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Salonicco. È nata Hurriya, l’occupazione abitativa di attivisti internazionali e migranti

di Tommaso Gandini, 29 luglio 2016.



Che dopo lo sgombero di Idomeni e
dei campi informali una grossa quantità di volontari e attivisti internazionali
fosse rimasta in Grecia per continuare ad aiutare i migranti è risaputo, così
come che tanti altri che avevano deciso di partire (nonostante tutto) non hanno
disdetto il viaggio. 

Quello che di certo non ci si aspettava è che un gruppo
fra questi riuscisse di fatto ad occupare una palazzina.

Diverse decine di attivisti
internazionali, decisi a non operare nei campi governativi per motivi politici,
ha organizzato e attuato, con l’aiuto logistico di attivisti locali, una
occupazione abitativa in via Karolou Dil 34, nel centro di Salonicco, la città
più vicina ad Idomeni e la seconda più grande della Grecia. 

Si chiama Kinotita
Hurriya: kinotita è una parola greca che indica comunità, gruppo, mentre la
seconda significa libertà, in arabo. L’edificio ha otto piani con due
appartamenti per ognuno. Essi hanno tutti tre stanze, bagno, cucina e balcone,
quasi tutte in buone condizioni. Nella maggior parte di essi è già presente sia
l’elettricità che l’acqua corrente. 



Durante tutto il giorno la porta
è aperta a chiunque voglia dare una mano. Fin da subito dopo l’apertura è stato
compiuto un grosso lavoro, da decine e decine di persone provenienti da tutto
il mondo, nel risistemare le stanze. Da migranti siriani, afgani, iraqeni,
tunisini o marocchini, ma anche da attivisti europei, sudamericani o
australiani. 

Un melting pot indescrivibile, che trova forma in uno spazio e in
un obiettivo comune: supportare i migranti bloccati nei campi governativi. Quei
campi che tutti definiscono indegni e inumani.

Ma a tutte le persone che
condividono questo progetto è chiaro che non è migliorando quel tipo di
condizione che si giunga davvero ad un miglioramento. Non è la situazione nei
campi il vero problema, è il concetto stesso di campo ad essere inaccettabile.
Ed è per questo che la prima necessità diventa trovare un modo per portare le
persone fuori da questi campi, garantendo allo stesso tempo una vita dignitosa.
L’occupazione diventa quindi l’unica soluzione. 

Questa affermazione, che in
molti movimenti è data per scontata da molto tempo, non lo era minimamente per
quasi tutti i partecipanti del progetto. Per la maggior parte di loro si tratta
della prima occupazione. Ma l’urgenza di occupare è diventata talmente alta che
molti valori come la legalità o la difesa della proprietà privata sono
diventati palesemente secondari.

Ricordiamoci infatti che più di
10.000 persone vivono attualmente in tenda, per lo più sotto i capannoni nella
periferia industriale di Salonicco. La prima famiglia ad essere ospitata è
formata da tre bambini e quattro adulti. Il più anziano di loro, un signore
siriano, ha avuto recentemente un’operazione a cuore aperto e non poteva più
sopravvivere nel campo; ma nessun altro lo avrebbe aiutato a sistemarsi
altrove, nè il governo nè l’UNHCR. Ora vive all’Hurriya, insieme ai suoi figli
e i suoi nipoti. E ne sarà presto parte integrante.

L’idea del progetto infatti è di
condividere ogni decisione, logistica o politica che sia, con i gli abitanti
dell’edificio. Già ora qualsiasi tipo di decisione passa per un’assemblea
plenaria, a cui sono invitati sia attivisti che migranti. Sicuramente qualcosa
che non si vede spesso: attivisti da ogni parte dell’Europa e del mondo, con
esperienze di movimento e ideologie politiche completamente diverse, uniti a
migranti medio-orientali e nordafricani. 

La lingua comune è l’inglese, ma
spesso ci si ferma per lasciare il tempo ai traduttori, in modo che tutto sia
chiaro a tutti. Fin da subito è stata sottolineata la valenza politica del
progetto, espressa per il momento in una serie di punti:

– Contro l’accordo tra Europa e
Turchia. No ai confini, canali umanitari per tutti.

– Pieni diritti a tutti i
migranti. Nessuna deportazione in Turchia o altrove.

– Sistemazioni degne per tutti i
migranti, nel centro della città. E’ una necessità utilizzare edifici vuoti per
ospitare migranti.

– Libero accesso al sistema
sanitario ed educativo per tutti i migranti.

– Chiusura di tutti i campi
governativi, nessuna esclusione dei migranti dalla città o dalla società.

– No alla criminalizzazione dei
movimenti di solidarietà.

Questa esperienza è sicuramente
un unicum in Europa, nella sua storia recente. Un’occupazione gestita ed
organizzata senza radici locali, senza che nessuno degli occupanti abbia
minimamente presente quale sia il contesto politico o sociale della città in
cui si trova. Per fare un esempio, nessuno degli attivisti, se non i pochi
locali, ha presente nemmeno chi sia il sindaco o a che gruppo politico
appartenga. Le cause di un progetto così surreali sono sicuramente molteplici. 

Innanzitutto la contraddizione creata tra i valori normalmente percepiti in
Europa e la situazione di Idomeni ha accresciuto a livello globale l’attenzione
verso luoghi come quello. Da Ai Wei Wei ad Angelina Jolie, dalla Cina
all’America, questa parte di mondo era ed è nota a tutti. La gestione criminale
dei flussi migratori da parte delle istituzioni europee era sotto gli occhi di
tutti. La creazione dei campi governativi non ha di fatto cambiato la
situazione in meglio, ma l’ha nascosta meglio. Da un lato proibendo l’accesso a
giornalisti ed attivisti, dall’altro depotenziando i migranti in termini di
capacità di creare conflitto. Essi infatti ora si ritrovano isolati e con
numeri minori, e sotto lo stretto controllo della polizia.

Ma l’esposizione mediatica ha
creato un’eccedenza, che di fatto continua a muovere persone da tutto il mondo
in direzione di quest’area. E suppur non con gli stessi numeri, ci sono ancora
tantissime persone che stanno pianificando di partire. 

Ovviamente anche la chiusura
della rotta balcanica ha di fatto portato a questa situazione, obbligando i
migranti a cercare situazioni semi-stabili in attesa della ricollocazione.
Questo processo sta funzionando al momento, molte famiglie sono già partite in
aereo per l’Europa, ma i numeri non sono consistenti. Secondo molti attivisti
locali a questa velocità virtualmente ci vorrebbe più di un secolo per
ricollocare tutti. 

Ecco quindi che una casa diventa necessaria anche per coloro
che ancora sperano di riuscire a continuare il proprio viaggio. Quest’ultima
parte dovrebbe in particolar modo far riflettere: i flussi migratori non
possono essere fermati, specialmente se provengono da luoghi come la Siria;
possono essere solo spostati. Ed ecco quindi che il laboratorio greco fungerà
sicuramente da riferimento nella gestione dei prossimi grossi spostamenti. E
sappiamo che, pur avendo una diversa posizione geopolitica, l’Italia è per
motivi ovvi uno dei Paesi più attraversate dal fenomeno delle migrazioni. 

E’
dunque fondamentale continuare ad osservare non solo quello che accade in
termini di dispositivi di repressione e di sottrazione di diritti, ma anche ciò
che viene prodotto come controffensiva a questi meccanismi. In particolare se
mira ad un’integrazione reale e profonda, che viene dal basso.

FONTE: Global project