General

Cinema, i tentacoli dei clan sui set dei film di mafia

21 Novembre 2016

Permessi, ricatti, comparse e attori imposti. Da Gomorra a Malena, le ingerenze della criminalità organizzata nel cinema. Per un business che vale 50 mila euro al giorno.

Tra i pochi ad ammetterlo è stato il regista napoletano Pasquale Squitieri, che di pellicole sulla malavita ne ha girate molte: «Sia chiaro», ha sostenuto, «che anche il film Gomorra di Matteo Garrone è stato girato perché la camorra lo ha voluto». E ancora, citandosi: «A suo tempo ho potuto girare Il prefetto di ferro in Sicilia solo grazie alla mafia che me lo ha consentito». Perché, ha sentenziato, «se la mafia non vuole che tu faccia il film, tu il film non lo fai». Insomma, senza il permesso dei mafiosi «magari il film andavo a girarlo a Zurigo, ma in Sicilia di certo no». Parole choc, forse eccessive (o forse no) che gli autori di Gomorra smentiscono, ma che “fotografano” un rischio reale che investe le produzioni cinematografiche e televisive prodotte nei territori dove la criminalità opera in misura più invasiva che altrove.

NAPOLI LOCATION AMBITA. A Napoli, per esempio, ritenuta di nuovo una “location” in grado di attirare l’interesse di decine di troupe. E allora, ciak si gira. Nelle strade, nelle piazze, nei vicoli di camorra. Sì, ma davvero – come denuncia Squitieri – «il film si fa solo col permesso dei boss»? Di sicuro c’è che il business a molti zero del cinema italiano attrae i clan di malavita fino a indurli a invadere molto più di prima il set con pretese e ricatti, estorsioni e minacce. Affinché si accetti “protezione”. O che tra le comparse siano inserite le persone gradite al boss. Storie di prepotenza: sussurrate, negate, ammesse a mezza bocca. Sullo sfondo, una miriade di mediatori mai autorizzati. E i cosiddetti “procacciatori di comparse”, figure inquietanti che si muovono ai bordi della scena e nulla hanno a che fare con i professionisti delle agenzie specializzate.

I protagonisti della serie tivù “Gomorra”.

Se chi produce il film è forestiero, nessun problema: loro sanno tramite quali vie è possibile arrivarci. O almeno ci provano. Nel 2012 a Palermo, mentre erano in corso le riprese della serie televisiva Il segreto dell’acqua con l’attore Riccardo Scamarcio, furono arrestate 41 persone accusate di imporre alla casa produttrice Magnolia mezzi e comparse. Un fenomeno dilagante? «Di recente non abbiamo registrato denunce in merito», rispondono alla questura di Napoli.

PRUDENZA D’OBBLIGO. Dove però ricordano che il titolo della fiction di Canale 5 Il clan dei Casalesi (2013) è stato cambiato in un più generico Il clan dei camorristi e che le scene sono state girate – per prudenza – in molti luoghi della Campania tranne che a Casal di Principe, 65 clan attivi, più di 3 mila affiliati. Non esiste spazio urbano nel cui perimetro non sia “ufficialmente” insediata almeno una banda che pretende di comandare su tutto. Conferma un anziano cronista: «I clan si sono intrufolati ovunque. E ricattano tutti. Perché non dovrebbero provarci anche con chi grazie ai film guadagna un sacco di soldi?».
Una scena della prima stagione di “Gomorra la serie”.
«Niente denunce», ripetono in questura, sapendo che c’è da stare all’erta e che i modi per “contattare” sottovoce chi sta per fare il ciak «sono molti e a portata di mano», specie «nella inevitabile fase di presa di contatto con il territorio». Il regista Matteo Garrone ha ammesso di aver incontrato «per motivi professionali» il boss del clan Bidognetti Alessandro Cirillo prima di iniziare le riprese del film Gomorra («Non sapevo che era ai domiciliari, mi serviva per conoscere quel mondo da vicino», ha puntualizzato).

«IMPOSSIBILE CONTROLLARE». Ha raccontato Stefano Sollima, regista delle fiction tivù Gomorra la serie e Romanzo criminale: «Con centinaia di persone ai margini della troupe, è impossibile controllare eventuali infiltrazioni criminali. E spesso è davvero difficile capire chi è che sta parlando, perché e per conto di chi».
La polizia nel quartiere napoletano di Scampia, una delle location di “Gomorra”.
Finzione e realtà. Lecito e illecito. In terra di confine, i confini a volte si diradano. Tra gli attori che hanno recitato nel film Gomorra cinque sono stati arrestati per vecchi o nuovi reati. Sasà Striano (Orso d’oro a Berlino per il film dei fratelli Taviani Cesare deve morire) ha una condanna a 12 anni per estorsione e spaccio.

PURE UN ERGASTOLANO. Aniello Arena (premiato a Cannes per il film Reality di Matteo Garrone) è condannato all’ergastolo per omicidio. Gaetano Di Vaio, pregiudicato per gravi reati, è un attore e produttore (è suo il film Là-bas, per esempio) stimato e ultra-premiato. Storie di rinascita. E di riscatto.

Una scena di “Gomorra” girata nei vicoli di Napoli.
Ma Alessandra Clemente, giovane assessore nella giunta di Luigi de Magistris a Napoli e figlia di Silvia Ruotolo, ammazzata “per sbaglio” dalla camorra nel 1997 mentre tornava a casa, ha detto amara: «Mi fa piacere per loro. Ma attenzione: elogiare questi personaggi oltre misura offende le vittime e i loro familiari». In Gomorra la serie – che si vanta di aver utilizzato «attori non professionisti legati al territorio» nonché «la consulenza di ex (ex?, ndr) pregiudicati» – è diventata vicenda giudiziaria l’affitto di “villa Gallo” a Torre Annunziata in cui è stata ambientata “casa Savastano” (la casa del capo-clan): la struttura è di proprietà del boss Francesco Gallo (detto Francuccio ‘o pisiello) arrestato con l’accusa di estorsione.
Due dei protagonisti di ”Gomorra”: don Pietro Savastano e Malamore.
Napoli, ciak si gira. Oggi più di ieri. In cantiere c’è una miriade di belle opere: da Gianni Amelio a Ivan Cotroneo, dai Manetti Bros ai Bastardi di Pizzofalcone (con Alessandro Gassman). E poi Falchi, con Fortunato Cerlino, il boss Savastano in Gomorra la serie. E I milionari, il nuovo cortometraggio di Alessandro Piva. Ciak si gira. Le iniziative pullulano. «Ma proprio perciò», sussurra un inquirente, «c’è da stare con gli occhi ben aperti». Per comprendere davvero perché il “business cinema” fa drizzare così tanto le orecchie alla camorra, basti sapere che «una produzione cinematografica medio-bassa da un milione e mezzo di euro produce una ricaduta sul territorio di circa 50 mila euro. Al giorno».

GUAGLIONI DA ASSUMERE. In queste ore Napoli ospita la troupe di Mary Magdalene, un kolossal hollywoodiano sulla discepola di Gesù. Il set prescelto è l’imponente piazza del Plebiscito con la neoclassica basilica di San Francesco di Paola e il solenne colonnato a emiciclo che si trasformeranno nel Tempio di Gerusalemme per la scena biblica della cacciata dei mercanti. Già, ma chi sceglie i mercanti da cacciare? E le altre comparse? Come ci si comporterà se dai vicini Quartieri spagnoli o dal contiguo rione Pallonetto – feudo storico degli ex contrabbandieri – dovesse giungere “una preghiera” perché nel cast si assuma qualche guaglione locale?
Pif, regista del film “La mafia uccide solo d’estate”.
C’è chi ricorda – ma c’è poco da sorridere – la colorita “processione” di “amici degli amici” quando nel film Operazione San Gennaro (1966, regia di Dino Risi) Nino Manfredi detto Dudù selezionava i tipi più adatti per far parte della sacrilega banda che avrebbe rubato il “tesoro” del santo. Il rischio incombe. Ma non solo a Napoli. Il coraggioso Pif, che da regista ha girato a Palermo La mafia uccide solo d’estate, ha ammesso di non aver mai dovuto pagare mazzetta «solo grazie all’aiuto dell’associazione AddioPizzo».

TELEFONATE ANONIME. Nel 2014, sul set di Sei mai stata sulla luna?, il film con Raoul Bova girato a Nardò, giunse una telefonata anonima: «Pacate (con la c, ndr) 50 mila euro se no ciao». Perfino alla troupe di Squadra anti-mafia, girato a Palermo nel 2011, fu chiesta la mazzetta. E di accaparrarsi i servizi. A Napoli il rapper Clementino ha dovuto difendersi da chi voleva imporgli i brani di un neomelodico. Problemi con la malavita li ha vissuti sul set anche il regista siciliano Peppino Tornatore quando si recò a Siracusa per girare il film Malena con Monica Bellucci: un incendio distrusse le scenografie.

PERSINO ATTACCHI HACKER. E, visto che la mafia era stata esclusa dalla scelta delle comparse, un hacker fece sparire i file con i numeri di telefono per costringere il regista a rifare il casting. Anche Lina Wertmuller, girando nel 2008 Mannaggia la miseria a Taranto, fu bersaglio di richieste estorsive. Apulia film commission trasferì tutto a Brindisi e denunciò i taglieggiatori. Quelli si difesero affermando di aver diritto a un “rimborso” perché, con le riprese in strada, la troupe aveva ostacolato il loro spaccio di droga.