Bonifiche nella Terra dei fuochi, le ragioni dello stallo
13 Febbraio 2017
Il decreto per distribuire 300 milioni in due anni ancora non c’è. Il gruppo di lavoro è senza coordinatore, dopo l’assorbimento del Corpo forestale nei Carabinieri. E il 23% dei suoli analizzati è fortemente inquinato.
A più di tre anni di distanza dal decreto del governo Renzi sulla Terra dei fuochi, le bonifiche nelle province di Napoli e Caserta sono ferme al palo. Secondo quanto risulta a Lettera43.it, infatti, il ministero dell’Ambiente non ha ancora provveduto a emanare il regolamento necessario a dichiarare contaminati un terreno agricolo o l’acqua utilizzata per l’irrigazione; né si hanno notizie del decreto attuativo della presidenza del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto individuare, nel giro di 90 giorni, gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le risorse stanziate per le bonifiche dalla legge di Stabilità 2016: 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, rimasti “parcheggiati” (nella migliore delle ipotesi) in un fondo del ministero dell’Economia.
IL GRUPPO DI LAVORO NATO NEL 2013. Lo stallo si trascina da novembre 2013, quando entrò in vigore il decreto 136, successivamente convertito nella legge 6/2014. Ciò non significa che nulla sia stato fatto, soprattutto sul fronte della ricerca scientifica. Ma l’impegno dei tecnici e degli uomini del Corpo forestale dello Stato non sembra aver trovato un’adeguata corrispondenza nella successiva azione politica dell’esecutivo. Il decreto legge del 2013, infatti, istituiva un gruppo di lavoro formato dall’Istituto superiore di sanità, dall’Ispra, dall’Arpa Campania e dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), cui veniva ordinato di procedere alla mappatura dei terreni agricoli campani considerati sospetti. O per la possibile presenza di rifiuti interrati illegalmente, o per l’inquinamento causato dagli incendi di scarti industriali e materiale tossico appiccati dalla camorra.
60 GIORNI PER TROVARE I TERRENI INQUINATI. Nel gruppo di lavoro, con una direttiva datata dicembre 2013, entravano anche l’Istituto zooprofilattico sperimentale, l’Università di Napoli, rappresentanti della Regione Campania e soprattutto l’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, che disponeva di una serie di dati di telerilevamento che si sono rivelati molto utili per la mappatura dei terreni. La stessa direttiva dava al gruppo soltanto 60 giorni di tempo per individuare i terreni potenzialmente inquinati, lasciati indisturbati nei 30 anni precedenti. E delimitava il territorio da sottoporre alle indagini a 57 Comuni delle province di Napoli e Caserta, cui se ne sono aggiunti altri 31 nel 2014 e due alle fine del 2015, dopo il ritrovamento della discarica abusiva di Calvi Risorta, la più grande d’Europa. Totale: 90 Comuni da controllare.