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Perché Israele non ha il “diritto di esistere”

Jeremy R. Hammond 12/07/2019
Gli apologeti dei crimini di Israele contro i palestinesi sostengono che questo Stato ha il “diritto di esistere” nel tentativo di legittimare la pulizia etnica della Palestina.

Tradotto da Alba Canelli

I sionisti che si sforzano di difendere i crimini di Israele contro il popolo palestinese fanno spesso l’accusa che i critici dell’autoproclamato “Stato ebraico” cercano di “delegittimarlo”. Israele, sostengono, ha il “diritto di esistere”. Ma si sbagliano.

Non si tratta di fare un’eccezione per Israele. Non esiste un “diritto di esistere” per gli Stati, punto. Nessun “diritto di esistere” è riconosciuto agli Stati dal diritto internazionale. Un tale diritto sarebbe del tutto folle. Il concetto stesso è assurdo. Sono gli individui, non entità politiche astratte, ad avere dei diritti.
I diritti individuali possono naturalmente essere esercitati collettivamente, ma solo se ciò non pregiudica i diritti degli individui. Piuttosto, il diritto rilevante in questo contesto è il diritto all’autodeterminazione, che si riferisce al diritto di un popolo di esercitare collettivamente i propri diritti individuali attraverso l’autonomia politica. L’esercizio collettivo di tale diritto non può incidere sull’esercizio individuale di tale diritto. L’unico scopo legittimo del governo è quello di proteggere i diritti individuali, e un governo non ha legittimità senza il consenso dei governati. E’ solo in questo senso che il diritto all’autodeterminazione può essere esercitato collettivamente, da un popolo che sceglie e acconsente al proprio modo di governo per se stesso.
Il diritto all’autodeterminazione, a differenza dell’assurdo concetto di “diritto di esistere” di uno Stato, è riconosciuto dal diritto internazionale. E’ un diritto esplicitamente garantito, ad esempio, dalla Carta delle Nazioni Unite, che lo Stato di Israele ha ratificato.
Il quadro appropriato per la discussione è quindi il diritto all’autodeterminazione, ed è proprio per oscurare questa verità che la propaganda rivendica spesso per Israele il “diritto di esistere”. Gli apologeti israeliani sono costretti a spostare il quadro di discussione in questo modo, perché nel contesto del diritto all’autodeterminazione, è ovviamente Israele che rifiuta i diritti dei palestinesi e non il contrario.
E non è solo nel perpetuarsi dell’occupazione dei territori palestinesi che si manifesta il rifiuto di Israele. Questo rifiuto dei diritti dei palestinesi si è manifestato anche nei mezzi stessi con cui Israele è stato creato.
C’è una credenza popolare che Israele sia stato fondato da una sorta di legittimo processo politico. Non e’ vero. Questo mito si basa sull’idea che la famosa risoluzione sul “piano di divisione” dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – risoluzione 181 del 29 novembre 1947 – ha diviso legalmente la Palestina e quindi ha conferito autorità giuridica ai leader sionisti per la loro dichiarazione unilaterale dell’esistenza di Israele il 14 maggio 1948.
Infatti, in questa dichiarazione, documento fondatore di Israele, i leader sionisti hanno utilizzato la risoluzione 181 come base per rivendicare la legittimità giuridica. Tuttavia, la verità è che la risoluzione 181 non le ha conferito niente del genere. L’Assemblea generale dell’ONU non aveva nessuna autorità per dividere la Palestina contro la volontà della maggioranza dei suoi abitanti. E non ha nemmeno fatto finta di fare una cosa del genere. Al contrario, l’Assemblea si è limitata a raccomandare la divisione della Palestina in Stati arabi ed ebraici separati, che per avere effetto legale dovrebbe essere accettata da entrambi i popoli. L’Assemblea ha deferito la questione al Consiglio di Sicurezza, dove il piano è diventato obsoleto a causa dell’esplicito riconoscimento che le Nazioni Unite non avevano alcuna autorità per attuare – cioè imporre – una tale divisione.
La dichiarazione unilaterale dei sionisti è spesso descritta come una “Dichiarazione di indipendenza”. Ma non era niente del genere. Una dichiarazione di indipendenza richiede che il popolo che dichiara la propria indipendenza sia sovrano sul territorio sul quale desidera esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione. Ma i sionisti non erano sovrani sulla terra che divenne territorio dello Stato di Israele.
Al contrario, quando hanno dichiarato l’esistenza di Israele, gli ebrei possedevano meno del 7% del territorio palestinese. I palestinesi possedevano più terra degli ebrei in ciascuno dei distretti della Palestina. I palestinesi costituivano una maggioranza numerica anche in Palestina. Nonostante la massiccia immigrazione (clandestina), gli ebrei sono rimasti una minoranza che rappresentava circa un terzo della popolazione.
Anche all’interno del territorio proposto dalle Nazioni Unite per lo Stato ebraico, quando la popolazione beduina era stata censita, gli arabi costituivano la maggioranza. Anche all’interno di questo territorio, gli arabi possedevano più terra degli ebrei.
Insomma, i leader sionisti non avevano assolutamente alcuna legittimità [se non quella dei loro testi religiosi, che non sono autorevoli da nessuna parte] per rivendicare la sovranità sul territorio che finalmente hanno acquisito con la guerra.
Soprattutto perché l’acquisizione di territorio per mezzo della guerra – o del diritto di conquista – è vietata dal diritto internazionale.
Lungi dall’essere il risultato di un processo politico legittimo, Israele è stato creato dalla violenza. I sionisti hanno acquisito la maggior parte del territorio del loro stato attraverso la pulizia etnica della maggioranza della popolazione araba, più di 700.000 persone, escluse dalle loro case e terre in Palestina. Centinaia di villaggi arabi sono stati letteralmente distrutti e cancellati dalla mappa.
Così, quando i sionisti affermano che Israele ha il “diritto di esistere”, quello che stanno dicendo è che i sionisti avevano il “diritto” di purificare etnicamente la Palestina per stabilire il loro “stato ebraico”.
Ovviamente, tale diritto non esiste. Al contrario, ancora una volta, secondo il diritto internazionale, la pulizia etnica è riconosciuta come un crimine contro l’umanità.
I sionisti accusano coloro che denunciano i crimini di Israele contro i palestinesi di voler “delegittimare” lo “Stato ebraico”, ma è importante sottolineare che la dichiarazione unilaterale del 14 maggio 1948 che proclamava lo Stato di Israele non aveva legittimità. E’ importante sottolineare che il crimine di pulizia etnica non può in alcun modo essere giustificato o legittimato. Questo neutralizza completamente le accuse dei sicofanti israeliani.
Quando questa accusa viene rivolta contro i critici israeliani, ciò che accade davvero è che sono gli apologeti israeliani che cercano di legittimare il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, così come il diritto riconosciuto a livello internazionale dei rifugiati di guerra di tornare in patria.
Indipendentemente dall’illegittimità dei mezzi con cui Israele è stato creato, esso esiste. Questa è la realtà attuale. Tuttavia, l’esigenza dello Stato di Israele che i palestinesi riconoscano il suo “diritto” non solo di esistere, ma di esistere “come Stato ebraico”, è semplicemente un’esigenza che i palestinesi rinuncino ai loro diritti e aderiscano alla dichiarazione unilaterale dei sionisti e alla pulizia etnica della Palestina riconoscendoli come legittimi.
Ed è per questo che non c’era pace. Non ci sarà pace finché i diritti dei palestinesi non saranno riconosciuti e rispettati. Il problema per i sionisti è che se i palestinesi esercitano i loro diritti, ciò significherebbe la fine dell’esistenza di Israele come “Stato ebraico”.
Ma cosa c’è di sbagliato nel porre fine a un regime fondamentalmente razzista che viola perpetuamente il diritto internazionale e i diritti umani dei palestinesi? 
Cosa c’è di male nel sostituirlo con un governo che rispetti la parità di diritti di tutti gli abitanti del territorio su cui esercita la sovranità politica e governa con il consenso dei governati?
Per chiunque sia in grado di dimostrare un minimo di onestà e integrità morale, la risposta chiara ad entrambe le domande è: niente. Non ci sarebbe alcun danno in questo, al contrario.
Per tutti coloro che svolgono un ruolo attivo nella ricerca della pace e della giustizia, è quindi su questo obiettivo che dobbiamo concentrare i nostri sforzi collettivi. Dobbiamo cominciare a comprendere la vera natura del conflitto e ad aprire gli occhi di tutti coloro che hanno integrità, ma che sono stati ingannati dalle menzogne e dalla propaganda che per tanto tempo hanno perpetuato la violenza e l’ingiustizia.