Arabia saudita e Israele entrano nella crisi sudanese
Michele Giorgio 4 marzo 2019 |
Il portale Middle East Eye scrive che il capo dell’intelligente sudanese Salah Gosh e il direttore del Mossad Yossi Cohen si sono incontrati in segreto in Germania per definire i rapporti futuri tra i due paesi. Khartoum nega e parla di “complotto”.
Salah Gosh, capo dei servizi segreti sudanesi, nega con tutte le sue forze. «Non ho avuto alcun incontro in Germania (con esponenti israeliani). Il Sudan non ha bisogno di muoversi in segreto o di seguire un percorso che va contro i suoi principi o le sue politiche nazionali», ha detto smentendo le rivelazioni fatte ieri dal Middle East Eye (Mee), uno dei portali d’informazione sul Medio oriente più importanti. Due settimane fa, ha scritto il Mee, a margine della conferenza sulla sicurezza di Monaco, Gosh ha incontrato Yossi Cohen, capo del Mossad, all’interno di un piano degli alleati di Israele nel Golfo volto a favorire la sua ascesa alla leadership del paese e ad avviare relazioni tra Khartoum e lo Stato ebraico, per il momento dietro le quinte, in futuro alla luce del sole. L’agenzia di intelligente sudanese e il suo capo al contrario ribadiscono che la posizione del paese non cambia nei confronti «dell’entità sionista», Israele. «Il Sudan – è scritto nel comunicato – è impegnato a una posizione di principio verso la causa palestinese, che è la prima e più importante questione del mondo arabo e islamico…L’intelligence sudanese rispetta la politica estera del paese, non agisce contro di essa o in segreto».
La posizione ufficiale del Sudan nei confronti di Israele, e dei palestinesi, non sarebbe cambiata ma sotto tanto fumo probabilmente c’è anche un po’ di arrosto. Non appare inverosimile quanto scrive il Mee sull’organizzazione egiziana e saudita del presunto incontro tra Gosh e Cohen, per discutere dello stop del traffico di armi diretto verso Gaza e del futuro del Sudan. Il presidente sudanese Omar Bashir – condannato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità (i massacri del Darfur) – da settimane è costretto a fare i conti con una sollevazione popolare che non accenna a terminare nonostante il pugno di ferro delle forze di sicurezza e lo stato d’emergenza. Il suo potere vacilla e non è un mistero che Gosh sia legato a doppio filo all’Arabia saudita, all’Egitto e agli Emirati che lo vorrebbero vedere a capo del Sudan. Non è passato inosservato che la stampa saudita, schierata contro la “primavera araba” e tutte le proteste popolari nella regione, stia invece mostrando una insolita simpatia per le manifestazioni in Sudan.
Arrestato per alto tradimento nel 2011 e graziato nel 2013, Gosh è stato rinominato capo dell’intelligence un anno fa, grazie, si dice, alle pressioni di Riyadh che in cambio avrebbe promesso aiuti economici al Sudan. Da allora si è dato da fare per rendere definitiva la rottura dell’alleanza con l’Iran e per portare il Sudan nell’orbita saudita. Mantiene inoltre stretti rapporti con la Cia e gli Stati uniti – che nel 1998 bombardarono il Sudan accusato di proteggere al Qaeda – apprezzano le sue informazioni sui movimenti dei Fratelli musulmani.
Anche Israele ha più volte colpito in Sudan ma ora apprezza la rottura dell’alleanza tra il paese africano e l’Iran. Alle pressioni di Gosh su Bashir si deve, secondo indiscrezioni, anche il via libera dato il mese scorso all’ingresso nello spazio aereo sudsudanese, ancora controllato da Khartoum, del velivolo che riportava in patria il primo ministro israeliano Netanyahu, dopo la sua visita ufficiale in Ciad. Da tempo, in segreto, Israele lavora per ottenere dall’Arabia saudita, da altri paesi del Golfo e dal Sudan il permesso di sorvolo per i propri aerei commerciali, in modo da ridurre i tempi per i voli diretti in Africa e Sudamerica. Più volte si sono diffuse voci, alimentate dallo stesso Netanyahu, sull’avvio «imminente» di relazioni diplomatiche tra Tel Aviv con il Bahrain e, appunto, il Sudan. Resta l’ostacolo Omar Bashir. Non sarà facile rimuoverlo per sauditi, egiziani, emiratini ed israeliani. Bashir, più debole e obbligato a lasciare la guida del suo partito, il Congresso Nazionale, mantiene ancora il controllo delle forze armate pilastro del suo potere.