Che Guevara e i suoi compagni
di
David Lifodi, labottegadelbarbieri,
15 Aprile 2016
Che Guevara e i suoi compagni.
Uomini della guerriglia in Bolivia
a
cura di Enrica Matricoti, Zambon
Editore, 2015.
“Io credo che tutte le conquiste
che sono state raggiunte in America Latina siano la conseguenza di
quella lotta iniziata dal Che nel ’65 nel Congo e proseguita
nel ’66 in Bolivia”.
A parlare è Leonardo Tamayo Núñez,
più conosciuto come Urbano, il suo nome di battaglia, uno dei pochi
sopravvissuti alla campagna boliviana in cui buona parte del nucleo
guerrigliero agli ordini di Guevara perse la vita.
La sua testimonianza, insieme a quelle
dei familiari degli uomini che caddero combattendo insieme al Che in
Bolivia, è raccolta nel libro Che
Guevara e i suoi compagni. Uomini della guerriglia in Bolivia,
curato da Enrica Matricoti per Zambon Editore.
Non si tratta, in
questo caso, di uno dei tanti libri dedicati alla Cuba castrista e
guevarista che intendono trasformare il Che e i suoi uomini in
bandiere, non perché non lo siano, tutt’altro, ma l’intento
della curatrice del volume è più ambizioso: raccontare la vita
degli uomini scelti dal Che in chiave intima, umana, con i loro pregi
e i loro difetti, nelle parole dei familiari.
Enrica Matricoti va
direttamente alla fonte e, avendo la possibilità di parlare sia con
i sopravvissuti, ad esempio Urbano e Pombo (Harry Villegas), sia con
amici e collaboratori stretti di Fernando (per citare uno dei tanti
nomi di battaglia del Che), dall’ex ministro dell’Industria
zuccheriera Orlando Borrego Díaz al diplomatico ed agente
dell’intelligence
Ulises Estrada Lescaille, offre al lettore la possibilità di
conoscere dettagli e aneddoti che hanno caratterizzato la rivoluzione
cubana, ma, soprattutto, hanno plasmato i protagonisti della
guerriglia in Bolivia.
Giunta a Cuba nel 2008 in qualità di
fotografa di scena e assistente di produzione per le riprese del
documentario El hombre
nuevo en el siglo XXI,
progettato dall’italiano Walter-Uliano Pistelli e dall’argentino
Favio Giorgio, Enrica Matricoti ha avuto il merito di trasformare il
materiale raccolto in un libro.
Come ha scritto la stessa curatrice
del libro, “non si trattava
solo di lavoro, ma di un’esperienza totalizzante dai confini
sfumati tra indagine storica e toccante ricostruzione dei risvolti e
dei lati più privati della vicenda, che stimolava la mia passione ed
interesse per gli avvenimenti della guerriglia boliviana”.
A questo proposito, sono due le domande che ricorrono ai familiari,
in gran parte figli, dei caduti in Bolivia: “Ha
mai pensato di diventare guerrigliero?” e “Ha condiviso la
decisione di suo padre di andare in Bolivia?”
Le risposte concordano sulla necessità dello spirito che ha da
sempre animato la rivoluzione cubana, quello dell’impegno
internazionalista per l’America Latina e per tutti i popoli del
mondo. Certo, non tutti rispondono che avrebbero seguito le orme del
padre, ma come evidenzia, ad esempio, il figlio del capitano Alberto
Fernández Montes de Oca, i guerriglieri di oggi sono i medici di
Cuba sparsi non solo nel continente latinoamericano, ma nel mondo
intero.
Anche questa è una modalità di portare il proprio
contributo. Del resto, come scriveva Jesús Suárez Gayol (nome di
battaglia el Rubio)
in una lettera indirizzata a suo figlio piccolo prima della partenza
per la spedizione boliviana, “il
dovere di un rivoluzionario cubano, in questa fase, si spinge aldilà
dei limiti fisici del nostro paese e si trova ovunque esiste
sfruttamento, ovunque l’imperialismo affondi i suoi artigli per
cavare il sangue dei popoli”.
Il volume, inoltre, ha il pregio di
saper intrecciare, tramite le testimonianze raccolte, la storia della
Cuba rivoluzionaria e l’esperienza guerrigliera in Bolivia con i
grandi avvenimenti storici in corso nell’America Latina di quegli
anni.
Ad esempio, Ulises Estrada Lescaille racconta del sostegno di
Cuba all’Unidad Popular cilena che non si limitò solo a guardare
con simpatia alla presidenza di Allende, ma si concretizzò nel
predisporre il piano di difesa della Moneda dai gorilla pinochettisti
e si caratterizzò per le perdite inflitte ai fascisti di Patria y
Libertad che avevano tentato di assaltare l’ambasciata cubana a
Santiago del Cile.
E ancora, nelle parole di Orlando Borrego Díaz,
torna più volte il concetto dell’uomo nuovo di Ernesto Che
Guevara, caratterizzato dallo sviluppo della coscienza dell’individuo
nel segno della costruzione del socialismo.
Tutto ciò si ritrova,
ancora oggi, nei principi dell’internazionalismo, della solidarietà
e della cooperazione che, grazie all’esempio cubano, sono diventati
pilastri fondamentali per l’intera America Latina, a partire dai
paesi che fanno parte dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per le
Americhe. Il concetto dell’internazionalismo, militare,
medico ed educativo, è ben spiegato in schede tematiche nell’ultima
parte del volume, assieme a note storiche assai curate e ben fatte,
ma non necessariamente note al lettore, anche quello più militante.
A tutti viene spontaneo, come è ovvio, prestare maggior attenzione
alle vicende del Che in Congo, in Bolivia e agli anni in cui i
giovani rivoluzionari cercavano di dare un volto ben definito
all’esperienza cubana, ma quanti, ad esempio, conoscono la Guerra
Necessaria (1895-1898), promossa da José Martí, o il
cosiddetto progetto Canale Vía Cuba del 1912 che, su impulso degli
Stati Uniti, avrebbe diviso l’isola in due?
In conclusione, il Che e i suoi
compagni non erano superuomini, ma avevano una fortissima
consapevolezza di ciò che facevano:
“Accettarono la possibilità della morte”, scrive Enrica
Matricoti, “per contribuire a trasformare le terribili condizioni
di vita di una umanità diseredata, e dovettero sopportare il dolore
di veder cadere, sotto i propri occhi, e senza poter fare niente, i
compagni a cui li legava un sentimento di profonda comunione”.
Lo stesso percorso di dolorosa accettazione fu seguito dalle loro
famiglie, dalle madri, dalle spose e dai figli.
Per questo motivo,
non possiamo far altro che ricordare i loro nomi e per ciascuno dire:
“Presente!”