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Prof. Rabkin sull’Iran e Netanyahu ora anche disponibile in italiano

Netanyahu è “l’uomo giusto” per parlare dell’Iran davanti al Congresso

Il
premier israeliano è perfettamente adatto per spiegare al Congresso il
presunto pericolo del potere nucleare iraniano. Dopo tutto, è stato
Israele insieme ai suoi alleati di Washington a inventare la questione
fin dall’inizio. Ora tocca a Netanyahu tentare di dar credito a
quell’asserzione, sebbene persino i servizi segreti americani, europei e
israeliani, non siano d’accordo sul fatto che l’Iran starebbe cercando
di produrre armi nucleari. Alcuni forse si ricordano che le asserzioni
secondo cui l’Iraq possederebbe armi di distruzione di massa erano
provenute in gran parte dalle stesse fonti, vicine al partito israeliano
di destra Likud.
Il ruolo di questa
lobby del partito Likud ha fomentato in modo determinante la campagna
contro l’Iran. Infatti, in occasione dell’incontro dell’AIPAC nella
primavera del 2006, l’Iran è stato particolarmente preso di mira,
mostrando dei grandi schermi alternanti con immagini di Adolf Hitler che
denunciava gli ebrei e poi del Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad
che minacciava di “cancellare Israele dalla faccia della terra”. Lo show
terminava con uno sbiadito voto post-olocausto “mai più”. Entro pochi
mesi la lobby distribuì ben 13.000 set di stampa solo tra i giornalisti
statunitensi per impregnare in modo durevole queste immagini cariche di
pathos nei media convenzionali.
I leader iraniani
sono stati continuamente rappresentati, come se negassero l’olocausto,
minacciando di cancellare Israele dalla faccia della terra. Queste due
affermazioni sono state pubblicate in migliaia di giornali, mostrando
l’Iran come uno stato dubbioso e una minaccia per la pace mondiale. Sono
state persino usate per imporre le sanzioni occidentali contro l’Iran
che avrebbe tentato di produrre armi nucleari. Milioni di iraniani
soffrono a causa di queste sanzioni, e ancora più persone in Iran
soffrirebbero a causa dell’intervento militare che per Tel Aviv e
Washington non è ancora escluso. Ecco perché si devono analizzare in
dettaglio queste affermazioni secondo cui i decisori iraniani sarebbero
degli antisemiti accaniti.
La questione del
programma nucleare iraniano richiede un’analisi razionale. La
correlazione tra Israele/sionismo ed ebrei/ebraismo ha soffocato da
tempo il dibattito razionale sul Medio Oriente. I critici di Israele,
ebrei e non, vengono regolarmente accusati di antisemitismo. Tali accuse
hanno iniziato a influenzare ampiamente le relazioni internazionali. E
la “bomba atomica iraniana” ne è un esempio. Netanyahu giunge a
Washington, fingendo di parlare nel nome del popolo ebraico mondiale
invece che quale rappresentante eletto dai cittadini di Israele, un
terzo dei quali non sono neppure ebrei.
La negazione dell’olocausto
Tra i partecipanti
alla conferenza internazionale sull’Olocausto, organizzata
dall’ex-presidente iraniano quasi dieci anni fa, figuravano alcuni noti
“negatori” dell’Olocausto e anche un gruppetto di ebrei ortodossi in
abiti neri che raccontavano del massacro nazista contro i loro parenti. È
di poco interesse pratico dibattere sul fatto se Ahmadinejad neghi la
veridicità dell’Olocausto o meno, visto che oramai non detiene più il
potere. Ma ci si potrebbe meravigliare per quale motivo tendiamo a
considerare la negazione dell’Olocausto una questione talmente grave.
Infatti, un “negatore” del massacro di centinaia di migliaia di ebrei in
Ucraina nel 17esimo secolo o dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna
nel 15esimo passerebbe quasi del tutto inosservato. A rendere unico
l’Olocausto, non sono solo la sua immediatezza e la sua ampiezza, ma
anche le manipolazioni sioniste della sua memoria.
I leader iraniani
non erano stati i primi a denunciare il prezzo che l’establishment
israeliano ha estorto ai palestinesi (musulmani, cristiani e anche
alcuni ebrei), costretti a pagare per un crimine commesso in Europa, da
nazisti europei, contro ebrei europei. Per quanto possa valere
quest’obiezione, non equivale ad una negazione dell’Olocausto, ma
piuttosto ad un’obiezione contro l’uso di questa tragedia quale mezzo di
legittimazione del sionismo e di Israele, continuando ad espropriare i
palestinesi.
Secondo Moshe
Zimmermann, professore di storia tedesca e noto intellettuale
israeliano, “la shoah [l’olocausto] viene spesso strumentalizzata/o.
Cinicamente si può dire che la shoah è uno tra gli oggetti più utili per
manipolare il pubblico e in particolare il popolo ebraico in Israele e
all’estero. Nella politica israeliana la shoah viene usata per
dimostrare che un ebreo disarmato equivale ad un ebreo morto”.
Gli usi politici del
genocidio nazista sono comuni. Secondo l’ex ministro dell’educazione
israeliano “l’olocausto non è una follia nazionale accaduta nel passato e
ormai trascorsa, ma un’ideologia ancora presente, in quanto ancora oggi
potrebbe succedere che il mondo legittimi dei crimini contro di noi”.
Oltre a fornire a Israele una ragion d’essere alquanto persuasiva,
l’olocausto ha anche dimostrato di essere un mezzo potente per sostenere
Israele. Un parlamentare israeliano l’ha posta in questi termini
diretti:
“Persino i migliori
amici del popolo ebraico evitarono di offrire un notevole sostegno di
ogni tipo agli ebrei europei e volsero le spalle ai camini dei campi di
sterminio … per questo tutto il mondo libero, in particolare in
quest’epoca, deve dimostrare pentimento … offrendo sostegno diplomatico,
difensivo ed economico a Israele.”
L’industria
dell’olocausto di Norman Finkelstein documenta ampliamente come la
memoria del genocidio nazista può essere sfruttata a scopi politici. Per
decenni, l’olocausto ha funto da strumento di persuasione nelle mani
della politica estera israeliana per soffocare qualsiasi critica e
creare empatia per uno stato che si acconcia come l’eroe collettivo di
sei milioni di vittime. Netanyahu, nei suoi dibattiti pubblici
sull’Iran, invoca regolarmente l’olocausto. Asserisce che l’ipotetica
bomba atomica iraniana costituisca “una minaccia esistenziale”. Comunque
in una conclusione illogica chiama Israele “l’unico luogo sicuro per
gli ebrei”. All’indomani dei recenti attentati contro cittadini di
origine ebraica a Parigi o Copenaghen, Netanyahu ha nuovamente invitato
gli ebrei europei a lasciare i loro paesi per trasferirsi in Israele,
loro “vera patria”. Le sue invocazioni riguardanti un “olocausto
nucleare” sul fronte iraniano hanno gioco facile presso i suoi
sostenitori, ma rappresentano difficilmente un’argomentazione razionale
sul versante della politica estera.
Eliminare Israele dalla faccia della terra
Tanto inchiostro è
stato versato anche su un’altra affermazione, secondo la quale l’Iran
avrebbe dichiarato la propria intenzione di “eliminare Israele dalla
faccia della terra”. Juan Cole e altri hanno dimostrato che si trattava
di un errore di traduzione e che la parola “faccia della terra e/o carta
geografica” non figurava nell’originale. Infatti si tratta di una
citazione da una delle vecchie diatribe anti-sioniste di Ayatollah
Khomeini: Esrâ’il bâyad az sahneyeh roozégâr mahv shavad, che tradotta
significa “Israele deve sparire dalla pagina del tempo.” Dopo questa
storia inventata sulla “cancellazione di Israele dalla faccia della
terra”, queste parole iniziarono a fare il giro del mondo, innestandosi
per bene nell’opinione pubblica. Infatti gli istigatori sionisti della
campagna contro l’Iran le usarono a diverse riprese. Un rapporto
pubblicato di recente sull’Iran da parte del Centro degli Affari
Pubblici di Gerusalemme, una fabbrica di pensiero sionista
particolarmente attiva nella conduzione della campagna contro l’Iran,
traduce correttamente la citazione di Khomeini, ma insiste comunque sul
fatto che si tratti di un incitamento al “genocidio”. Quest’ultimo è
diventato il termine favorito nelle recenti pubblicazioni sioniste: lo
stesso rapporto fa riferimento al “genocidio fallito del 1948 da parte
di diversi stati arabi e dei palestinesi contro Israele”.
I leader iraniani
invece hanno ripetutamente richiesto di risolvere i problemi del mondo,
inclusa la questione palestinese, con il dialogo. Hanno proposto tra
l’altro “un referendum libero per istituire un governo basato sulla
volontà della nazione palestinese, inclusi ebrei, cristiani e musulmani,
e in cui avranno diritto di voto.”
 
Nessuna di queste proposte sembra prevedere un intervento militare e non
può essere interpretata come “minaccia esistenziale”. Ecco perché
allora nei media comuni non interessa a nessuno: infatti le affermazioni
moderate provenienti da Teheran non vale la pena stamparle.
I leader iraniani
hanno anche affermato che “il regime sionista sarà eliminato quanto
prima, come l’Unione Sovietica, e che l’umanità otterrà presto la
libertà”. Come l’Unione Sovietica è stata disintegrata in modo pacifico,
allo stesso modo anche Israele scomparirà in modo pacifico, cedendo al
peso delle proprie contraddizioni interne. Visto che l’Unione Sovietica
non è stata cancellata da una pioggia di bombe atomiche, l’Iran non
suggerisce l’uso della forza neppure per smantellare Israele. Inoltre
non avrebbe alcun senso vista l’estrema superiorità militare israeliana
quale unica potenza nucleare regionale.
La richiesta di
porre termine al sionismo non significa la distruzione di Israele e
della sua popolazione. Secondo Jonathan Steel di “The Guardian” non si
tratta che di un “vago desiderio futuro”. Questo desiderio equivale ad
una preghiera per “uno smantellamento pacifico dello stato sionista”,
pronunciata regolarmente dai membri del gruppo antisionista ebraico
Neturei Karta. Infatti la liturgia ebraica abbonda di prese di posizione
alquanto aggressive nei confronti di chi non riconosce Dio o commette
il male. Ad esempio nei servizi delle festività principali noi ebrei
recitiamo la frase u’malkhut ha’rishaa kula ke’ashan tikhleh (e che il
regno del male scompaia come il fumo). Il significato letterale
significa annichilire o distruggere un intero paese, ma il vero
significato di “regno del male” significa che ogni azione nefasta in
ogni luogo verrà eliminata. Non si parla dunque di una persona in
particolare e neppure di migliaia di persone innocenti.
Anche se milioni di
ebrei recitano questa invocazione ogni anno, essa non significa la
guerra atomica. Ma se volessimo demonizzare gli ebrei, potremmo usare
quest’invocazione e trasformarla in un’accusa infondata secondo cui gli
ebrei vorrebbero distruggere interi paesi. Alcuni israeliani laici hanno
interpretato questa preghiera tradizionale quale invocazione alla
distruzione della maggioranza secolare della popolazione ebraica in
Israele. Per questo la tradizione ebraica rifiuta le interpretazioni
letterali dei testi sacri e si rifà a quelle dei rabbini, anche se a
volte molto inverosimili. I rabbini ad esempio interpretano unanimamente
il principio biblico “occhio per occhio” quale obbligo di pagare una
compensazione monetaria per salvare l’occhio del reo. La preghiera
liturgica ebraica menzionata è un esempio di retorica religiosa basata
su metafore espressive che si riferiscono a un desiderio di vedere un
mondo senza il male.
Per ritornare alla
nostra tematica principale: sono ormai passati oltre trecento anni
dall’ultima volta che l’Iran aveva attaccato un altro paese, cosa che
non si può dire di Israele e degli Stati Uniti. Considerare l’Iran meno
responsabile di Israele di cui si sa per certo che possiede armi
nucleari sembra un detrito incoerente della mentalità coloniale.
Inoltre l’Iran
combatte attivamente gli estremisti dello “Stato Islamico” che
giustifica le proprie atrocità servendosi di interpretazioni letterali
del Corano. Gli ebrei in Iran continuano a praticare l’ebraismo senza
essere disturbati dalle autorità iraniane e desiderano continuare a
vivere nel paese in cui hanno vissuto per millenni, e questo mentre la
maggior parte dei leader iraniani anti-sionisti ha dichiarato di non
essere anti-semita. Infatti se fossero state antisemite, le autorità
iraniane avrebbero infastidito gli ebrei locali, invece di provocare la
potenza nucleare israeliana.
La pretesa di
Netanyahu di parlare “nel nome di tutti gli ebrei” mette in pericolo gli
ebrei, e soprattutto quelli iraniani. Alcuni sionisti comunque
rimangono imperterriti e rimproverano persino gli ebrei iraniani per non
essere emigrati in Israele da tempo. Questo atteggiamento espone la
forse più antica comunità ebraica del mondo musulmano, visto che
ovviamente la ragione di stato israeliana spesso prevale sul benessere e
sulla sopravvivenza concreta delle comunità ebraiche. I sionisti
confidano negli ebrei al di fuori di Israele quale potenziali immigrati o
beni provvisori per promuovere gli interessi israeliani.
Dissenso ebraico
Il discorso di
Netanyahu al congresso statunitense e la sua attuale campagna contro
l’Iran hanno causato un profondo scisma tra gli ebrei che sostengono
incondizionatamente Israele e quelli che rifiutano o mettono in dubbio
il sionismo e l’agire dello stato israeliano. Il dibattito pubblico
sulla posizione di Israele all’interno della continuità ebraica è
diventato aperto e cordiale, non solo in Israele, ma anche all’estero.
Molti vedono il futuro dello stato di Israele quale uno stato di
cittadini, ebrei, musulmani, cristiani ed atei, più che di uno stato
basato e gestito nel nome dell’ebraismo mondiale.
Mentre pochi sono
gli ebrei a meravigliarsi pubblicamente del fatto se lo stato di
Israele, cronicamente insicuro, “sia veramente un bene per gli ebrei”,
molti di più disapprovano che il sionismo militante distrugga i valori
morali ebraici e metta a repentaglio gli ebrei sia in Israele sia
all’estero. Ad esempio il film Munich di Steven Spielberg focalizza in
modo decisivo sul costo morale dell’affidamento cronico di Israele alla
forza. In una scena, un membro dell’unità israeliana di picchiatori, che
cacciano gli attivisti palestinesi della diaspora, rimane disgustato e
proclama: “Siamo ebrei e gli ebrei non commettono il male perché i
nostri nemici lo fanno… siamo ritenuti virtuosi. E questa è una bella
cosa. È essere ebrei…” Mentre Schindler’s List indaga le minacce alla
sopravvivenza fisica degli ebrei, Munich espone le minacce alla loro
sopravvivenza spirituale. Per forza che i sostenitori di Likud in
America infangarono il regista ebreo e il suo film ancora prima che
uscisse nei cinema. Offesero anche diversi libri pubblicati di recente
(Prophets Outcast, Wrestling with Zion, Myths of Zionism, The Question
of Zion) e incentrati sullo stesso conflitto essenziale tra il sionismo e
i valori ebraici tradizionali. Il discorso di Netanyahu al Congresso ha
profondamente lacerato questo conflitto intra-ebraico.
La lobby di Likud
sostiene continuamente che gli ebrei che osano criticare Israele
metterebbero a repentaglio il suo “diritto di esistere” e fomenterebbero
dunque l’antisemitismo. Questo ha condotto alcuni ebrei britannici,
canadesi e statunitensi famosi a prendere la parola nel contesto di un
dibattito aperto su Israele nei media abituali e persino nelle
pubblicazioni dei conservatori. La nota rivista pro-establishment
“Economist” ha pubblicato un’indagine sullo “stato degli ebrei” e un
editoriale indirizzato agli ebrei comuni della diaspora per farli
superare l’atteggiamento tipico secondo cui “il mio paese ha sempre
ragione, anche quando ha torto”, adottato da numerose organizzazioni
ebraiche. Questo certamente intacca l’immagine degli ebrei quale gruppo
riunito intorno alla bandiera israeliana.
L’impegno a favore
dell’emancipazione ebraica dallo stato di Israele e la sua politica ha
superato alcune vecchie dissidenze, creandone comunque anche delle
nuove. Pertanto un critico ultraortodosso di Israele, che normalmente si
oppone all’ebraismo riformista, si complimentò con un rabbino
riformista che aveva affermato: “Se i sostenitori ebrei di Israele
non si oppongono alla politica catastrofica che non garantisce la
sicurezza dei suoi cittadini e neppure crea il clima appropriato in cui
lavorare per una pace giusta con i palestinesi … poi stanno anche
tradendo i valori ebraici millenari e agendo contro gli interessi
israeliani a lungo termine.”
Molti ebrei e
israeliani credono che la lobby di Likud, uno sforzo collettivo dei
cristiani, ebrei, musulmani ed atei di destra, rappresenti la più grande
minaccia per la sicurezza a lungo termine di Israele, visto che
sostiene regolarmente i falchi di Israele, indebolendo invece gli
israeliani che nella regione si impegnano per la riconciliazione. La
lobby promuove anche l’antisemitismo visto che spesso viene considerata
“ebraica”, dando dunque l’impressione errata secondo cui gli ebrei
detterebbero la politica estera americana, spostandola verso destra.
Infatti la maggior parte degli ebrei statunitensi ha votato Barak Obama.
Mentre i leader israeliani attuali e i loro alleati in America
continuano ad incitare il mondo contro l’Iran, diverse organizzazioni
pacifiste in Israele e in diverse comunità della diaspora ebraica hanno
rilasciato delle dichiarazioni, condannando la campagna anti-iraniana e
il comportamento di Netanyahu.
Oggi, in assenza di
stati arabi che rappresentano una minaccia militare per Israele, è
l’Iran che gli israeliani vengono indotti a temere. E proprio vicino
all’Iran, che ha affermato a più riprese di non aver alcuna intenzione
di acquistare armi nucleari, si trova il Pakistan, un regime instabile
con un forte movimento islamista, che include anche fazioni di Al-Qaeda,
e che possiede un arsenale nucleare non immaginario, ma reale. Anche se
il Pakistan non ha minacciato Israele, le “minacce esistenziali”
potrebbero non avere mai fine, se lo stato sionista andrà avanti per la
sua strada, continuando a sfidare i popoli dell’intera regione, negando
giustizia ai palestinesi.
Una precisazione
Le due accuse
cariche di pathos rivolte all’Iran hanno dominato i media occidentali.
Un’altra accusa secondo cui l’Iran avrebbe approvato una legge che
costringerebbe gli ebrei a portare dei simboli di riconoscimento gialli,
è stata riportata da Toronto National Post alcuni anni fa, accentuando
ancora di più l’immagine dell’Iran quale nuova Germania nazista. Anche
se l’articolo fu poi ritirato il giorno dopo, sono più le persone a
ricordarsi della notizia incriminante che non del successivo ritiro
dell’articolo dal quotidiano, i cui proprietari in Canada si impegnano
nella lobby di Likud.
Quest’informazione
errata sicuramente aiuta a preparare l’opinione pubblica a un intervento
militare statunitense o israeliano contro l’Iran ricco di petrolio, un
inquietante remake della paura delle armi illusorie di distruzione di
massa irachene che hanno provocato un intervento militare gigantesco
contro quel paese sfortunato, la cui popolazione aveva già sofferto per
decenni a causa delle sanzioni occidentali. Saddam Hussein è stato
debitamente ritratto come un’altra incarnazione di Hitler e di nuovo è
stato invocato lo spettro dell’olocausto nucleare.
È Israele che
presumibilmente possiede centinaia di armi nucleari e a differenza
dell’Iran si rifiuta di firmare il trattato di non-proliferazione
nucleare. L’Iran invece non ha mai dichiarato di essere intenzionato a
produrre armi nucleari. Secondo noti esperti israeliani l’Iran non
sarebbe in grado di acquistare una tale capacità nucleare-militare per
5-10 anni, e anche se l’acquistasse, l’Iran lo farebbe per proteggersi
dalle incursioni israeliane e sicuramente non per attaccare Israele.
I leader iraniani
vengono interpretati male quali estremisti forsennati con poteri
illimitati da cui aspettarsi delle azioni irrazionali. Ne segue che
devono essere fermati ad ogni costo. Questo aspetto si è trasformato
oramai in un mantra non solo per i politici israeliani di destra, ma
anche per un retorico come Netanyahu – che disprezzando la Carta delle
Nazioni Unite minaccia apertamente di attaccare l’Iran – e per alcuni
politici americani che lo ammirano. Mentre la Casa Bianca e gli esperti
di politica estera e dei servizi segreti sanno che né Israele né gli
Stati Uniti sono minacciati da un attacco iraniano, le loro
argomentazioni razionali sembrano essere meno persuasive della retorica
carica di pathos espressa dalle cattedre. Gli Stati Uniti hanno noti
interessi geopolitici nel Golfo Persico, ma le accuse contro l’Iran
basate sulla deliberata collimazione tra Israele e gli ebrei potrebbero
fatidicamente distorcere il modo di fare politica estera a Washington.
Gli intellettuali
apprezzano la precisione. E ai politici serve in ugual modo visto che da
loro ci si aspetta un agire prudente e razionale. L’ingerenza di
Netanyahu nella politica estera americana fa parte del suo tentativo a
lungo termine di allineare gli interessi della grande potenza con quelli
dello stato sionista. Per questo le sue argomentazioni vanno prese con
le pinze e senza delle emozioni superflue che spesso oscurano le
questioni riguardanti Israele e i suoi vicini. Per diversi anni le
diplomazie estere si sono concentrate sul contenimento dell’intervento
militare israeliano contro l’Iran. Israele allora aveva le mani libere
per trattare i palestinesi con sostanziale impunità. La nuova “minaccia
esistenziale” dell’arma di distruzione di massa ipotetica a Israele
serviva da vera e propria “arma di distruzione di massa”. L’incredibile
crescita dello Stato Islamico a livello grafico mostra che meccanismi
possono innescare la demodernizzazione e la successiva disperazione in
certe regioni del mondo.
Basta citare
l’esempio dell’Iraq, della Libia e della Siria, tutti e tre paesi
soggetti a interventi militari esterni, e il seguente emergere dello
Stato Islamico per capire che la destabilizzazione di un paese o di una
regione ha conseguenze devastanti e di vasta portata. Il premier
israeliano invoca l’asserita minaccia iraniana per rallentare o
invertire la politica iraniana di modernizzazione. La forzata
demodernizzazione dell’Iraq, della Siria e della Libia, i paesi più
secolari ed educati del mondo arabo, ha sicuramente giovato alla
posizione strategica israeliana all’interno della regione. Netanyahu
comunque ora deve spiegare come la demodernizzazione dell’Iran gioverà
agli Stati Uniti.
Prof. Yakov M. Rabkin
professore di storia all’università di Montreal

Global Research, 3 marzo 2015
Traduzione italiana: Dr. phil. Milena Rampoldi dell’associazione
ProMosaik e.V.