Nessuno sa niente
di Barry Ritholtz, Bloomberg, 12 Maggio 2016.
Vale per tutto, dalle previsioni
elettorali al successo di un film fino alla propria carriera: ci sono
troppi fattori in gioco, e uno di cui non si tiene conto mai.
Nel suo libro
Adventures in the Screen Trade
(“Avventure nell’industria cinematografica”) lo
sceneggiatore William Goldman scrisse che «nessuno sa
niente».
Oggi questa citazione sta avendo una seconda vita.
La
frase, ripetuta per tutto il libro, viene usata per la prima volta in
riferimento alle molte case cinematografiche americane che si
rifiutarono di realizzare film che si sarebbero poi rivelati grandi
successi.
Per esempio tutti gli studios di Hollywood, a eccezione di
Paramount, respinsero I predatori dell’arca perduta, che
diventò uno dei film con gli incassi più alti della storia e fu
candidato a 9 premi Oscar.
La più grande casa
cinematografica di Hollywood dell’epoca, la Universal, rifiutò di
produrre Star Wars, che fece un miliardo di dollari di
incassi e diede inizio a una saga con cinque film nella
classifica dei 100
film con maggiori incassi di tutti i tempi.
Alla fine Disney ha
comprato la casa di produzione di Star Wars, LucasFilm,
per oltre 4 miliardi di dollari.
Goldman si riferiva al fatto che
nonostante tutta la ricerca, l’esperienza, i gruppi di discussione
e l’intelligenza di chi lavora nel settore, nessuno a Hollywood ha
idea di come andrà un film prima della sua uscita.
Ogni volta
che proviamo a predire un risultato complesso, ci addentriamo in un
campo minato. A iniziare dalla sceneggiatura, che non sappiamo se
si adatterà bene allo schermo.
Quanto è coinvolgente il
progetto del regista?
La rappresentazione dei personaggi è
gradevole?
Fino ad arrivare al fattore forse meno prevedibile: quali
saranno i gusti del pubblico fra tre o cinque anni, quando
il film uscirà nei cinema?
Il successo di un film è decretato per
grandissima parte dalla sorte, e lo sembra che lo stesso discorso si
possa applicare a qualsiasi cosa nella vita, dal matrimonio alla
carriera, fino al portfolio azionario.
Quanto è facile scambiare la fortuna
e il caso per capacità?
Quanto ci mettiamo a convincerci di essere
in grado di capire cosa succede e che abbiamo il nostro destino sotto
controllo, anche se non c’è niente di più lontano dalla verità?
Pensate per esempio alle primarie statunitensi.
Stando alle
previsioni Bernie Sanders, un senatore 74enne ebreo socialista,
sarebbe dovuto uscire dalla corsa per la nomination dei
Democratici quasi subito.
Nonostante il distacco nel numero di
delegati, invece, è ancora in corsa.
La stragrande maggioranza degli
esperti, poi, aveva proclamato a gran voce che Trump non
avrebbe avuto nessuna possibilità al mondo di vincere
la nomination dei Repubblicani.
L’anno scorso siete stati invitati
con forza a prendere con le pinze i loro annunci sul declino
imminente di Trump perché, ripetiamolo, nessuno
sa niente.
Nemmeno io so niente, ma perlomeno
sono consapevole della mia ignoranza e non ho problemi ad ammetterlo
in pubblico. La maggior parte degli opinionisti, invece, deve
ancora imparare questa lezione fondamentale. Robert H. Frank è un
professore della Johnson Graduate School of Management alla Cornell
University e autore di molti libri sull’economia, tra cui un testo
molto rispettato scritto insieme all’ex presidente della Federal
Reserve (la banca centrale americana) Ben Bernanke.
Nel suo ultimo
libro Success
and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy (“Il
successo e la fortuna: la buona sorte e il mito della meritocrazia”),
Frank parla di quanto sia sottovalutato il ruolo del caso nella
nostra vita.
Le persone di successo tendono a dare
il merito dei loro risultati alle loro capacità, al duro lavoro e
all’intelligenza. Frank sottolinea che per ognuna di queste
persone ce ne sono moltissime altre altrettanto capaci, operose e
intelligenti, che però non hanno avuto gli stessi successi.
La
mancanza di un colpo di fortuna può fare la differenza tra un grande
successo e un successo sfiorato, o un risultato ancora peggiore.
Frank affronta il tema dettagliatamente nel suo best-seller The
Winner-Take-All Society: Why the Few at the Top Get So Much More Than
the Rest of Us (“La
società del “Primo prende tutto”: perché i pochi in cima
ottengono molto di più del resto di noi”).
Gli investitori,
invece, dovrebbero seguire i consigli di Michael
J. Mauboussin, professore aggiunto di finanza alla Columbia
Business School e responsabile delle strategie finanziarie di Credit
Suisse. Nel suo libro The
Success Equation: Untangling Skill and Luck in Business, Sports, and
Investing, (“L’equazione
per il successo: capire il ruolo di capacità e fortuna
nell’economia, lo sport e gli investimenti”), Mauboussin fa
notare che dal momento che per ogni settore c’è un numero sempre
più grande di persone capaci e di talento, la fortuna ha un
peso sempre più importante.
Quando tutti competono a un livello
molto alto, le qualità personali si annullano.
Potremmo dire
che il risultato finale è determinato da una combinazione di
capacità e fortuna.
A ricordarci quanto conti la fortuna,
in positivo e in negativo, questa settimana c’è anche la Sohn
Investment Conference, che riunisce investitori professionisti e
gestori di fondi speculativi per discutere dello stato del
settore degli investimenti. La conferenza (che il giornalista Josh
Brown ha seguito e raccontato dettagliatamente in tre articoli: qui
trovate la prima parte, la seconda
e la terza)
è un esempio perfetto di questo fenomeno.
Gli illustri partecipanti
all’evento parlano per ore di diversi temi legati a investimenti,
analisi economiche e, ovviamente, delle loro azioni preferite (e di
quelle che odiano).
Come sono andate le scelte azionarie di questi
importanti investitori sulla base delle analisi emerse nella
conferenza dell’anno scorso?
Secondo Julie
Verhage di Bloomberg,
«solo due degli oratori dell’anno scorso hanno preso decisioni
azzeccate, e anche loro hanno fatto scelte sbagliate che hanno
vanificato quelle corrette».
Si è già detto molto
dell’inutilità di chi si atteggia a indovino e delle previsioni di
queste persone. Cercare di valutare con precisione sistemi complessi
influenzati da variabili casuali e correlate tra loro, da fattori
esterni e dall’imprevedibilità del comportamento umano è una
follia.
Anche se non ci piace ammetterlo, nessuno sa niente, compresi
noi.