Sudafrica: vino e supremazia della razza bianca
11 Novembre 2016
Una campagna di protesta che sta sconvolgendo la stabilità socio economica del Paese
Kampala – Robertson Wine Valley è la più famosa azienda vinicola del Sudafrica. Creata nel 1983 nella regione del Western Cape, Breede River, Langeber Mountains, ha progressivamente assorbito 48 aziende vinicole minori ma prestigiose quali Ashton, Bonnievale, McGregor and Robertson. Prima in assoluto sui mercati Continentali, la Robertson Wine Valley è riuscita a conquistare i mercati americani ed europei, ponendosi come valida alternativa ai vini francesi, italiani, spagnoli e californiani. La visione della azienda è di rafforzare la produzione di vino pregiato dal Sudafrica e commercializzarlo in tutto il mondo. Nel suo sito web l’azienda dichiara di applicare alla lettera il rispetto del codice del lavoro e di garantire ottime condizioni per i dipendenti. È inoltre membra della Rooiberg Breede River Conservancy di cui è il principale finanziatore del progetto di salvaguardia dei leopardi sudafricani.
L’immagine idilliaca della Robertson Winnery è stata recentemente rovinata dal giornalista danese Tom Heinemann grazie ad un documentario inchiesta (Bitter Grapes—Slavery in the Vineyards) trasmesso il 2 novembre sulla televisione pubblica della Danimarca. I risultati della inchiesta di Heinemann sono devastanti e rivelano condizioni di lavoro peggiori rispetto a quelle in uso all’era dell’Apartheid sotto il regime Boero.
I lavoratori (per la maggioranza neri) sono pagati 105 Rand (7,76 dollari) per turno giornaliero di 12 ore con un solo riposo settimanale. I contratti sono spesso a tempo determinato sotto la categoria ‘lavoratori stagionali’. Una categoria che permette al datore di lavoro di pagare il minimo dei contributi sociali e di licenziare il lavoratore quando vuole senza giusta causa. Heinemann afferma che il 38% dei lavoratori sarebbero immigrati dai Paesi vicini, senza contratto e non registrati alla Camera del Lavoro. I servizi igenici presso l’azienda sono in sottonumero rispetto ai dipendenti e in condizioni di sporcizia tali da creare il rischio di diffusione di malattie. Nessuna rappresentanza sindacale è ammessa nell’azienda vinicola dove i dipendenti sono letteralmente alla mercé della direzione aziendale.
“I Robertson applicano metodologie di schiavismo e ostacolano seriamente il tesseramento ai sindacati. Si sono registrati vari casi di licenziamenti di leader sindacali e tesserati che lavoravano presso la Robertson Wine. Secondo la visione dei Robertson i lavoratori non hanno diritti ma solo il dovere di lavorare duro e ricevere ordini” denuncia Deneco Dube, sindacalista della Commercial Stevedoring Agricultural and Allied Worker’s Unione – CSAAWU. Secondo l’inchiesta del giornalista danese, l’azienda vinicola sudafricana applica una pratica di salario messa fuori legge nel 1961: parte dello stipendio viene pagato in prodotti alcolici, contribuendo così alla diffusione dell’alcolismo presso le classi povere africane.
La situazione di schiavitù descritta nel documentario sembra non essere una pratica criminale adottata solo dalla Robertson Wine. Lo sfruttamento disumano ed intensivo della mano d’opera e degli immigrati (spesso clandestini) rientra nella strategia aziendale della maggioranza delle ditte vinicole sudafricane come palese forma di riduzione dei costi di produzione.