Siria, l’annuncio di Putin: “Tregua firmata tra Damasco e i ribelli”
29 Dicembre 2016
Il governo siriano e le forze di opposizione hanno firmato gli accordi di tregua e inizieranno al più presto i negoziati di pace. Ad annunciarlo è stato Vladimir Putin. “Poco fa è arrivata la comunicazione che poche ore fa è avvenuto un evento che noi non soltanto abbiamo aspettato a lungo ma su cui abbiamo lavorato molto per renderlo possibile” ha spiegato, precisando però che l’intesa “è fragile” e ha bisogno di “pazienza e attenzioni particolari“.
L’Onu
Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha detto che l’accordo sul cessate il fuoco verrà presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per ottenerne la potenziale di approvazione. “Informeremo i membri del Consiglio di Sicurezza sul lavoro che abbiamo fatto e risponderemo alle loro domande”, ha sottolineato. Lo riporta la Tass.
Chi ha aderito
Le sigle che aderiscono alla tregua sono Faylaq Al-Sham, Ahrar al-Sham, Jaysh al-Islam, Suwar Agi Sham, Jaysh al-Mujahideen, Jaysh Idlib e Jabhat al-Shamiyah. Secondo il ministro della Difesa Serghei Shoigu “i comandanti più influenti dell’opposizione armata hanno preso parte ai negoziati, che sono durati due mesi, e hanno permesso di individuare il territorio controllato dai ribelli”. Da questo momento in poi, ha precisato, “chi non deporrà le armi” verrà considerato “un gruppo terroristico”, alla stregua dell’Isis e di Jabhat al-Nusra (che non sono coperte dagli accordi). In tutto le sette formazioni – stando ai dati forniti dal ministero – comprendono almeno “51mila persone“.
La strategia di Putin
Che il Cremlino avesse deciso di accelerare la soluzione della crisi siriana s’era capito già all’indomani della vittoria di Donald Trump e ora, pur avanzando cautela, Putin ha deciso di passare all’incasso. Mosca, infatti, vuole farsi trovare in una posizione di vantaggio quando il presidente-eletto prenderà finalmente in mano le redini della Casa Bianca. La mossa, se l’accordo reggerà, non rappresenta però (solo) un innegabile successo personale dello zar, bensì un poker corale della diplomazia russa e un cambio di qualità della sua influenza nell’intero Medio Oriente. Mosca, d’altra parte, ha puntato sull’internazionalizzazione della crisi portando al centro del tavolo negoziale la Turchia – riabilitata dopo un durissimo braccio di ferro innescato dall’abbattimento del jet russo nei cieli siriani – e l’Iran. Le tre potenze si sono fatte garanti del processo di pace e Mosca, al contempo, ha spinto per coinvolgere l’Egitto di al-Sisi: sono mesi infatti che l’inviato in Medio Oriente di Putin, nonché vice ministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov fa la spola tra Mosca e le principali capitali dell’area per completare il puzzle con pazienza certosina.
Se tutto andrà per il verso giusto, Putin potrà dunque posizionare la Russia come potenza egemone nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale – vero e proprio pallino dello zar, stando a diverse fonti – sfruttando in parte anche il volano dell’associazione Euroasiatica. A muovere ora tocca agli Stati Uniti