina ed in Brasile, quando il Dipartimento di Stato e la CIA del democratico Barack Obama, ottennero due importanti vittorie politiche, grazie ad alcune macchinazioni giuridiche. Infatti, in Brasile si sviluppò il falso Impeachment per deporre il presidente Dilma Roussef, porre fine ai governi del PT e portare Lula in prigione con una scandalosa condanna per corruzione.
Invece, in Argentina, gli uomini del Dipartimento di Stato e le antenne della CIA “consigliarono” il giudice federale Claudio Bonadio ad istruire 6 processi contro la presidente Cristina Fernández Kirchner, proprio negli ultimi sei mesi del mandato. In questo modo fu abbastanza facile destabilizzare la campagna elettorale attaccando l’immagine politica di Cristina Fernández Kirchner, fondatrice del Frente de Todos, per poi dividere l’elettorato. Una manipolazione che fu molto ben orchestrata dai mass media, sottolineando che il gruppo editoriale Clarín ha avuto un ruolo determinante nella vittoria di Mauricio Macri.
Oggi il Frente de Todos – dopo gli infortuni mediatici ed anche gli errori commessi nella campagna elettorale del 2015 – si presenta come una coalizione molto più aperta e pragmatica, che riunisce tutte le correnti peroniste del Partido Justicialista, il Frente Renovador di Sergio Massa, i settori radicali che alla guida di Leopoldo Moreau hanno formato il Movimiento Nacional Alfonsinista, e poi il Partido de la Concertación di Gustavo Lopez, il Proyecto Sur di Pino Solanas, il Partido Socialista de Buenos Aires diretto da Jorge Rivas, il Partido Solidario di Carlos Helles, il Nuevo Encuentro creato da Martin Sabbatella e altri gruppi minori legati al movimento popolare.
Le due grandi centrali sindacali, la CGT (Confederación General del Trabajo) e la CTA (Central de Trabajadores de la Argentina), che rappresentano il 70% del movimento sindacale argentino, sono i grandi alleati del Frente de Todos – che, in questo modo, si presenta agli elettori in forma unitaria come il nuovo centrosinistra argentino.
Quindi se questa coalizione di centro-sinistra si manterrà unita e se non ripeterà gli errori del 2015, la vittoria di Alberto Fernández e di Cristina Kirchner contribuirà, enormemente, ad allentare il capestro geostrategico che gli Stati Uniti, o meglio l’imperialismo statunitense, è riuscito ad imporre sulla sovranità dell’Argentina e di molti altri paesi dell’America Latina.