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La Pace dei Bimbi – lasciamo parlare e scrivere i bambini palestinesi!

Di Milena
Rampoldi, ProMosaik. Poco tempo fa abbiamo presentato il nuovo progetto dell’attivista
pro-palestinese italiana Antonietta Chiodo, La
Pace dei Bimbi
. Nella seguente intervista vorremmo focalizzare su alcuni
aspetti del progetto che ci sembrano fondamentali. Vorrei ringraziare
Antonietta per i suoi impulsi fondamentali. Un nuovo video sul progetto lo trovate qui.


Secondo
me la forza del tuo progetto consiste nel fare parlare i bambini e i ragazzi
come soggetti, senza oggettivizzarli nelle nostre narrazioni. Ci puoi spiegare
meglio il valore di questa prospettiva?
Si, i popoli dovranno parlarsi e comunicare tra
di loro per cambiare il mondo, le culture differenti si temono perché non si
conoscono e solo attraverso le strette di mano ed i confronti i giovani ci
insegneranno l’ uguaglianza. Io sono solo una reporter che ha visto guerre e
violenze da molti anni, ma ho sempre vissuto tra la gente, una mia scelta
personale mi ha portata a dormire con loro ad ogni mia missione, nei campi
profughi e nelle loro case senza preoccuparmi della mia sicurezza, perché l’
unico modo per raccontarli è immedesimarsi in loro. Amo le culture ed amo
viverle. Non avrebbe senso parlare di loro attraverso un libro scritto da me,
lo faccio già attraverso i miei articoli ed è invece arrivato il momento che
siano loro a gridare con tutto il fiato che hanno in gola le loro verità. Sono
stanca di vedere occidentali snob che ostentano la loro cultura attraverso
libri scritti sulla loro pelle, questo è il momento che siano gli ultimi ad
usare le nostre possibilità senza più dare visibilità ai colonizzatori della
cultura.

I
centri profughi che ho visitato soprattutto in Bosnia erano per me una
microsocietà in cui soffrivano soprattutto i bambini. In Palestina quali sono i
problemi principali dei bambini nei campi profughi?
Bisogna rendersi conto che i campi profughi in
Palestina sono città nelle città, come ogni micro mondo anch’ essi subiscono
delle gerarchie. Nel mio ultimo viaggio in cui feci ritorno ad Ottobre venni
nascosta per una settimana da amici fidati a causa di un capo di un campo che
si appoggiava ad una fazione politica palestinese, quindi protetto dalle
sanzioni che avrebbe dovuto subire per i suoi continui abusi di potere nei
confronti della popolazione. L’ uomo non accettò la mia intenzione di
comunicare direttamente con le donne così venni soprannominata The Boss Woman, perché fui l’ unica
donna anche europea a tenergli testa e non permisi quindi di mancarmi di
rispetto o gestire il mio lavoro di mediazione. Purtroppo le famiglie delle
donne vennero minacciate e mi lasciarono sola, le capisco, loro sono costrette
a vivere lì e fecero la scelta che qualsiasi essere umano avrebbe intrapreso in
una situazione simile. Questo significa che i bambini sono soggetti al loro
potere decisionale, casualmente in quel campo i giovani che hanno libero
accesso alle università sono legati da legami di sangue con il boss del campo.
Non tutti i campi sono così per fortuna, andando verso nord vi sono situazioni
differenti, resta comunque il fatto che i bambini devono seguire le leggi
interne e ciò che viene deciso dagli adulti. Parliamo di campi differenti gli
uni dagli altri, i centri abitati in cui risiedono i sostenitori di Hamas ad
esempio sono quelli più a rischio a causa delle incursioni armate a danno dei
bambini sia da parte dei gruppi armati israeliani sia dell’ ANP.
Tu sei
anche artista. Come credi che con l’arte si possa de-traumatizzare la società
palestinese?
Collaborerò infatti con un maestro che si occupa
di insegnare a bambini ed adulti come superare il trauma della guerra nella
propria vita, anche loro scriveranno il libro, senza nessuna intermediazione.
L’Arte è fondamentale, molti in passato puntarono su di me per un percorso di
Arte innovativo, ma questa passione ha sempre vinto su tutto e non posso
frenarla è fatta di lacrime, adrenalina e amore. Sono stata in Calabria
recentemente ed ho conosciuto una popolazione straordinaria con cui nascerà una
collaborazione con insegnanti delle scuole medie, con future mostre al mio
ritorno con i dipinti dei miei ragazzi e dei giovani del sud. L’ Arte è la
comunicazione dell’ anima, senza filtri e senza paure, il colore è in grado di
esprimere tutto ciò che la paura non riesce a raccontare.

Come
collegare arte e letteratura per parlare della verità?
Non dobbiamo usare filtri, infatti non lo farò.
I bambini hanno bisogno di vomitare la propria anima senza che gli adulti
inquinino come hanno sempre fatto con i loro pensieri. Bisogna partire
delicatamente, prendere la loro fiducia, bisogna ascoltarli e lasciarli parlare
facendo in modo che si trasformi tutto in forma scritta e quindi vi sarà un
filtro naturale tra il pensato e l’ intelletto. Arrivati ad una
sensibilizzazione dei loro ricordi ci sposteremmo sulle tele ed i colori, dove
l’ intelletto non potrà intervenire, voglio un esplosione di emozioni e io sarò
semplicemente il loro mezzo, niente di più.

Che
importanza hanno secondo te le traduzioni di libri per i diritti umani?
I diritti umani come ben sai esistono dall’
antica Roma, nacquero come leggi naturali mai applicate sino ad oggi perché gli
esseri umani sono sempre stati classificati in base alla loro classe sociale.
Un problema ricorrente che ho incontrato in varie zone del mondo ma soprattutto
nei paesi arabi e del nord africa sta nella mancanza di letture che ci
accomunano. Mi chiedo… come possiamo confrontarci tra noi se non abbiamo la
possibilità di consigliare una lettura che ci rappresenta ad un ragazzo di
un’altra nazionalità? I diritti umani sono per tutti, non ci sono vie di mezzo,
io lo definisco Diritto di Esistere e nessuno, nessuno può decidere per noi e
la nostra dignità. Sono del parere infatti, grazie per la domanda, che certe
traduzioni purtroppo sono ancora rare o sono gruppi di piccole case editrici ad
occuparsene, mentre per anni ci troviamo sugli scaffali libri come 50 sfumature
di grigio in sei lingue. L’ occidente a volte sembra ami rendersi ridicolo.

Che
sogni hanno i bambini palestinesi?

Non parlano spesso dei loro sogni, bisogna
rendersi conto che vivono sotto assedio ed hanno subito incursioni armate e
bombardamenti per 70 anni, quindi intere generazioni nate, cresciute e morte in
una prigione a cielo aperto. In realtà hanno sogni semplici, spesso
sottovalutiamo ciò che per noi è scontato per loro è il sogno, l’unico, la
libertà. La libertà si identifica in tante cose, una di queste è non avere
paura di morire da un momento all’altro, poter vedere il mare, studiare o
prendere un aereo e andare da un caro amico che non si vede da tempo o … più
semplicemente avere documenti come tutti gli esseri del mondo.