NAKBA OSCURATA. Il team segreto d’Israele che svuota gli archivi di Stato
Michele Giorgio 10 settembre 2019 |
Il Malmab, squadra del ministero della Difesa, da anni nasconde le prove dell’espulsione palestinese. Lo scopo: minare la credibilità di ricerche storiche attraverso la scomparsa dei documenti declassificati.
«La legge in Israele è chiara, afferma che ogni individuo può avere libero accesso agli archivi e può consultare i documenti divenuti disponibili dopo essere stati declassificati, come accade negli altri paesi. Nei fatti solo una percentuale irrisoria dei documenti è accessibile». A spiegarcelo è Lior Yavne, direttore di Akevot, piccolo e combattivo istituto di ricerca che individua, digitalizza e cataloga varie forme di documentazione sul conflitto israelo-palestinese.
Il fine è aiutare difensori dei diritti umani, ricercatori e docenti attraverso il libero accesso ai file negli archivi israeliani, governativi e privati. E non è facile. «Nell’archivio delle forze armate, il più grande di Israele – ci dice Yavne – sono disponibili solo 50mila dei 12 milioni di documenti che contiene. Negli archivi dello Stato appena l’1% dei file. E restano ancora inaccessibili gli archivi dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno».
Per questo motivo, prosegue, i ricercatori consultano gli archivi privati: «È quella l’arena in cui illegalmente il ministero della difesa agisce per rendere inaccessibili i documenti riguardanti le attività nucleari di Israele o di altri Stati, le relazioni con una serie di nazioni, i palestinesi cittadini di Israele, la Nakba e le comunità palestinesi durante e dopo il 1948. Il ministero della difesa chiede o intima ai responsabili degli archivi di celare alcuni file. Spesso si tratta di documenti che non rappresentano alcun rischio per la sicurezza nazionale ma che hanno un significato politico e storico».
Akevot, grazie ai rapporti che mantiene con ricercatori, docenti e gli impiegati degli archivi, ha scoperto che ci sono «individui» che si muovono da un ufficio all’altro ordinando di far sparire determinati documenti.
«Sappiamo che queste persone si presentano come funzionari degli archivi di Stato ma in realtà non lo sono. Riteniamo che facciano parte degli apparati di sicurezza, più precisamente del Malmab, un dipartimento speciale della difesa», dice Yavne, rivelando che il suo istituto è stato in grado di ottenere le copie di alcuni file spariti. Tra questi un documento di 29 pagine, del 30 giugno 1948, redatto dai servizi di intelligence sui motivi dell’«emigrazione» dei palestinesi dal territorio controllato dal neonato Stato di Israele.
«È un documento di eccezionale importanza che contraddice totalmente la narrazione ufficiale con cui sono cresciuti gli israeliani a proposito della Nakba («catastrofe») e le cause dell’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi durante la guerra del 1948». Non furono – come da sempre vuol far credere la storiografia ufficiale israeliana e quella in Occidente – gli appelli lanciati dai leader arabi a lasciare la Palestina e ad attendere per rientrarvi la fine «dello Stato ebraico» che spinsero i palestinesi ad abbandonare 219 villaggi, quattro città e a cercare riparo in Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e Gaza.
Determinanti nella maggior parte dei casi furono le intimazioni e gli attacchi armati ai civili lanciati dalle forze ebraiche, regolari e irregolari. Si potrebbe dire, riassume ad un certo punto l’intelligence, «che l’impatto delle azioni militari ebraiche sulla migrazione è stato decisivo, in quanto circa il 70% degli abitanti ha lasciato le proprie comunità ed è emigrato in conseguenza di queste azioni».
Il file precisa il numero di abitanti in ogni villaggio e città e poi elenca la ragione dello spopolamento. Ad esempio: «Ein Zaytoun, distruzione del villaggio da parte nostra; Qabbaa, nostro attacco contro di loro». E precisa anche la direzione dell’esodo. Ne esce fuori un quadro che accredita ampiamente la tesi della pulizia etnica della Palestina esposta da Ilan Pappè e avvalora gli studi e le ricerche condotte negli ultimi 30-40 anni da altri «nuovi storici» israeliani: Benny Morris, Hillel Cohen e Avi Shlaim.
Il rapporto diffuso da Akevot ha dato il via all’inchiesta svolta dalla giornalista Hagar Shezaf pubblicata il 5 luglio dall’edizione in lingua inglese del quotidiano Haaretz con il titolo Burying the Nakba: How Israel Systematically Hides Evidence of 1948 Expulsion of Arabs. Inchiesta che include un’intervista con Yehiel Horev, l’ex capo del Malmab incaricato di far sparire i documenti che danneggiano l’immagine di Israele e che potrebbero indebolire il via libera internazionale, dal 1948 a oggi, alle sue azioni e la negazione dei diritti politici (e non solo) dei palestinesi.
Horev, rispondendo alle domande della giornalista, spiega che il compito del Malmab è fare in modo che la credibilità di determinate ricerche sia compromessa attraverso la scomparsa di documenti ufficiali sulla Nakba che gli storici hanno consultato in passato. Un chiaro riferimento a chi grazie alla declassificazione di un certo numero di file è stato in grado di confutare la versione ufficiale degli eventi prima, durante e dopo la nascita di Israele e di illustrare le vere ragioni della «miracolosa partenza» dei palestinesi dalla loro terra.
Alcuni di quei file, resi disponibili in passato, sono stati fatti sparire allo scopo, spiega Hover, di rendere inattendibile quanto si legge in un buon numero di libri. Lo spiega bene Hagar Shezaf riferendo un episodio di quattro anni fa. La storica Tamar Novick rimase colpita da documento trovato nell’Archivio Yad Yaari del partito Mapam relativo al massacro di 52 palestinesi e ad abusi gravi avvenuti a Safsaf, in alta Galilea, conquistato dalle forze della Settima Brigata israeliana durante l’operazione Hiram verso la fine del 1948.
Novick decise di consultare alcuni colleghi, tra cui Morris che in una nota del suo libro The Birth of the Palestinian Refugee Problem, 1947-1949 afferma di aver trovato lo stesso documento nell’Archivio Yad Yaari. Ma quando Novick tornò per esaminare il documento, non c’era più. Alla storica fu poi spiegato che era stato fatto sparire per ordine del ministero di difesa.
«Dall’inizio dell’ultimo decennio – ci dice Hagar Shezaf – i team del Malmab hanno rimosso dagli archivi numerosi documenti che erano stati declassificati, nel quadro di uno sforzo sistematico per nascondere le prove della Nakba». Malmab ha nascosto le testimonianze di generali sull’uccisione di civili e la demolizione di villaggi, oltre alla documentazione dell’espulsione dei beduini durante il primo decennio dello Stato.
Sono spariti centinaia, forse migliaia di file che scrivono la storia della Nakba, la vera storia del 1948. Una storia che i palestinesi da 71 anni tentano invano di far emergere in un mondo sempre più indifferente che non vuole più ascoltarli.