La lotta dei capotribù per salvare “l’albero della vita”
di Jemy
Haryanto,
frontierenews,
18 Aprile 2016
Da secoli il tengkawang è un
albero sacro e il simbolo distintivo di molti villaggi del Borneo ma
land grabbing e piantagioni di palme da olio stanno mettendo in
pericolo l’albero e la biodiversità che genera. Per questo motivo le
tribù locali hanno iniziato una battaglia non violenta contro
corruzione e capitalismo ambientale
“Bisogna preservare i nobili
valori della foresta tramandatoci dai nostri antenati.
La foresta
deve essere protetta, se necessario con il sangue”. Nadu, capotribù Dayak.
Molti popoli
dell’Indonesia vivono da secoli in un rapporto di simbiosi con
l’albero tengkawang, che trova nel clima tropicale caldo-umido
del Borneo e dell’Isola di Sumatra un perfetto ambiente di
proliferazione. Dall’uso alimentare e terapeutico alla
costruzione di edifici, la pianta è presente in molteplici
aspetti
della vita
quotidiana
degli abitanti dei villaggi,
che utilizzano ogni suo elemento.
Ma in pochi anni la
deforestazione,
il land grabbing e l’espansione delle piantagioni di
palme
da olio
hanno diminuito drasticamente la presenza del tengkawang,
simbolo dell’identità
del Borneo stesso e della sua biodiversità. Nel
Kalimantan sono milioni
gli ettari
di foresta
abbattuti, bruciati,
e trasformati in piantagioni di palme da olio o in miniere, senza
curarsi dell’impatto che tutto ciò avrà in futuro.
LA SACRALITÀ
DELLA BIODIVERSITÀ.
Nella tribù Dayak, comunità locale del Kalimantan, il
tengkawang è conosciuto come “albero della vita”.
Il
tronco è
utilizzato come materiale da costruzione, inoltre praticandovi
un’incisione si possono ricavare linfa e resina, molto utili
come combustibili per le lampade, per accendere il fuoco quando si
cucina o per produrre saponi.
I frutti hanno
un elevatissimo contenuto di olio vegetale, che viene esportato
e usato come base
per molti prodotti: con l’olio di tengkawang vengono
infatti prodotti alimentari, lubrificanti, medicinali, burro,
candele, formaggi, cosmetici e molto altro. Persino alcuni studi
recenti sull’impiego come combustibile per aerei hanno dato
risultati incoraggianti. I semi
estratti dai frutti sono invece utili come alimento per il bestiame.
I nativi
hanno imparato dai propri antenati come utilizzare il
tengkawang senza dover abbatterne il fusto, perché per
alcune sub-etnie Dayak è un albero
sacro.
Nelle processioni tradizionali per chiedere benedizioni, spesso il
frutto del tengkawang è un mezzo di approccio di natura
trascendentale tra l’uomo e Dio.
Durante il rituale,
solitamente i frutti di tengkawang
vengono portati
nella foresta e poi seminati. Un auspicio di fertilità, di
protezione dai disastri, dai parassiti, dalle malattie e per far sì
che Dio conceda un raccolto abbondante. Inoltre, la presenza di
questi alberi è anche un segno di proprietà della terra su cui
sorgono.
Gli antenati
dell’etnia Dayak credevano che le sostanze nell’olio di
tengkawang potessero
curare
diverse malattie.
Ciò è dovuto al fatto che quest’olio contiene diversi tipi di
acidi grassi benefici per il corpo e la salute.
Tra gli altri, il
tengkawang è
molto ricco infatti di acido palmitico o palmitoleico e di acido
arachidonico. Sebbene l’acido
palmitico non sia comunemente utilizzato nel mondo farmaceutico, lo
si può trovare in diversi testi di letteratura medica, dove è noto
come integratore alimentare che può combattere l’obesità.
L’acido
arachidonico è invece conosciuto nel mondo dell’industria.
È un
acido usato come integratore per aumentare la massa muscolare,
migliorare le funzioni cognitive, irrobustire il corpo.
Il villaggio di Kerumbi. Foto Jemy Haryanto |
LA LOTTA
DELLE TRIBU’
Il tengkawang fiorisce soltanto una volta in un periodo
compreso tra i 3 ed i 4 anni. Quello dei popoli nativi non
è quindi soltanto un bisogno economico e di risorse, ma un obbligo
nei confronti di una pianta sull’orlo dell’estinzione
di farla tornare ai fasti dei loro antenati.
Nell paese di Sahan
vive Danianus Nadu, uno dei capo tribù più
impegnati nelle campagne per preservare le foreste.
“È importantissimo preservare i nobili valori della foresta, come
patrimonio
tramandatoci dai nostri antenati,
e la foresta di Pangajit
deve essere
protetta, se necessario con il sangue. In questa foresta ci sono
moltissimi alberi di tengkawang,
che sono noti per gli svariati benefici che apportano alla nostra
comunità”, afferma Nadu, che periodicamente semina, insieme alla
sua tribù, per contrastare quanto più possibile la deforestazione.
Nei suoi 49 anni
Nadu ha visto le rigogliose
foreste
attorno al suo villaggio trasformarsi deserti
aridi,
le colline della sua infanzia diventare brulle, i limpidi
fiumi
sono ora torbidi e contaminati.
Per questo ha deciso di dedicare la sua esistenza alla lotta non
armata,
portando avanti anche campagne di informazione
sull’importanza di salvare questi alberi in quanto risorsa
fondamentale del Borneo e suo simbolo distintivo.
Il capotribù Dayak
è riuscito, in anni di lotta pacifica ma instancabile, a
ottenere degli accordi con varie compagnie per non sradicare alcune
aree di foresta.
Ma non è stato semplice.
“Dovevo fare
qualcosa. Mi sono inoltrato da solo nella foresta, camminando a piedi
per decine di chilometri, per monitorare la situazione. Da valle a
monte, di villaggio in villaggio”, ha dichiarato Nadu.
“C’è
qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra società, le
comunità rurali sono facilmente sedotte dal capitalismo.
Per pochi soldi permettono alle aziende di abbattere alberi. Lo
fanno perché non sanno quanto è importante il manto
forestale”, affermato il capo tribù, mentre fuma una foglia
arrotolata di simpur.
Danianus Nadu. Foto Jemy Haryanto |
Nadu ha quindi
raccolto a sé gli abitanti dei villaggi dell’area per proteggere i
circa 200
ettari di foresta incontaminata.
Ha parlato loro dell’importanza di preservare il tengkawang e con
esso la loro cultura
e identità,
convincendoli a fare pressioni sul governo affinché fossero
rifiutate le proposte di affari per le piantagioni di palme da
olio nella foresta. Non è stato facile
per Nadu, ci è voluto molto tempo, ha lottato a lungo per cercare di
proteggere la foresta.
È stato spesso deriso e disprezzato dagli
abitanti del villaggio. Altri lo hanno preso per pazzo. Come se non
bastasse, la maggior parte della gente era convinta che Nadu facesse
tutto ciò per ottenere il controllo di quella parte di foresta.
Molte accuse sono state mosse nei suoi confronti.
Non c’è da
stupirsi che alle volte abbia dovuto scontrarsi con gli abitanti
della zona.
Si è spesso trovato in contrasto anche con funzionari
corrotti delle forze dell’ordine.
Tuttavia, Nadu non si è mai dato per vinto. Ha continuato a
diffondere consapevolezza alla sua comunità.
Col tempo, la lotta
e la determinazione di Nadu ha prodotto dei risultati.
La
sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo la protezione e
conservazione del manto forestale è cresciuta e il governo
ha infine accolto le sue richieste confermando che l’area in
questione è foresta
tradizionale.
I diritti
alla sua custodia
e gestione
sono stati lasciati
interamente alla comunità.
Ma la lotta di Nadu
non si è fermata qui.
Dopo essere riuscito a risvegliare la
consapevolezza del suo popolo, ha poi dovuto scontrarsi con i
capitalisti
delle piantagioni di palme da olio.
Non pochi di loro sono venuti a
fargli visita.
Hanno poi cercato di persuaderlo a collaborare con
loro.
Naturalmente con denaro e beni materiali.
Ma
Nadu non si è
lasciato corrompere da tutto ciò, riuscendo a condurre il
suo popolo alla vittoria, rallentando l’attacco
dei capitalisti alla sacra
foresta.