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MIGRANTI. Dalla fame alla guerra

Chiara
Cruciati, Nena News, 09 giu 2018

Mercoledì
46 migranti sono annegati nel Golfo di Aden. Ogni mese in 7mila si imbarcano
dal Corno d’Africa per lo Yemen: ad attenderli il conflitto saudita, abusi e
stupri in carcere e semi schiavitù
I
sopravvissuti al naufragio di mercoledì al largo delle coste dello Yemen (Foto:
Oim)

A bordo
dell’imbarcazione che mercoledì si è rovesciata nello stretto di mare tra la
Somalia e lo Yemen c’erano 83 uomini e 17 donne. Era partita dal porto somalo
di Bosaso il giorno precedente e stava per arrivare lungo le coste yemenite
dopo un viaggio di quasi 300 chilometri.

Si è
ribaltata: 46 migranti, tutti etiopi, sono annegati; 16 sono ancora dispersi;
gli altri sono stati portati in salvo dall’Organizzazione internazionale per le
migrazioni (Oim): si erano messi in viaggio nella speranza di trovare un lavoro
nel ricco Golfo. Tappa obbligata lo Yemen, paese devastato da oltre tre anni di
guerra, ridotto alla fame e privato dei mezzi basilari per tenere in piedi
un’economia.
Usa
parole forti il direttore locale delle operazioni della Oim, Mohammed Abdiker,
dopo la strage, «una tragedia vergognosa»: «Oltre 7mila migranti poveri ogni
mese intraprendono questo pericoloso viaggio; 100mila solo lo scorso anno. Sono
trattati in modo atroce, vivono in condizioni orribili. Tutto questo deve
finire».
La
speranza che tutto finisca si fonda su basi fragili: da una parte la fame e la
repressione, dall’altra la guerra. In mezzo una striscia di mare, il Golfo di
Aden, che come il Mediterraneo – ma in un’indifferenza ancora maggiore – si è
fatto cimitero: a gennaio 30 migranti somali ed etiopi sono annegati nelle
stesse acque. Zero giubbotti di salvataggio, i trafficanti non ne
distribuiscono.
L’agosto
scorso sono stati gli scafisti a gettarli in acqua nello stretto di Bab
al-Mandab: 106 morti, età media 16 anni. A marzo 2017 i missili sauditi avevano
affondato un barcone: 42 morti.
Nel
2017 l’Oim ha soccorso quasi 3mila migranti dei 100mila arrivati: il 73%
somali, il 25% etiopi, il 2% di altre nazionalità. Pochi giorni fa
l’organizzazione imbarcava 101 etiopi, un terzo bambini, per riportarli dallo
Yemen in Gibuti. Si trovavano ad Hodeidah, città portuale sulla costa
occidentale da mesi bersagliata dagli incessanti raid aerei con cui i sauditi
provano a strappare ai ribelli Houthi un’area strategica. È di giovedì il
rapporto Oxfam sulla città: «L’escalation rischia di bloccare l’ingresso di
aiuti nel paese: da qui passa il 70% dei rifornimenti alimentari».
Una
situazione ai limiti dell’assurdo: gli yemeniti fuggono dalle bombe di Riyadh
verso il Corno d’Africa (soprattutto in Gibuti, dove sperano in un trattamento
migliore per la vicinanza linguistica e culturale), gli africani fanno
l’inverso. Perché hanno a disposizione poche informazioni, perché sperano di
poter agevolmente attraversare il paese in guerra per raggiungere le ricche
petromonarchie e mettersi al servizio, da semi-schiavi, del mercato nero.
Non sanno
dei confini sauditi blindati e delle decine di migliaia di deportazioni di
yemeniti e asiatici in corso a Riyadh, sotto lo slogan (banale) coniato dal
principe ereditario Mohammed bin Salman: «Prima i sauditi».
La tratta
migliore, per chi può, è quella tra Gibuti e Yemen, solo 20 chilometri. E costa
di meno: 150 dollari. Dalla Somalia il prezzo sale, tra i 200 e i 250 dollari
per un viaggio 15 volte più lungo. Si parte dai porti somali di Berbera e
Lughaya o da Obock in Gibuti. Si attracca a Hodeidah, a ovest, o ad Aden e
al-Mokha, a sud, entrambe zone di conflitto con la prima imbrigliata nella
faida interna tra governativi e secessionisti meridionali e la seconda semi
gestita da al-Qaeda.
E i
migranti alla fine restano bloccati: a oggi sono oltre 270mila i migranti e i
richiedenti asilo africani in Yemen (che si aggiungono ai quasi tre milioni di
sfollati interni yemeniti). «Per i trafficanti sono solo una merce – dice
Abdiker – Qualcosa di cui liberarsi presto e da cui guadagnare soldi facili. E
se muoiono, ai trafficanti non importa, ci sono altre migliaia di persone
disposte a pagare per i loro servizi».
Finiscono
sotto le bombe o in centri di detenzione; quasi nessuno trova lavoro in un
paese dove non esistono più infrastrutture o un’economia normale. Qualcosa si
trova ad Aden, oggi sotto il controllo del governo del presidente Hadi,
colpevole lui stesso di violenze contro i migranti in transito: ad aprile Human
Rights Watch accusava le forze governative di abusi sessuali nei centri di
detenzione ad Aden e gli Houthi di non fornire loro protezione o asilo a
Hodeidah.
A ogni
step del viaggio – è la denuncia di un mese fa delle Nazioni unite – i migranti
subiscono abusi, stupri, torture in cambio di un riscatto. O vengono
trasformati in schiavi, lavoro forzato senza stipendio.