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Hezbollah, tra Siria e Libano

11 Gennaio 2017

L’intervista a Talal Khrais, corrispondente in Italia per Al Manar Tv

Con l’intervento in Siria, Hezbollah ha elevato il suo ruolo a potenza regionale. La milizia del Partito di Dio è stata capace di spostare gli equilibri di una guerra che sembrava compromessa per Assad. Ma se da una parte il conflitto civile ha mostrato la vera forza militare del movimento sciita libanese, le conseguenze della guerra sono un macigno per Beirut. Un milione e mezzo di profughi siriani, fuggiti da violenze e bombardamenti, risiedono adesso in Libano. La crisi umanitaria ha generato nel Paese dei cedri una questione economica e sociale di primaria importanza. Gli ultimi 4 mesi hanno evidenziato il ruolo di Hezbollah nelle dinamiche interne libanesi. Le due principali svolte politiche in Libano, l’elezione di Michel Aoun a Presidente della Repubblica, dopo oltre 2 anni e mezzo di vuoto istituzionale, e il nuovo Governo Hariri, sono il frutto di una contrattazione che ha visto il partito di Dio attore in prima linea per il compromesso. Per capire quali possano essere i risvolti futuri del movimento sciita in Siria e nel Paese dei cedri abbiamo intervistato Talal Khrais, corrispondente di Al Manar Tv e analista di Siria per il Centro italo-arabo e del Mediterraneo.
Quanto è stato fondamentale l’intervento Hezbollah in Siria per Assad?
L’apporto della milizia nella guerra è stata centrale, ma senza la compattezza dell’esercito siriano Hezbollah non avrebbe potuto fare nulla. Altri elementi cardini per l’esito del conflitto sono stati l’appoggio delle diverse comunità religiose e della società civile siriana. Un piccolo esempio a sostegno di ciò che dico: chiudendo tutti i negozi di Damasco per tre giorni, la popolazione avrebbe segnato inevitabilmente la caduta del regime. In sei anni di lavoro in Siria ho accompagnato molti giornalisti italiani nel Paese. Né io, né i vari corrispondenti siamo mai stati testimoni di manifestazioni contrarie al Presidente Assad che non superassero i 200 partecipanti. Mentre ricordo ancora un corteo a favore del Presidente di oltre 1 milione di persone. La Siria è il simbolo della convivenza. L’esercito aveva ed ha la fiducia della popolazione, mentre l’ELS è la parte più corrotta dei militari. Arabia Saudita, Kuwait e Qatar hanno finanziato la sua scissione.
Nessuna protesta nel 2011? Secondo le tue parole tutto era fomentato dall’esterno.
Hanno deciso Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Israele. Quattro Paesi hanno scelto le sorti della Siria.
E la primavera araba? Le istanze provenienti dal basso, dal popolo?
Non posso dire che c’è democrazia in Siria: non c’è. Eppure i siriani stavano bene economicamente, il Paese non aveva debiti esteri e il livello d’istruzione era alto. Insomma non era una situazione così matura da dover scoppiare. Nel 2012 Assad ha anche intrapreso un processo di democraticizzazione sponsorizzato dalla Russia, ma che avrebbe dovuto impiegare anni prima di arrivare ad un’apertura de facto. Invece la guerra ha distrutto la storia della Siria. In questo contesto credo la Turchia abbia avuto il ruolo peggiore.
Qual è la sua posizione?
I turchi sono su suolo siriano. L’obiettivo di annettere Aleppo alla Turchia non è mai stato un segreto. Per questo motivo l’alleanza intorno ad Assad si è concentrata sulla città del Nord della Siria. Ma adesso il contesto si è capovolto e Erdogan è finito nelle sabbie mobili. Ha perso Aleppo e non è neanche in grado di affrontare l’Isis. Gli manca una copertura aerea adeguata e uomini fedeli sul campo.
E gli Stati Uniti? Qual’è il suo ruolo?
C’è una grande differenza tra l’Occidente e l’alleanza intorno ad Assad. I primi non sanno ciò che vogliono, non sono uniti e rispondono delle decisioni personali provenienti da Londra e Parigi. Iran, Russia e Hezbollah invece hanno degli obiettivi chiari e raggiungibili.