Afghanistan, un voto insanguinato per mascherare un fallimento
28/09/2019 |
Si è aperto all’insegna del terrore il primo turno delle presidenziali in Afghanistan, che vede opposti il presidente uscente Ghani e il capo dell’esecutivo Abdullah.
Un voto per mascherare un fallimento. Un voto insanguinato per eleggere un presidente che controlla neanche la metà del territorio sul quale dovrebbe governare. Si è aperto all’insegna del terrore il primo turno delle presidenziali in Afghanistan, che vede opposti il presidente uscente Ashraf Ghani e il capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah. Dopo settimane costellate di attentati firmati dai talebani con l’intento dichiarato di far saltare le elezioni, attacchi sono stati registrati all’apertura dei seggi in diverse zone del Paese. Almeno due persone morte e diverse ferite in vari attentati durante lo svolgimento delle elezioni presidenziali in Afghanistan. Diciassette i feriti, a detta delle autorità locali. Presso un seggio elettorale nella provincia orientale di Nangarhar, nel distretto di Sorkh Rod, l’esplosione di una mina ha causato una vittima e 3 feriti, come riferito da rappresentanti del consiglio provinciale di Sohrab Kaderi. E un osservatore alle operazioni di voto è morto in seguito al lancio di un razzo nei pressi di un seggio a Kundus, nel nord del Paese, come riferito dal consigliere provinciale Maulawi Abdullah.
Per quello che riguarda l’attentato di stamattina a Kandahar in cui sono stati ferite 15 persone tra civili ed un agente di polizia, la bomba deflagrata era stata nascosta all’interno di un amplificatore di una moschea utilizzata come seggio. Complessivamente a Kandahar sono state disinnescate o fatte brillare dalle forze di sicurezza afgane almeno 31 esplosivi. Piccole esplosioni sono state segnalate anche nella capitale Kabul, ma non ci sono ancora notizie certe su possibili feriti. Secondo l’ong Emergency 18 persone “ferite in diverse zone” sono ricoverate nel suo ospedale di Kabul, dove sono in “arrivo almeno altri otto” feriti.
“Arrivano notizie di incidenti da tutto il Paese – si legge in un tweet – Anche una nostra ambulanza è stata accidentalmente raggiunta da colpi d’arma da fuoco nella provincia di Logar; feriti il nostro infermiere a bordo e il parente che accompagnava il paziente”. Su 35 milioni di abitanti, sono 9,6 milioni gli elettori che si sono registrati. Quasi cinquemila sedi elettorali sono state istituite in scuole, moschee e complessi ospedalieri in tutto il Paese, con un dispiegamento di oltre settantamila uomini delle forze di sicurezza. Da mercoledì sera le autorità hanno anche vietato l’accesso alla capitale a tutti i camion e furgoni, per paura di autobombe. “Siamo felici che le persone stiano già formando grandi file di fronte ai sondaggi in attesa di mettere le loro schede elettorali”, afferma Zabi Sadaat, portavoce della commissione elettorale. La chiusura dei seggi è stata posticipata alle 17,30 locali (le 15 in Italia) I talebani hanno effettuato numerosi attentati con l’avvicinarsi del voto. Nella capitale Kabul e in tutto l’Afghanistan si teme che queste elezioni possano portare a una nuova ondata di violenza. Ma i funzionari afghani insistono sul fatto che questa volta le violenze sono state del 90% inferiori rispetto a quelle nelle precedenti elezioni del 2014.
I due candidati principali sono il presidente uscente Ashraf Ghani e il capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah. I due hanno condiviso il potere negli ultimi cinque anni in un governo di unità dopo che le precedenti elezioni sono state travolte dalle accuse di brogli. I risultati ufficiali del voto di oggi non saranno noti per diverse settimane, ma molti temono che un’altra crisi politica possa spezzare la già fragile democrazia di questo Paese. Il governo afghano ha deciso di utilizzare per le elezioni odierne un sofisticato sistema di identificazione biometrica degli elettori che include il riconoscimento di impronte digitali, occhi e viso, progettato per impedire alle persone di votare più volte o di votare al posto degli altri. Recarsi al seggio è per molti rischiare la vita. Secondo le stime più recenti, nel solo mese di agosto sono morte 74 persone al giorno: almeno un quinto delle persone coinvolte erano civili. Un rapporto delle Nazioni Unite ha inoltre calcolato che nella prima metà di quest’anno sono stati uccisi più civili dalle forze afghane e dagli attacchi statunitensi, rispetto a quelli uccisi da attacchi talebani. Finora le elezioni presidenziali sono sempre state la cronaca di un insuccesso annunciato. Macchiate da frodi, brogli, colpi bassi tra i candidati. Le ultime poi, che rivestivano una particolare importanza – si sono svolte nell’anno, il 2014, in cui si stava completando il ritiro del contingente militare della Nato (Isaf) – sono state particolarmente difficili. In una campagna elettorale funestata dagli attacchi dei talebani (effettuati direttamente anche contro i civili) il numero dei candidati alla carica di presidente si è ridotto. Erano 19. Sono rimasti in 15. Quelli di una certa rilevanza non sono più di cinque. Tuttavia anche questa elezione sarà caratterizzata dalla sfida tra l’attuale presidente Ashraf Ghani e il primo ministro esecutivo Abdullah Abdullah. Ghani fa parte della comunità pashtun, la più grande in Afghanistan, e nei suoi cinque anni da presidente ha introdotto alcune leggi contro la corruzione. Di contro, Abdullah ha accusato il presidente uscente di aver abusato del proprio potere per finanziare la campagna elettorale con fondi del governo. Duellanti più che altro di facciata, visto che i due condividono un esperimento istituzionale dal 2014, un governo di unità nazionale che tuttavia si è presto bloccato. Un governo che non governa più della metà del Paese. Nel novembre 2015 l’esecutivo di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale. Dalla seconda metà del 2016 altro terreno è stato perso, con il governo afghano che arrivava a solo il 57% del Paese, ma questa percentuale di controllo si è ridotta ulteriormente con la caduta del distretto di Sangin, nell’Helmand, una perdita simbolica per tutta la coalizione anti-talebani. In particolare, i talebani hanno una significativa influenza su una fascia di territorio che dalla provincia di Farah attraversa le provincie di Helmand, Kandahar, Uruzgan, Zabul, fino alla provincia di Ghazni.
I talebani hanno adesso il controllo completo di 5 distretti su 18 della provincia di Ghazni e del 60% di altri 9 distretti I talebani conquistano territori e comprano equipaggiamento, armi, munizioni e carburante direttamente dai soldati dell’esercito afghano. i loro attacchi sono quotidiani. Dopo diciotto anni di guerra, lo Stato afghano appare oggi una entità fallita. Diciotto anni di guerra, ovvero oltre 140 mila morti, tra cui almeno 26 mila civili. A questi si aggiungono oltre 3.500 soldati Nato (di cui 53 italiani, più 650 feriti), almeno 1.700 contractor di varie nazionalità e oltre 300 cooperanti stranieri. Una guerra costata 900 miliardi di dollari, 7,5 per l’Italia. Afghanistan, 2001-2018: storia di un fallimento. Militare e politico. Perché la Nato non è riuscita né a sconfiggere i talebani, né a riportare la pace né a ricostruire un esercito in grado di contrastarli. Sul terreno si assiste ad una competizione per la leadership del terrore tra l’Isis, che sta arruolando i pashtun, e al Qaeda 2.0. Una concorrenza che non oscura il dato di realtà: l’idea del “califfato” prende sempre più piede, e territori, in Afghanistan. E il “futuro” assomiglia sempre più a un ritorno alla situazione antecedente l’intervento militare dell’ottobre 2001: un Paese-santuario dell’islam radicale armato. Per conoscere i primi risultati si dovrà attendere il 17 ottobre e per quelli definitivi fino al 7 novembre, almeno: più di un mese a disposizione dei candidati per dire la loro, suscitando ulteriori incertezza e confusione, e molti temono che un’altra crisi politica possa spezzare la già fragile democrazia del Paese. Ma questo, in un Paese controllato per oltre la metà da signori della guerra e dell’oppio, jihadisti di varie fazioni e dai talebani che dopo la rottura dei negoziati con gli Stati Uniti hanno promesso di continuare la Jihad fino alla vittoria finale, più che un timore è una tragica certezza.