Sisma, cosa non torna nel racconto della tragedia
30 Agosto 2016
Parlare di modelli di ricostruzione è sbagliato. Come promettere che non si finirà come L’Aquila. Il comitato 3.32 CaseMatte sulla narrazione distorta del disastro.
Amatrice non è L’Aquila.
Non ha senso promettere e giurare ai terremotati del Reatino colpiti dal sisma che «non finiranno come gli aquilani»; come non ha senso continuare a parlare di «modelli» di ricostruzione.
Modelli «standardizzati», dice a Lettera43.it Mattia Fonzi del Comitato 3.32 CaseMatte, che proprio per questo non tengono conto delle differenze tra i territori né delle esigenze della popolazione.
«Da aquilano», spiega, «rifiuto le espressioni come ”fare la fine de L’Aquila”».
TERREMOTI NON PARAGONABILI. Se non altro perché i due terremoti «non sono per nulla paragonabili».
Non è possibile mettere sullo stesso piano un capoluogo di Regione con piccoli paesi arrampicati sull’Appennino.
«Chi li parifica», è l’accusa, «o non ha capito bene come stanno le cose o mente sapendo di mentire».
Lo stesso racconto del sisma secondo Fonzi, tra i primi ad accorrere ad Amatrice dopo le scosse del 24 agosto 2016, presenta inesattezze.
La retorica e le scaramucce politiche hanno fatto il resto.
1. La querelle soccorsi: gravi ritardi nonostante le strade percorribili
(© Ansa) Una bambina è stata estratta viva dalle macerie ad Amatrice.
Il 26 agosto il ministro dell’Interno Angelino Alfano in visita nelle aree colpite ha dichiarato: «Anche nel buio di questo immenso dolore c’è un bagliore di orgoglio e di gioia. Orgoglio per il sistema dei soccorsi che ha funzionato alla perfezione».
DIFFICOLTÀ INSPIEGABILI. La verità, racconta Fonzi, è che il sistema «ha presentato diverse falle».
Rispetto a L’Aquila «abbiamo riscontrato clamorosi ritardi. Alle 9.30 ad Amatrice c’erano solo piccoli gruppi dei volontari della Protezione civile delle aree vicine».
E dire che le strade «erano percorribili».
Nessuna polemica, nessuno punta il dito contro il coordinamento dell’emergenza o contro il governo, sia chiaro.
Ma riconoscere i punti di debolezza, ha ribadito Fonzi su Facebook, «è un modo di capire gli errori e cercare di eliminarli per il prossimo terremoto».
POSTO MEDICO INUTILE. Il Posto medico avanzato, che serve per smistare i feriti e assegnare i codici per i soccorsi, stando alle testimonianze raccolte da Fonzi è stato montato solo alle 17.
Per questo «è paradossalmente rimasto vuoto, perché in quel momento tutti i codici verdi erano stati trasportati altrove o rilasciati, e i feriti gravi erano già negli ospedali».
2. Macchina della solidarietà gestita male: aiuti da «parcellizzare»
L’allestimento di una tendopoli della Protezione civile.
Il Comitato 3.32 CaseMatte ogni giorno organizza alcune auto e raggiunge le piccole frazioni colpite per dare una mano.
Gli aiuti però devono essere mirati, «parcellizzati» in base alle esigenze dei cittadini «che devono essere coinvolti in prima persona».
Cosa che non accadde a L’Aquila e nemmeno in Emilia, giusto per parlare di modelli.
TENDOPOLI NELLE FRAZIONI. Per questo motivo il Comitato ha cercato di montare qualche tenda anche nelle frazioni di Amatrice, fornendo «supporto logistico».
«Ci sono persone che non vogliono lasciare la propria casa e trasferirsi nelle tendopoli allestite ad Amatrice», spiega Fonzi.
«Hanno paura dei ladri, magari. Le pro loco sono in grado di organizzare una cucina. Perché allora non portare anche in questi piccoli centri un paio di tende blu della Protezione civile?».
3. Il diritto all’autodeterminazione: cioè «non sopraffare» i terremotati
Quello che resta di una casa di Amatrice.
Allo stesso modo, sottolinea Fonzi, la ricostruzione deve «rispettare i territori».
I terremotati devono autodeterminarsi, «non farsi sopraffare».
”POCHI” SFOLLATI. A maggior ragione in questo caso, «dove il numero delle persone coinvolte è inferiore di quello di altri terremoti».
Per dare l’idea, gli sfollati del sisma dell’aprile 2009 furono 104 mila, in questo caso si parla di 4-5 mila persone.
4. L’Odissea dei moduli abitativi: una soluzione che dura anni
L’Aquila: la città dopo il terremoto.
Vale la pena di ricordare che i tempi nella gestione di un’emergenza sono lunghi, per quanto la macchina sia efficiente.
A L’AQUILA SONO «VIVIBILI». «Occorreranno mesi per togliere le macerie», mette in chiaro Fonzi, «mesi per i progetti e anni per la ricostruzione».
I moduli abitativi rappresentano una soluzione temporanea quantificabile in anni.
«Io stesso mi sono trasferito in un modulo fuori L’Aquila. Sono vivibili, tutto dipende da come vengono costruiti».
5. L’assalto dei media: la solita favola triste della «città che non esiste»
Le immagini del sisma trasmesse dalle tivù nazionali e straniere.
«Subito dopo il terremoto de L’Aquila», racconta Fonzi, «siamo stati travolti dalla macchina mediatica, che ci seguiva anche quando andavamo in bagno».
Il problema però è che non sempre il racconto era fedele alla realtà.
«A ogni anniversario, se il paradigma è il ”terremotato che piange” o ”la signora che non è ancora riuscita a entrare a casa sua” tanto vale non venire nemmeno a L’Aquila, perché non cambia nulla».
Lo stesso vale per chi racconta l’ennesimo anniversario arrivando in città «con una tesi precostituita da confermare. E chi esce da quella tesi, viene tagliato dalle interviste», continua Fonzi.
UN POSTO DIVERSO, MA VIVO. L’Aquila deserta e abbandonata, per il membro del comitato, fa parte di questo repertorio.
«L’Aquila vive», insiste, «dopo le cinque di pomeriggio e il sabato sera… ci sono moltissime persone. Arrivano anche da Pescara per passare qui la serata».
Insomma, la città è ancora piena di cantieri, «è ‘diversa’», assicura Fonzi, «ma esiste».
6. L’inquinamento della politica: gli errori e gli orrori delle New town
Silvio Berlusconi durante una visita all’Aquila per incontrare gli sfollati dopo il terremoto del 6 aprile 2009 (foto Ansa).
E poi c’è la politica.
Come aveva sottolineato a Lettera43.it l’urbanista Sauro Turroni, dopo il terremoto de L’Aquila con la sua scia di inchieste giudiziarie, la priorità è stata quella di prendere le distanze da quell’esperienza, cancellando anche ciò che di buono era stato fatto.
Gli errori e gli orrori di quella gestione sono sotto gli occhi di tutti. Come le New town. Un piano tra l’altro impraticabile nel Reatino.
«È impensabile costruire nuove città per un numero, per fortuna, esiguo di popolazione coinvolta», allarga le braccia Fonzi. «L’Aquila fa caso a sé, è un capoluogo di Regione».
UN TERREMOTO IN AUSTERITY. Resta il fatto che sono passati sette anni, «sette anni di crisi», fa notare Fonzi. Nel 2009 eravamo nel periodo spendaccione berlusconiano, «le nuove case erano dotate di quattro servizi di bicchieri… la macchina degli appalti doveva funzionare a pieno ritmo per accontentare quanti più imprenditori possibili».
Ora, invece, non si può più spendere a caso. «Bisognerebbe investire invece in prevenzione e messa in sicurezza», conclude Fonzi.
Considerando che questo resta un «terremoto al tempo dell’austerity».