EGITTO. Il carcere uccide ancora. Il caso di Omar Adel
Pino Dragoni 25 luglio 2019 |
La morte di un 29enne accusato, come tutti i 60 mila prigionieri politici egiziani, di “terrorismo”. Era in isolamento nella famigerata prigione di Tora, dove 138 detenuti continuano lo sciopero della fame iniziato in seguito alla morte dell’ex presidente Morsi.
Omar Adel aveva 29 anni. È morto in carcere lunedì, nella famigerata prigione di Tora, dopo pochi giorni di isolamento. Ai familiari che erano andati a trovarlo sabato era stata negata la visita dicendo che il ragazzo era stato trovato in possesso di un cellulare ed era stato sottoposto a provvedimento disciplinare. Il giovane era in carcere dal 2014, da quando aveva 24 anni, e a febbraio scorso era stato condannato da una corte militare a dieci anni di carcere. Secondo il suo avvocato non aveva particolari problemi di salute prima della morte. Adel era stato ritenuto colpevole di far parte di un’organizzazione terroristica (accusa di cui sono incriminati ormai quasi tutti i dissidenti politici in Egitto) e di aver bruciato un posto di blocco di polizia.
Le prigioni egiziane, che dal colpo di stato del 2013 si sono riempite di circa 60.000 prigionieri politici, sono tristemente note per le dure condizioni di detenzione e per i casi di negligenza medica. Secondo un gruppo di organizzazioni egiziane per i diritti umani dalla metà del 2013 sono 650 i detenuti morti in prigione a causa della negazione di cure mediche adeguate. Le stesse organizzazioni chiedono che venga concessa alla Croce Rossa Internazionale la possibilità di ispezionare le carceri egiziane e riferire pubblicamente sulle condizioni dei prigionieri.
Il dibattito sulla questione si è riaperto il mese scorso con la morte dell’ex-presidente Mohamed Morsi, collassato durante un’aula in tribunale dopo anni di disperati appelli da parte dei familiari.
E proprio a Tora, in uno dei bracci più temuti della prigione simbolo dell’oppressione politica, continua da oltre un mese lo sciopero della fame di 138 detenuti. A riferirlo è l’Egyptian Coordination for rights and freedoms, un’organizzazione i cui membri sono stati anch’essi duramente colpiti da arresti e sparizioni. Lo sciopero era iniziato proprio in seguito alla morte di Morsi e da allora si è allargato nonostante i tentativi delle autorità carcerarie di dissuadere i detenuti, prima con le buone offrendo alcuni benefici, poi con le cattive con bombe sonore lanciate nelle celle e l’assalto dei secondini armati di bastoni.
Intanto sono sempre più numerose le denunce di vere e proprie esecuzioni extra-giudiziali di persone arrestate dalle forze di sicurezza. È il caso di Mohamed Abdelsatar, arrestato nella scuola in cui lavorava ad aprile 2017 e poi scomparso per un mese, finché un giorno la polizia ha dichiarato che era morto in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza. La sua storia è arrivata in questi giorni sulle pagine del Wall Street Journal, con un’inchiesta di Jared Malsin e Amira El-Fekki che ricostruisce altre morti simili e denuncia che potrebbe trattarsi di centinaia di casi analoghi, tutti spacciati per terroristi uccisi durante blitz dell’esercito o della polizia.
Storia che ricordano da vicino quella dei cinque uomini trucidati in una finta sparatoria inscenata per insabbiare le responsabilità nel rapimento e nell’uccisione di Giulio Regeni.