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Intervista a Dario Lo Scalzo

Milena Rampoldi 11/08/2018
ProMosaik ha intervistato Dario Lo Scalzo, autore del bellissimo libro Strisce di Stelle.




Che cosa significa scrivere per te?
Scrivere è una catarsi. E’ una maniera di centrarsi ed essere presente a se stessi ma allo stesso tempo consente di essere vivi nel mondo. E’ quasi paradossale. E’ una sensazione unica per chi riesce a comprenderla. Per me è potersi purificare interiormente dagli input del vivere materiale per ricercare poi quel risveglio coraggioso che possa essere utile al contesto sociale, fuori dal mio io. In fondo è per quello che scrivo pubblicamente perché credo fortemente nel valore della condivisione e dell’esternalizzazione dell’ovvio sul quale la società odierna non ha tempo di soffermarsi. Sono spinto dal mio enorme desiderio/necessità di seminare, di trasmettere, di provare a stimolare anche gli altri oltre me stesso; senza presunzione, senza arroganza, ma, anzi, con l’umiltà di chi ha il coraggio di esporsi spesso impopolarmente. La scrittura è un salvagente che va condiviso. 
Come mai hai deciso di scegliere le stelle come simbolo centrale della tua raccolta?/ Qual è stato lo stimolo principale che ti ha portato a concepire quest’opera?
Credo che in tutte le epoche le stelle siano state simbolo dell’aspirazione per l’essere umano, qualcosa a cui tendere, l’ambizione, la meta, la consacrazione. Guardare il cielo per ampliare l’orizzonte, per oltrepassare i limiti del campo visivo dell’uomo, per cercare, a volte, l’essenza dell’oltre. Ebbene forse è quello il messaggio del libro. Sollecitare il mondo al risveglio invitando ad alzare il capo oggi sempre più fossilizzato sugli smathphone e centrato troppo spesso sulla materialità del nostro vivere. Imparare ad osservarsi e ad osservare il mondo circostante. L’immagine delle strisce delle stelle è assimilabile a quella delle stelle cadenti che, secondo tradizione, ci legittimano ad esprimere un desiderio, un pensiero di speranza e di positività. Strisce di Stelle è un’opera di rinnovata speranza sulle tematiche che vengono affrontate al suo interno come il rispetto dell’altro, del pianeta, di tutti gli essere viventi ed ancora sulla dignità della persona, sull’opportunità di creare un nuovo umanesimo lottando contro le violenze sociali. 
In un mondo che vede gli uomini allontanarsi sempre più gli uni dagli altri, l’insegnamento di tutti i testi più antichi delle grandi tradizioni religiose pensi possa essere un fattore unificante? O che almeno porti gli uomini a comprendersi meglio?
Come umanità siamo la sommatoria del nostro passato che è stato alimentato anche dagli insegnamenti delle tradizioni religiose, dai testi antichi così come dalla cultura, dalla poesia, dalla musica, dalle opere artistiche e dalla traslazione del vivere quotidiano nel tempo. Verrebbe di rispondere sì. Certi insegnamenti tradizionali, analizzati nei loro aspetti più ideologici, filosofici e spirituali potrebbero potenzialmente essere fattore unificante, ma, chi può smentire il fatto che invece, nel tempo, non sia stata proprio la deviazione di quegli insegnamenti a disgregare l’essere umano? Chi può smentire che la sacralità di alcuni insegnamenti non sia stata in seguito “umanizzata” cedendo il passo a quella mera materialità che ha finito per disumanizzare la persona odierna? Non credo che ci siano verità o vie certe in tale ambito ma penso piuttosto che, al di là di tutto, l’uomo abbia smarrito la consapevolezza che è Natura e che ha già tutto in sé per spolverare la sua vera essenza che risiede nella nonviolenza e nella socialità dell’Amore 
Secondo la tua esperienza da viaggiatore cosmopolita, quanto aiuta il viaggio ad espandere la propria percezione del mondo e degli altri?
Sono convinto che il viaggio sia un’esperienza del tutto soggettiva e personale. Si può viaggiare tanto e ci si può arricchire enormemente anche restando immobili nel posto in cui si vive. A mio avviso c’è un viaggiare materiale ed un altro più interiore e spirituale. Sta a noi, individualmente, cogliere e comprendere per acquisire consapevolezza. Nella mia esperienza personale sono di certo debitore al viaggiare perché mi ha permesso di sfamare la mia fame di conoscenza e di nutrire la mia curiosità. Da lì poi effettivamente ne è nata un’espansione della percezione, della sensibilità e una forte attenzione all’altro e a tutti gli esseri che popolano il pianeta. L’attenzione è per me la prima forma di amore universale. 
Leggendo la tua raccolta si nota l’uso frequente di aggettivi e descrizioni, che personalmente ritengo un modo per far entrare il lettore all’interno del racconto. Era questo il proposito dietro il tuo stile?
Il mio tentativo scrivendo è quello di creare per dare qualcosa al lettore, per lasciargli un’orma. La creazione passa dalla fase della creatività e da ciò c’è la necessità di costruire scenari, contesti e visualizzazioni nell’immaginario del lettore. Nel mio stile è dunque d’obbligo l’aggettivazione e la descrizione per rendere più palpabili dei concetti o dei temi che magari sono sfuggenti. Vista la sua brevità nel racconto essere fotografici e illustrare al lettore è importante per far cogliere il messaggio. Ci si prova quantomeno