Chi è il nuovo capo dei Talebani
Maurizio Piccirilli, 30 Maggio 2016.
Ucciso
un leader se ne fa un altro.
hanno ucciso il successore del Mullah Omar, capo indiscusso dei
talebani. Akhtar Mansour ha di fatto comandato le milizie del
turbante nero poco meno di un anno. Ma gli studenti del Corano hanno
riempito il vuoto immediatamente. Così ad appena quarantotto ore
dalla notizia della morte la Shura ha incoronato un nuovo capo.
mullah Haibatullah Akhundzada, un importante giudice di questioni
religiose che era stato scelto come vice da Akhtar Mansour, il leader
taliban ucciso appunto il 21 maggio da un drone statunitense in
Pakistan. La scelta del leader è stata il frutto di una serie
di incontri tra i dirigenti del gruppo a Quetta, in Pakistan.
decisione è stata rapida, probabilmente per prevenire nuove
divisioni all’interno del movimento.
Haibatullah Akhundzada,
religioso rispettato e autorevole,
già uomo di fiducia del Mullah Omar, può vantare ottime doti da
mediatore e la provenienza da Kandahar, l’area di origine della
“vecchia guardia” talebana. La sua leadership avrà un primo
esame sulla questione dei negoziati con Kabul che la morte di Mansour
ha messo in discussione.
Tra l’altro la nuova guida dovrà
cercare di rafforzare il suo potere trovando un accordo con un altro
capo talebano che può vantare un forte seguito.
E’ infatti
Sirajuddin Haqqani, che dal 2005 ha sostituito il padre Jalaluddin
alla guida della rete Haqqani, il network di islamisti che opera
principalmente nelle province di confine tra Afghanistan e Pakistan,
a rivendicare un ruolo di comando.
Il rampollo della famiglia
Haqqani è a capo di un
vero e proprio impero finanziario, spietato sul campo di battaglia e
abile negoziatore può vantare rapporti consolidati con i servizi
segreti pakistani, che di certo non rinunceranno a “sostenerlo”. Fin
qui lo scenario della successione ma l’uccisione di Mansour sembra
essere l’ennesimo autogol della strategia di Washington nello
scacchiere afghano-mediorientale.
Infatti la morte del successore del
Mullah Omar potrebbe aprire le porte dell’Afghanistan all’Isis
fornendo così un nuovo rifugio al Califfo Al Baghdadi in difficoltà
in Iraq e Siria.
Del resto il gruppo è già penetrato in alcuni
ambienti jihadisti della regione.
A novembre c’è stata la nomina
di Abdul Rahim Muslim Dost, un ex detenuto di Guantanamo, come emiro
ad interim del Khorasan, mentre in estate un gruppo di militanti
qaedisti vicini a Gulbuddin Hekmatyar, leader di Hizb-e-Islami (una
delle prime milizie nate in Afghanistan per combattere l’occupazione
sovietica negli anni ’70) ha cambiato bandiera e giurato fedeltà
all’Isis.
Poi c’è un’altra ragione,
di natura teologica, che
spiegherebbe un possibile “golpe” nei confronti dei talebani.
Fino al giorno dell’annuncio della sua morte il Mullah Omar era
infatti l’unico “Amir al-Mumineen” (“Comandante dei Fedeli”)
della sfera jihadista che poteva sfidare le credenziali del
neo-califfo di Mosul, mentre lo stesso al Zawahiri, al contrario, non
ha mai vantato titoli o riconoscimenti, rinnovando di volta in volta
il suo sostegno proprio all’Emirato afghano. Era stato proprio lui
infatti a scrivere qualche tempo fa una lettera ad al Baghdadi
intimandogli di non mettere piede in Afghanistan.
“Il jihad contro
gli americani e i loro alleati dovrebbe essere condotto sotto
un’unica bandiera”, gli disse. Quella loro e del Mullah Omar,
ovviamente. Una minaccia che peraltro arrivava negli stessi giorni in
cui le milizie talebane si scontravano con la controparte dell’Isis
ad est della regione afghana. Mansour ha schierato oltre mille uomini
tra i più preparati per combattere le milizie del Daesh in
Afghanistan.
Sostanzialmente la differenza
tra i due gruppi in Afghanistan
si articola in una rivalità unidirezionale: Al Qaeda e i talebani in
passato si sono sempre mostrati disposti a compromessi con i propri
nemici interni, nonostante le differenze ideologiche e religiose.
Un
esempio su tutti furono le divergenze messe da parte con la scuola
Deobandi.
Ma l’Isis ragiona in altri termini: il jihad globale è
un discorso strettamente connesso al processo di state-building
voluto da al Baghdadi, e dunque speculare all’obiettivo
imperialista.
I talebani mirano a tornare al potere a
Kabul senza mire espansionistiche.
Uno schiaffo
alla politica americana.
La
scelta degli Stati Uniti non farà altro che creare ancor più caos
nella situazione afghana dove a parte alcune grandi città il governo
non ha il controllo del Paese. I talebani hanno dimostrato una
notevole capacità militare con la conquista di Kunduz nell’autunno
scorso.
Forti dei successi proprio Mansour aveva aperto un sottile
spiraglio per intavolare i negoziati con il governo di Kabul. Ora
torna tutto in gioco.
Eliminato Mansour, capo dei talebani, ma anche
maggior nemico dell’Isis nell’area, con l’exit strategy avviata
dalla Nato in Afghanistan e le indecisioni su Libia e Siria, possono
favorire l’espansione dell’Isis in una regione dove dopo 15 anni
e il massiccio intervento internazionale non è stato raggiunto
l’obiettivo di eliminare il terrorismo.
FONTE: Interris