Il Dragone Rosso controlla l’Africa?
1 Giugno 2017
La rivoluzione industriale promossa dalla Cina, unitamente al progetto della nuova via della seta, assicurerà al Dragone Rosso il controllo dell’Africa, ma salverà l’Africa?
La rivoluzione industriale promossa dalla Cina, unitamente al progetto della nuova via della seta, assicurerà al Dragone Rosso il controllo dell’Africa.
Già nel 2011 la Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di commercio e investimenti nel continente. Il volume d’affari tra Cina e Africa ha raggiunto i 126,9 miliardi di dollari, nel 2010. Entro il 2020 il commercio è stimato sui 380 miliardi di dollari. Le esportazioni dall’Africa sono concentrate sugli idrocarburi. Il 64% delle esportazioni africane di petrolio è diretto verso la Cina. Contrariamente ai luoghi comuni occidentali l’esportazione di minerali sui mercati cinesi rappresenta il 24% del totale delle esportazioni. La maggioranza dei minerali africani (compresi quelli di guerra, i così detti ‘minerali insanguinati‘) è accaparrata dall’Occidente. Anche l’esportazione di prodotti agricoli rimane di pertinenza occidentale e dell’Arabia Saudita. Le esportazioni agricole verso la Cina si stabilizzano su di un 5%. Le esportazioni di prodotti finiti dall’Africa è del 7%.
La Cina salva l’Africa? In parte. L’industria cinese necessita di materie prime, e queste sono concentrate nel continente. Come evitare un drastico calo delle importazioni di risorse naturali dall’Africa, causa il loro utilizzo per la rivoluzione industriale locale? Pechino ha cinicamente individuato alcuni Paesi africani che rimarranno legati alla economia coloniale. Paesi ricchi di risorse naturali ma deboli sul piano politico, tra i quali la Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan. In questi Paesi continuerà, anzi aumenterà, la rapina cinese di materie prime. Le coste dell’Africa Occidentale e della Somalia rimangono vittime di un intenso e illegale sfruttamento della pesca, attuato dai battelli cinesi. Uno sfruttamento che sta distruggendo la fauna marittima e causando ai Paesi africani direttamente coinvolti una perdita di profitti derivanti dalla pesca pari a 2 miliardi all’anno.