Assange, il fondatore di Wikileaks non torna negli Stati Uniti
17 Gennaio 2017
Lo aveva promesso se il presidente Obama avesse graziato Chelsea Manning, che sarà liberata a maggio.
Julian Assange sembrava pronto a farsi estradare negli Stati Uniti, dove lo attende un processo per spionaggio, ma poi ha cambiato idea. La notizia era stata diffusa dal quotidiano britannico The Guardian, che aveva citato l’avvocato Melinda Taylor, difensore del fondatore di Wikileaks. Su Twitter era arrivata pure una conferma, piuttosto “polemica”, da parte dell’account ufficiale dell’organizzazione internazionale.
Poi la smentita: la decisione del presidente Usa Barack Obama di ridurre la pena per Chelsea Manning non è sufficiente perché Julian Assange si consegni alle autorità americane. A parlare un altro dei legali di Assange, Barry Pollack, secondo cui Assange accoglie positivamente la decisione di Obama «ma è meno di quanto volesse: aveva chiesto la grazia e la scarcerazione immediata».
LA PROMESSA DI ASSANGE. Assange, la scorsa settimana, aveva promesso che si sarebbe consegnato alle autorità se il presidente Barack Obama avesse concesso la grazia a Chelsea Manning, la prima fonte di Wikileaks. La pena è stata ridotta il 17 gennaio a soli cinque mesi.
RINTANATO NELL’AMBASCIATA DELL’ECUADOR. L’attivista australiano vive rintanato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove ha chiesto asilo politico nel 2012. Ha rifiutato di incontrare i pubblici ministeri in Svezia, Paese in cui è stato denunciato per stupro.
DALLA SVEZIA AGLI USA. Al momento, l’unica richiesta di estradizione pervenuta nei suoi confronti è proprio quella proveniente da Stoccolma. Ma Assange è convinto che, se lasciasse il suo rifugio diplomatico, verrebbe senza dubbio condotto negli Stati Uniti per rispondere alle accuse che pendono su di lui.