Israele. Vietato “Rompere il Silenzio”
di Michele Giorgio, Tlaxcala, 28.12.2015 |
Gerusalemme – “Il mondo intero è contro di noi”. Era questo il titolo di un brano molto popolare in Israele negli anni ’70, scritto da Yoram Taharlev nel 1969, un oscuro autore che andava ripetendo che «molti Paesi inspiegabilmente stanno dalla parte dei nostri nemici». Non era un capolavoro. Un testo semplice e diretto accompagnato da una musichetta senza pretese. «Il mondo intero è contro di noi/è un vecchio motivo/ che ci insegnarono i nostri Padri/a cantarlo e anche a ballarlo». Tirava forte in quegli anni ma ancora oggi quel messaggio riaffiora in Israele ad ogni occasione. D’altronde un sondaggio d’opinione dello scorso anno vedeva il 63% degli israeliani d’accordo con il testo di quel brano. Così ogni critica alle politiche di occupazione, alle offensive militari contro Gaza, alla violazione di diritti umani, alla libertà negata ai palestinesi, viene descritta oggi persino più di allora come un attacco all’esistenza di Israele, se non addirittura una espressione di antisemitismo esplicito o sottotraccia. È il cavallo di battaglia della destra al governo e degli ultranazionalisti religiosi, sempre più forti ed influenti in politica e nella società. Non è detto però che i nemici siano sempre gli occidentali «amici degli arabi», secondo una definizione cara all’agenzia di stampa dei coloni israeliani Arutz Sheva, o Barack Obama che «finalmente» nel 2016 uscirà di scena e l’Unione Europea che considera illegali gli insediamenti colonici. E neppure i “terroristi” palestinesi di Hamas, Fatah, il Fplp, i comitati popolari contro il Muro, i giovani della nuova Intifada (ieri ne è stato ucciso un altro, accusato di aver tentato di investire un soldato con l’auto), il leader dell’Anp Abu Mazen e quello islamista Ismail Haniyeh. O i palestinesi con cittadinanza israeliana, la “quinta colonna” infiltrata nel cuore del Paese.
La lotta della destra israeliana (e non solo) contro il “nemico” è anche una battaglia contro altri ebrei, quelli che lavorano in Ong e associazioni impegnate in difesa dei diritti umani, che denunciano le conseguenze devastanti delle offensive militari contro Gaza, che promuovono l’uguaglianza tra tutti i cittadini, contro i medici che si oppongono all’alimentazione forzata di detenuti in sciopero della fame e affermano che i “terroristi feriti” vanno curati e salvati come le loro vittime. E contro chi chiede che gli assassini del piccolo palestinese Ali Dawasha, arso vivo, siano giudicati e condannati per questo crimine mentre il ministro della difesa Moshe Yaalon afferma «che sono stati arrestati e interrogati ma contro di loro non ci sono prove sufficienti». Garantismo che, sottolinea qualcuno, non viene certo applicato nei confronti dei palestinesi. È un’offensiva sempre più incisiva, ampia e senza riguardi, che si svolge nelle strade come nell’aula della Knesset. Il dissenso interno è il nuovo nemico, quasi uguale ai palestinesi, simile al BDS contro il quale è in corso una controffensiva internazionale finanziata in buona parte dai fondi raccolti da Sheldon Adelson, il milionario israelo-americano, re della case da gioco negli Usa e proprietario del quotidiano più diffuso di Israele, Yisrael HaYom, megafono del premier Benyamin Netanyahu. Nessuno è risparmiato, neppure il capo dello stato Reuven Rivlin, peraltro esponente del partito di maggioranza relativa Likud, finito sui carboni ardenti per aver accettato di prendere parte a una conferenza che vedeva tra i presenti alcuni rappresentanti di “Breaking the Silence” (Bts), l’Ong che raccoglie le testimonianze di ufficiali e soldati israeliani su violazioni e abusi a danno dei palestinesi. Il suo ultimo rapporto, diffuso prima dell’estate, include dozzine di dichiarazioni e rivelazioni su crimini di guerra commessi a Gaza durante l’offensiva “Margine Protettivo” dell’estate del 2014. Materiali che potrebbero essere usati dalla Corte penale internazionale per rinviare a giudizio comandanti militari e leader politici israeliani protagonisti di quella offensiva. Proprio contro i soldati che rompono il silenzio si è scatenata un’offensiva a tutti i livelli nel nome della difesa ad ogni costo dell’azione delle Forze Armate. Il ministro Yaalon ha vietato ai militari di rilasciare testimonianze agli attivisti di “Breaking the Silence”. L’associazione giovanile di estrema destra, Im Tirzu, sostiene di avere le prove che “questi nemici di Israele” sono finanziati anche dai palestinesi. L’Associazione dei “Soldati Caduti in Combattimento” ha chiesto con forza che l’Ong sia dichiarata subito fuorilegge. Più di tutto è intervento il premier Netanyahu che alla Knesset ha pronunciato una difesa a voce alta dell’Esercito e del suo operato, mettendo a tacere chi come il leader laburista Herzog proclamava, tiepidamente, il diritto al dissenso. «Ciò che le destre al potere intendono ottenere è far tacere chiunque sia contro l’occupazione dei territori palestinesi» spiega al manifesto Avihai Stoller, un portavoce di Bts, «e agiscono attraverso le leggi, l’istigazione nelle strade, diffondendo bugie sul nostro conto». Dopo quasi 50 anni di occupazione militare, aggiunge Stoller, «durante i quali abbiamo negato i diritti dei palestinesi, non dobbiamo meravigliarci che questa violazione avvenga anche all’interno della società israeliana. Era solo questione di tempo». Stoller si dice sicuro «che questo attacco al dissenso proseguirà e si intensificherà», tuttavia, conlcude, «confido nella nostra determinazione e faremo sentire in ogni caso la nostra voce». |