IL PONTE BALCANICO. La storia dei Balcani nel giorno di San Vito
Marco Siragusa 1 luglio 2019 |
Il 28 giugno è da secoli in Jugoslavia il giorno in cui si fa la storia: dalla battaglia di Kosovo Polje contro gli ottomani all’uccisione di Francesco Ferdinando che segnò l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Fino alla nascita e alla dissoluzione della Jugoslavia, da Tito a Milosevic.
Il 28 giugno, il 15 secondo il Calendario giustiniano utilizzato dalla Chiesa ortodossa, si celebra in Serbia il giorno di San Vito (Vidovdan). Lungo gli ultimi sei secoli di storia, questo giorno è stato più volte simbolo di momenti di svolta epocali e avvenimenti straordinari, non solo per il paese balcanico ma spesso anche per l’Europa e il resto del mondo.
Il primo grande evento, avvenuto il 28 giugno 1389 e destinato a ricoprire un ruolo centrale nella costruzione dell’identità e della cultura serba, è stata la battaglia di Kosovo Polje conosciuta anche come “battaglia della Piana dei Merli”. A scontrarsi sul campo c’erano da un lato l’esercito dell’Impero Ottomano, guidato dal sultano Murad I interessato ad estendere i domini imperiali nel cuore dei Balcani, dall’altro un esercito capeggiato dal principe serbo Lazar Hrebeljanovic, determinato a difendere l’autonomia e la cristianità dei propri territori. L’esito di quella battaglia, in cui morirono entrambi i condottieri, è sempre stato al centro del dibattito storiografico.
Ben più certe furono invece le conseguenze che ebbe negli equilibri generali della regione. L’esercito serbo, pur costringendo gli ottomani a rallentare la loro avanzata, non riuscì a riorganizzarsi lasciando, negli anni successivi, campo libero ai nemici. Per la tradizione serba quel giorno non ha rappresentato una sconfitta ma la dimostrazione della gloria e dell’eroismo del principe Lazar e dell’intero popolo serbo. Ancora oggi, quanto successo nella Piana dei Merli viene considerato come il mito fondativo della grandezza dei serbi e della loro resistenza contro coloro che vogliono dividerli e umiliarli.
Oltre cinquecento anni dopo, un altro evento era destinato a cambiare radicalmente le sorti del continente europeo e del mondo intero. Il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip, un giovane serbo-bosniaco appartenente all’organizzazione di orientamento jugoslavo Mlada Bosna (Giovane Bosnia), uccideva l’Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia durante la loro visita a Sarajevo. Pochi anni prima, nel 1908, l’impero Austro-ungarico aveva annesso la Bosnia, dopo secoli di dominazione ottomana, stroncando sul nascere qualsiasi tentativo di unificazione con Belgrado. L’evento spinse l’impero a dichiarare guerra alla Serbia dando il via alla prima guerra mondiale. Il 28 giugno di cinque anni dopo cessava definitivamente il conflitto con la firma del Trattato di Versailles.
La conferenza di pace riconobbe la formazione della cosiddetta “prima Jugoslavia”, rappresentata dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il 28 giugno 1921 il Re serbo Alessandro I promulgò la Costituzione, conosciuta come Vidovdanski ustav, che stabiliva la creazione di una monarchia parlamentare e l’uguaglianza dei sudditi indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa. Per la prima volta i popoli slavi meridionali si ritrovavano uniti in un’unica entità statale libera dalla dominazione dei grandi imperi.
I decenni successivi videro la formazione del Regno di Jugoslavia e lo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo l’occupazione nazista e la lotta di liberazione nazionale, i partigiani comunisti guidati da Josip Broz Tito diedero vita alla Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia. Nonostante il suo carattere socialista, i rapporti con l’Unione Sovietica stalinista non furono mai del tutto amichevoli.
Dopo una lunga serie di discussioni e divergenze sul carattere della lotta partigiana e sulle misure intraprese dagli jugoslavi nei primi anni al potere, Il 28 giugno 1948 i sovietici decisero di estromettere la Jugoslavia dal Cominform, l’organizzazione internazionale che riuniva i partiti comunisti. Nella dura lettera indirizzata a Tito e ai suoi compagni veniva condannata la deviazione dalla linea dettata da Mosca.
L’autonomia decisionale e organizzativa portata avanti dalla Lega dei Comunisti di Jugoslavia appariva come un affronto alla centralizzazione applicata da Stalin. Lo scontro rischiò seriamente di provocare un conflitto armato tra i due paesi, evitato solamente dal sostegno popolare nei confronti di Tito e dalla consapevolezza che una guerra interna al blocco comunista avrebbe favorito solamente quello capitalista.
La dissoluzione della Jugoslavia socialista, il cui inizio avvenne all’indomani della morte del Maresciallo Tito nel 1980, cominciò a concretizzarsi il 28 giugno 1989. Quel giorno, durante le celebrazioni per il seicentesimo anniversario della battaglia di Kosovo Polje, l’allora presidente serbo Slobodan Milosevic tenne un discorso, noto come “discorso di Gazimestan”, di fronte a un milione di serbi.
In quell’occasione Milosevic, dopo aver ripercorso la storia della battaglia contro i turchi esaltando l’eroismo del popolo serbo e aver sottolineato il carattere socialista e multietnico della Jugoslavia, dichiarò: “Sei secoli dopo, oggi, siamo ancora coinvolti in nuove battaglie. Non sono ancora conflitti armati, sebbene questi non possono essere ancora esclusi”. Questa affermazione fu considerata da molti come un monito e un’anticipazione di quello che sarebbe accaduto negli anni successivi.
Esattamente 12 anni dopo, il 28 giugno 2001, lo stesso Milosevic veniva trasferito in stato d’arresto presso il Tribunale de L’Aia dove era imputato per crimini contro l’umanità riguardo alle guerre che sconvolsero la Jugoslavia durante gli anni ’90.
La scelta di trasferire l’ex presidente proprio nel giorno più significativo della storia serba è stata letta in maniera differente, in base ad appartenenze e orientamenti politici. Coloro i quali sostenevano un deciso cambio rispetto al periodo socialista e sostenitori di una maggiore integrazione euro-atlantica consideravano la decisione come un messaggio chiaro di rottura con il passato, l’inizio di una nuova era per il paese. Al contrario, per i sostenitori di Milosevic, i nazionalisti e gli antieuropeisti quell’episodio, condito di mistero e accordi segreti, era stata l’ennesima umiliazione nei confronti del popolo serbo che vedeva giudicato da attori esterni colui che per un decenni aveva guidato il paese. Nena News
I processi storici, come si sa, vanno sempre valutati in base ad un orizzonte temporale di più ampio respiro e spesso il riferimento a giorni precisi viene utilizzato come forma di semplificazione di fenomeni complessi e lunghi. Questo discorso vale anche per il Vidovdan, un giorno simbolo della storia serba. Una storia che spesso è stata letta in chiave vittimistica, altre volte come esaltazione del proprio ruolo nel mondo, altre volte ancora in maniera strumentale per il mantenimento del potere. Di certo, per la Serbia, il 28 giugno può esser definito, forse anche con un pizzico di ironia, come “il giorno in cui si fa la storia”.