Golem, da noi un teatro così non c’è, non si vede, non si fa
ilfattoquotidiano, 13 Maggio 2016.
Da noi un teatro così non c’è, non
si vede, non si produce, non si fa. Prova a miscelare il fumetto con
le proiezioni, una band (due elementi: piano e batteria) che suona
dal vivo, mixa il videogioco con il teatro delle ombre e il cinema
muto, il tutto in versione punk e grottesca.
I disegni che ci
accolgono all’apertura del Golem della compagnia inglese
“1927” ricordano quelli maleducati di Beavis and Butt-head,
animazione di culto Mtv di stampo britannico fine anni ’90.
Le
percussioni e il flusso di immagini che scorrono montano una
creazione a rullo, un
patchwork dai contorni scoloriti polverosi,
leggermente opacizzati in stile video di The
Wall,
ambientazione da Mary
Poppins,
atmosfera alla
Sherlock Holmes.
Potrebbe essere un’evoluzione del nostro vetusto varietà o della
dimenticata rivista.
Il tema, nel suo impianto brechtiano, circense,
a tratti felliniano, ci spinge nei bassifondi, nella periferia di una
grande città, Londra?, dove un ragazzo
disadattato,
nerd senza ragazza, e con un lavoro noioso e ripetitivo, riesce a
scrollarsi
di dosso paure e tremori
grazie all’oggetto del titolo.
Il
Golem
è un gigante d’argilla, tra Frankenstein e il Lurch degli Addams,
gigantesco spaventapasseri, figura antropoforma della tradizione
ebraica, letteralmente “massa informe”. Questo
mostro,
dapprima
decerebrato
senza volontà né parola, rimane accanto al ragazzo brufoloso e
problematico, acquistato per gioco, per curiosità, per noia.
Ma le
cose che compri alla fine ti comprano.
E così l’essere, prima
fidato servo e schiavo casalingo, impegnato in pulizie domestiche e
commissioni, comincia, invece
che a soddisfare i desideri del suo padrone,
a proporne
di nuovi,
imbevuto da pubblicità o manovrato da alte sfere incontrollabili e
non intercettabili.
Come fu per la tv, come è stato per il pc, come
è accaduto per lo smartphone, questi oggetti che entrano nelle case
come innocui, cambiano le abitudini, modificano l’habitat,
impongono differenti regole. Dal dover regalare libertà e pluralità
di scelta diventano dittatori che ordinano, creano bisogni
sotterranei indotti.
quando il Golem, naif e grezzo, viene aggiornato con un 2.0 e
addirittura con un successivo 3.0 da una produzione industriale
seriale senza scrupoli che ne ha fiutato l’affare, economico e di
sottomissione delle masse (quello che sta accadendo oggi nel mondo
reale), allora il danno, per noi, e il guadagno politico, per loro è
fatto.
cose
controllano
il volere, modellano i sogni ad immagine e somiglianza del venditore
facendo
divenire il cittadino,
con diritti acquisiti, un mero
fruitore-consumatore
che non ha più possibilità né facoltà intellettiva per ribellarsi
e protestare. Il Golem s’insinua nella vita dei comuni abitanti
metropolitani come cavallo di Troia, come giocattolo, per poi
liberare dall’interno le sue energie e influenze negative.
sembra essere la panacea
al problema del tempo libero
dell’uomo, la macchina che realizza il lavoro al posto dell’umano
fino alla sua deriva, ovvero il robot, che non ha orari, non scende
in piazza nei cortei, non ha sindacati né ha bisogno di ferie,
malattie e maternità, soppianta l’occupazione degli individui in
carne e ossa.
inedia, disoccupazione, depressione da riempire con altri inutili
acquisti sempre suggeriti dal software che ormai si è travestito da
“amico” (appunto il termine usato su facebook per identificare i
contatti virtuali), le ore vuote sono un calvario da colmare con un
nuovo instupidimento a base di app.
delle macchine di stampo orwelliano,
l’uomo inaridito, perde il suo spirito critico, mutandosi in
automa, svuotato dalle condizioni principali per potersi definire
tale: il ragionamento, la messa in discussione, il dubbio, il
pensiero libero.
macchina tende a globalizzare e uniformare i gusti, così è più
semplice il controllo
di milioni di miserabili
(si fa riferimento al capolavoro di Victor
Hugo)
che vagano come zombie alla ricerca di cose futili delle quali non
hanno bisogno, di oggetti per infarcire abitazioni tutte uguali
componibili e scadenti, cose per imbottire questo grande immenso buco
nero d’insoddisfazione e superficialità che percepiamo.
si veste come il Golem in un processo di osmosi e immedesimazione.
Golem ci standardizza in tanti
cloni tutti uguali togliendoci l’imbarazzo dell’errore,
l’indecisione, l’incertezza su un futuro che altri, nelle stanze
dei bottoni, hanno già preordinato. Il panorama, purtroppo reale e
in pieno svolgimento, è desolante, di connessione 24h con mondi che
esistono soltanto nell’iperuranio, centri commerciali luccicanti
che vendono l’impossibile, la tranquillità e serenità come oppio
e ozio dei popoli.
451,
di Truman
show,
è la lezione di
Steve Jobs.