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CONGO. L’oro nero non è un gioco per i bambini minatori

Alessandra Mincone 1 marzo 2019
Il coltan, usato nei telefoni cellulari e computer, nelle Play Station e i videogames, è estratto da manodopera pagata due euro a settimana, costretta a lavorare a rischio della vita. Bambini che scavano sotto l’occhio e il controllo delle milizie che a loro volta impiegano bambini come soldati.

Se nel mondo i bambini giocano con le play station è perché in Congo ci sono dei bambini che lavorano nei giacimenti minerari ricchi di coltan, materiale prodotto dalla miscela di due minerali, tantalio e columbite, ad oggi stimato come l’oro nero al centro dello sviluppo delle industrie hi-tech, automobilistica, aereo spaziale e militare.
Il Congo possiede circa l’80% globale delle risorse necessarie a produrre strumenti di tecnologia avanzata, dal campo medico-chirurgico, a quello dei telefoni cellulari e pc di ultima generazione o video -games, fino al sistema bellico ormai avanzatissimo in missili da controllare a distanza e apparecchi nucleari. Nella Regione del Kiwu, a nord est, in uno scenario di devastazione e impoverimento generale, si trovano le miniere dove da un lato la manodopera è composta in prevalenza da bambini minatori, costretti a rischiare la vita per estrarre la maggior quantità di tantalio in rocce fragili, ed esposti ad alluvioni, frane e radiazioni per una ricompensa pari a circa due euro a settimana; dall’ altro lato altrettanti bambini sono costretti alle barbarie dal momento in cui vengono assoldati in guerre tra milizie per l’accaparramento dei profitti nell’esportazione del coltan su scala internazionale.
Le politiche della RdC in materia di lavoro nei giacimenti minerari e di sfruttamento e devastazione delle risorse e dei lavoratori sembrano del tutto inesistenti. Nonostante le recenti modifiche al codice penale del giugno 2018, che prevedono un aumento delle tassazioni di export dal 2% al 10% sulle risorse strategiche come il cobalto, la spietata vigilanza di gruppi armati nelle aree minerarie continua a rappresentare l’unica autorità che ha un controllo diretto sui minatori, al fine di estorcere le più grandi percentuali di profitto dal lavoro di estrazione.
Nel 2000 con l’uscita di Sony PlayStation 2 si registrava una corsa all’oro nero, la domanda di tantalio aumentò facendo oscillare i prezzi del coltan da 35 dollari a libbra fino a quasi 400 dollari, mentre ai lavoratori nelle miniere veniva pagato 0,18 centesimi al chilo. Solo un anno dopo la stampa avrebbe parlato della pena di morte per sei lavoratori congolesi poiché si erano rifiutati di vendere 25 sacche di coltan alle milizie rwandesi.
In un report investigativo condotto dall’Ipis, Servizio di Informazione Internazionale sulla Pace, viene smascherato come l’intero processo di sfruttamento delle risorse umane e naturali del Congo sia funzionale per l’Europa, l’America e l’Asia a guadagnare i massimi vantaggi per lo sviluppo capitalistico e imperialista, supportando una guerra economica in Africa senza precedenti.
Dalle miniere del Congo al resto del mondo, il viaggio dell’oro nero passa prima per le mani di soldati e mercenari, le sole figure indispensabili per la gestione del trasporto dei minerali al confine con il Ruanda e l’Uganda; poi grazie a manovre monopolistiche e di appalti privati vengono raggirate le tasse congolesi senza difficoltà, garantendo sicurezza agli interessi delle filiere della distribuzione e rifinitura e per la produzione delle grandi imprese; dopo il coltan viene ceduto alle compagnie di importazioni e esportazioni belghe come la Cogecom, la cui dirigenza fu inquisita in passato per accordi con miliziani e mercenari nel business d’armi e con la Somigl (Società mineraria dei Gran Laghi, che fino al 2001 deteneva il monopolio); in seguito arriva alle maggiori compagnie che trattano la raffinazione come la H.C. Starck in Germania, la Ningxia in Cina e la Cabott Inc. negli Stati Uniti; infine arriva alle industrie di produzione e di assemblaggio delle componenti elettroniche come Solectrom, Flextronic, Samina-Sci e Celestica, Foxconn, che dalla Cina, Filippine, Malesia, Tailandia, Indonesia, Romania, Ungheria spediscono il prodotto realizzato per grandi marchi come Ibm, Toshiba e Fujitsu-Siemens.
Il 15 ottobre 2003 un pool di esperti delle Nazioni Unite faceva i nomi dei soggetti che assecondavano una guerra erroneamente e approssimativamente definita “tribale”, ma le cui sorti sono determinate tuttora dalla gestione del saccheggio delle ricchezze in Congo. A detenere il monopolio attraverso la Società Mineraria dei Gran Laghi era inizialmente il Raggruppamento congolese per la Democrazia di Goma, che dipende economicamente dalle milizie rwandesi. Nel ’99 le Nazioni Unite denunciavano che parte delle tassazioni sul coltan erano usate dall’Rcd per acquistare veicoli militari mentre l’esercito rwandese spendeva oltre 300 milioni di dollari provenienti dal contrabbando del coltan.
Ma sul terreno della guerra per i giacimenti di riserva di tantalio si trovano anche gli Usa, primi azionari in Congo della missione di pace più dispendiosa dell’Onu, stipulata con un budget di un miliardo e mezzo di dollari all’anno e un dispiegamento di forze dell’ordine pari a circa 20mila uomini su tutto il territorio. E ad approfittarne tutte le grandi multinazionali come Sony, Ericsson, Siemens, Nokia, Alcatel, Intel, Hitachi, Apple, Microsoft, che badano solo alla progettazione dei prodotti da piazzare sul mercato della nuova era tecnologica.
Nonostante le minacce di un embargo per il Congo, dopo numerose inchieste giornalistiche in cui emergeva un grosso scandalo sulla guerra per l’oro nero, alcune di queste hanno risposto con delle campagne di comunicazione con cui prendevano le distanze dai fornitori che non certificano la provenienza del tantalio. Eppure nulla è cambiato. D’altro canto corporazioni come la Avx, il gruppi Motorola, Hp con progetti pilota per salvaguardare l’economia locale della Rcd hanno trovato in realtà il terreno ideale per coltivare più profitti, estromettendo i lavoratori congolesi dal mercato dell’industria mineraria e guadagnando pubblicità mentre assaltavano nuove miniere.
Ma il mondo così come lo conosciamo – in continua innovazione per una società piegata al consumo sfrenato e che sa mostrare il suo dissenso verso la tecnologia solo per l’uso che se ne fa, quando è ben chiaro il prezzo che si continua a pagare per la guerra più accesa nel cuore dell’Africa – non fa che allontanarsi dall’idea di civiltà e di umanità nuova, garantendo alla storia le prossime vittime intrappolate nelle guerre per la schiavitù moderna.