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IRAN. Media Usa: Trump ha rimandato la guerra

21 giugno 2019, Nena News
Secondo la stampa statunitense, ieri il presidente ha ordinato i bombardamenti per poi annullare l’attacco. Teheran insiste: “Abbiamo le prove della violazione del nostro spazio aereo”. Tel Aviv e Riyadh premono per un intervento, ma a Washington il fronte anti-iraniano non è così compatto.

Ieri Trump era a un passo dal bombardare lIran, lo aveva già ordinato. Poi ha cambiato idea.E’ la ricostruzione fatta da due quotidiani statunitensi, il New York Times e il Washington Post, sulle concitate ore di ieri, dopo l’abbattimento del drone Usa da parte di Teheran.
Secondo i due media che citano fonti interne alla Casa Bianca, Trump avrebbe ordinato i bombardamenti contro “una serie di target iraniani”, batterie di radar e missili. Quando ha annullato l’ordine, navi e aerei da guerra statunitensi erano già in posizione.
Difficile dire se sia andata davvero così e perché, nel caso la notizia fosse confermata, cosa abbia fatto cambiare idea al presidente Usa, da mesi impegnato in un conflitto a bassa intensità, al momento solo diplomatico e finanziario, contro l’Iran. Di certo l’abbattimento del drone – un Rq-4A da 130 milioni di dollari di valore – da parte di un missile terra-aria di fabbricazione russa delle Guardie della rivoluzione iraniane ha portato la tensione, già altissima, a un nuovo livello.
Durante la giornata di ieri Trump aveva reagito come fa di solito, su Twitter: prima per minacciare, poi per mostrarsi ammansito, attribuendo l’abbattimento “a un ottuso e stupido errore”. Da parte sua la Federal Aviation Administration americana ha emesso una notifica di emergenza per vietare ai velivoli statunitensi di volare in certi segmenti del Golfo persico, nello specifico “nell’area della Teheran Flight Information Region”, fino a nuovo ordine.
Ma Teheran insiste: quel drone aveva violato lo spazio aereo iraniano. Lo ha ripetuto questa mattina il ministero degli esteri, attraverso il vice ministro Abbas Araghchi, che dice di avere in mano “prove inconfutabili”: “Alcune parti del drone sono state recuperate nelle acque territoriali iraniane”. E il ministro Zarif ha dato le coordinate esatte della posizione del velivolo al momento dell’abbattimento: 25°59’43″N 57°02’25″E, vicino a Kouh-e Mobarak.
Ore concitate, la guerra ieri è sembrata vicinissima. Su Washington premono con forza i due alleati regionali, Israele e Arabia Saudita, che non aspettano altro che un attacco contro l’Iran, già duramente colpito dalle sanzioni re-imposte dall’amministrazione Trump e che stanno seriamente aggravando le condizioni di vita del popolo iraniano.
Teheran ne è ben consapevole e cerca sponde: nell’Onu a cui chiede di intervenire per punire le violazioni americane – in una lettera al segretario generale Guterres l’Iran accusa gli Usa di “continue misure illegali e destabilizzanti in una regione già volatile come il Golfo persico” – e nei partner rimasti nell’accordo sul nucleare iraniano del 2015, i paesi europei, la Cina e la Russia. I rappresentanti di questi governi li incontrerà la prossima settimana, il 28 giugno, per un vertice in cui discutere le modalità migliori per bypassare le restrizioni economiche americane.
Ma il fronte anti-iraniano non è poi così compatto: se Tel Aviv e Riyadh si sono già dette favorevoli a un intervento militare, è in casa che l’amministrazione non gode del sostegno compatto del Congresso. I democratici non vogliono entrare in guerra e avvertono dei pericoli: “Il presidente potrebbe non voler entrare in un conflitto, ma siamo preoccupati che lo faccia”, ha detto ieri il capogruppo dem al Senato, Chuck Schumer. Crepe anche nell’entourage del presidente: secondo i media Usa, se il consigliere alla sicurezza Bolton, il capo della Cia Aspel e il segretario di Stato Pompeo, sostengono un intervento, buona parte dei funzionari del Pentagono lo considerano il primo passo per un conflitto molto più grande e rischioso.